Partiamo dal sito: la Quinta das Laranjeiras: proprietà suburbana che era scena di svaghi alla moda secondo gli usi del primo Ottocento, dove il conte Farrobo era solito dar feste tali che l'espressione che ne derivò – farrobodo – nel portoghese familiare venne a significare "baldoria". La sede degli 'animali da festa' divenne, all'inizio del Novecento, una festa degli animali, o per lo meno la sua rappresentazione: lo Zoo di Lisbona. Fatto non meno divertente, ciò che restava del sito fu più di recente acquistato dal ministero dell'Istruzione e della Tecnologia, l'ente che ha commissionato il progetto del Teatro Thália.
Passiamo alla storia dell'edificio: un piccolo teatro costruito di fronte alla dimora del conte Farrobo, e intitolato a una delle nove Muse, Talia (Thália in portoghese), Musa della commedia. Il conte, che si occupava anche di produzioni liriche, incaricò nel 1842 della ristrutturazione del suo salotto e del suo teatro, costruiti in origine nel 1820, l'architetto italiano Fortunato Lodi. Gli scritti dell'epoca notano l'eleganza e l'opulenza di questi seguaci di Talia nonché l'audacia tecnica della costruzione: un teatro futuristico, illuminato a gas vent'anni prima che lo fossero le vie di Lisbona.
L'iscrizione latina Hic mores hominum castigantur ("Qui si castigano i comportamenti umani") sul fregio all'ingresso del teatro rivela il genere di commedia per cui era pensato: la satira. Questo particolare genere comico è basato sulla realtà ma gioca sull'ironia, sull'arguzia e sul sarcasmo per denunciare debolezze ed errori. Curiosamente, come altre sovraccariche sedi di divertimento e di cultura precedenti, anche il Teatro Thália andò in fiamme, per la distrazione di un addetto alla manutenzione. E in quello stato rimase per centocinquant'anni, memore del proprio motto, a ridere ironicamente della sua duplice rovina: quella fisica provocata dal fuoco e quella sociale del suo ricco costruttore.
Castigare le convenzioni oltre la gabbia delle scimmie
Come ricostruire i ruderi di questo teatro della satira, a un tiro di schioppo dalla gabbia delle scimmie dello zoo? Gli architetti Gonçalo Byrne e Barbas Lopes hanno puntato sugli elementi letterari: arguzia, ironia e satira.
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- Joaquim Moreno
- 25 marzo 2013
- Lisbona
Come ricostruire i ruderi di questo teatro della satira, a un tiro di schioppo dalla gabbia delle scimmie dello zoo, con inconfondibili ventate di escrementi d'elefante da una parte e una strada trafficata dai marciapiedi stretti dall'altra? Gli architetti Gonçalo Byrne e Barbas Lopes hanno puntato sugli elementi letterari: arguzia, ironia e satira. L'esigenza di un uso simbolico dei materiali – il tipo d'uso che li rende materiali letterari, della medesima sostanza dei sogni e dei simboli – è chiarita dagli architetti con un appello alle parole di Gottfried Semper in I quattro elementi dell'architettura: "In tempi antichi e moderni il repertorio formale dell'architettura è spesso stato definito come in massima parte condizionato e originato dal materiale; e tuttavia, considerando la costruzione come la parte essenziale dell'architettura, pensando di liberarla da false superfetazioni, l'abbiamo posta in catene. L'architettura, come la natura, sua grande maestra, dovrebbe scegliere e applicare i propri materiali secondo le leggi dettate da quest'ultima; e non dovrebbe forse altresì mettere la forma e il carattere delle sue creazioni al servizio delle idee che esse incarnano, e non della materia?".
Per Semper la forma è materia della rappresentazione, sia pure della sua natura simbolica. Lo spostamento e l'esasperazione della "verità costruttiva" possono allo stesso modo essere costruiti in forma di satira. Quando i materiali recitano la parte di se stessi, recitano una commedia architettonica serissima. La prima scena progettuale di questa rappresentazione consisteva nel ricreare la scenografia dei ruderi, eliminando un incongruo edificio di tre piani che dava sulla strada. Non era più un teatro domestico, e quindi la maschera domestica è stata la prima a sparire. Il rudere era ora una convincente rappresentazione di forme pura nella luce. Peristilio, foyer, platea e palcoscenico tornarono a essere una sequenza di spazi teatrali oltre che atti differenti della rappresentazione in corso.
Il peristilio fu restaurato nella sua marmorea eleganza, ma reso più fantasioso, più intenso, sostituendo la pavimentazione di pietra e le piastrelle con il lioz, pietra calcarea locale di pregio. L'iscrizione latina, riportata al suo posto nel fregio ma ora un po' distanziata, proietta un'ombra sul monito della satira. L'ottone lucido delle porte d'ingresso vetrate completa il raffinato prologo. Il secondo atto, il foyer, è ambientato alla maniera neoclassica, in partizioni fitte e sviluppate in altezza, attentamente calibrate con un fregio scanalato. Il fregio è realizzato con elementi di polistirolo espanso, le finestre hanno una strombatura che collega interno ed esterno, i telai scanalati sono di policarbonato verniciato, ma il pavimento e i pannelli laterali sono di pietra. La netta luce artificiale fornita dalle ultime finestre dell'edificio prelude all'oscurità dell'atto finale, dove la platea e il palcoscenico sono spettacolarmente unificati.
Qui la struttura dei ruderi è stata letteralmente integrata, innestata su una nuova epidermide. Il calcestruzzo è stato usato per consolidare ciò che dal punto di vista meccanico ne era la corrispondente cassaforma. La rovina è il negativo sul quale è stata colata la nuova forma. Questo processo di colatura ha cancellato tutti gli elementi non strutturali dell'antico teatro, tutte le sue finzioni sceniche. E così molte manipolazioni letterarie di teoria dell'architettura qui vengono materialmente castigate con il calcestruzzo, i mattoni, la malta e l'acciaio. Ogni particolare di quest'ultimo atto è drammatico e diventa un personaggio della rappresentazione. L'acciaio strutturale è usato per scopi non strutturali, a favore della luce e del suono. I muri interni sono stati privati della finitura e dei segni della sua distruzione. Senza rivestimento ora rimangono nudi. Tutte le finestre sono state chiuse e la luce naturale è stata messa in scena grazie a un raggio di luce che segna il tempo attraverso un lucernario sull'orlo del palcoscenico. L'isolamento del tetto è stato ottenuto grazie al più letterario dei materiali riciclati della scenografia: la cartapesta, in questo caso in versione spray. Pesanti texture e leggerezza per le finiture di questa trasformazione quasi semperiana di un interno in una decorazione superficiale: non proprio un tessuto, non proprio un testo.
L'esterno del contenitore – il puro volume che racchiude il Teatro Thália – è rivestito di cemento trattato con una finitura chimica: il materiale letterario finale. La texture uniforme del cemento a vista, colorata in toni terrosi, non ha ricevuto una finitura meccanica. Un mordente chimico è stato applicato per conferire un motivo decorativo alla superficie del cemento a vista, creando istantaneamente una patina e quindi una memoria altrettanto istantanea: una memoria integrata. Specchi color bronzo inquadrano gli spazi di servizio. Il nuovo confine urbano del teatro rispecchia la strada e chi passa, facendone un inconscio attore della rappresentazione cui solo il pubblico dentro il teatro può assistere.