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Fine di un esperimento

A gennaio la galleria Program, Initiative for Art and Architecture Collaborations, di Berlino chiude i battenti.

Le gallerie di architettura lavorano per lo più in modo analogo ai musei di architettura: mostrano, cioè, rappresentazioni bi- o tridimensionali di progetti già realizzati in forma di disegni, foto oppure modelli plastici. Se però si concepisce l'architettura come una disciplina culturale, conoscibile non osservando una riproduzione bensì grazie a un momento esperienziale fisico, i metodi tradizionali della presentazione di opere architettoniche risultano del tutto inadeguati. Fondando nel 2006 Program, Initiative for Art and Architecture Collaborations, Carson Chan e Fotini Lazaridou-Hatzigoga – entrambi laureati alla Graduate School of Design di Harvard in Storia e Teoria dell'architettura – hanno deciso di esplorare nuove vie nel modo di esibire l'architettura. L'idea era venuta a Chan mentre lavorava a Oswald Matthias Ungers alla Neue Nationalgalerie a Berlino, esposizione che gli aveva richiesto un ripensamento radicale della teoria e della pratica di mostre di architettura. Nei pressi del suo appartamento nel quartiere Mitte trovò uno spazio in affitto a un prezzo vantaggioso al piano terra del leggendario hotel russo Newa, nella sala che era stata il ristorante dell'albergo. Insieme a Lazaridou-Hatzigoga decise di cogliere questa opportunità per inaugurare un nuovo progetto di galleria. Nessun'altra città al mondo avrebbe potuto rivelarsi più adatta, giacché qui all'epoca era facile trovare spazi a buon mercato con un articolato passato storico, in più la scena artistica internazionale che si muove nella metropoli è particolarmente attiva. Anche la posizione in Invalidenstrasse, tra l'Hamburger Bahnhof, il Museo del presente e il Galerieviertel in Auguststrasse, era ottimale.
Raurouw, <i>shock control regression adaptation</i>, 2010
Raurouw, shock control regression adaptation, 2010
L'obiettivo principale della nuova galleria era rendere l'architettura oggetto immediato della mostra, cercando di usare il meno possibile le riproduzioni. Il progetto, iniziato senza che nessuno dei suoi fondatori avesse esperienze pregresse, si è rivelato presto una delle creazioni più importanti della scena espositiva berlinese, che ha attirato su di sé grande attenzione da tutto il mondo. Già nel gennaio del 2007, con l'installazione In the Absence of Unambiguous Criteria dell'artista Rodney LaTourelle, il profilo di Program è apparso subito riconoscibile: in un'installazione labirintica il visitatore poteva accorgersi degli effetti diretti del colore e della percezione dello spazio. Anche Nonspheres IV di Luis Berrios-Negrón e The Traffic of Clouds di Hackenbroich Architekten con Jan Christensen (entrambe del 2007) erano installazioni progettate architettonicamente, che operavano una vera e propria metamorfosi dello spazio espositivo lungo tutta la durata della mostra.
Un momento di discussione nella biblioteca di PROGRAM
Un momento di discussione nella biblioteca di PROGRAM
went to get wood di Ethan Hayes-Chute (2008/2009) traduceva pragmaticamente la teoria della capanna primordiale come cellula germinale dell'architettura in una dimora informale creata con il materiale disponibile. Come estrema conseguenza di questo perenne confronto con lo spazio pre-esistente della galleria, nel 2008 Sophie Dejode, Bertram Lacombe e Philip Vormwald hanno creato la loro opera Thirty-Two Fingers. Per l'occasione hanno costruito una copia in scala ridotta della galleria nella galleria stessa, che produceva una totale irritazione della percezione dello spazio e delle dimensioni. L'artista finlandese Eemil Karila con il suo Surface Values ha invece reso visibile le forze sociali che si muovono dietro l'architettura, forze che altrimenti sarebbero rimaste impercettibili per il visitatore: gli addetti alle pulizie lavavano il pavimento con un liquido speciale, le cui tracce restavano segnate da una luce fluorescente. E l'artista israeliano Ariel Reichman nell'aprile 2009 con Legal Settlement ha trasformato per sei settimane la galleria in un luogo di confronto radicale sulle questioni di territorio e di spazio vitale individuale. Built on Promises di Matthias Ballestrem e Anton Burdakov (2010/2011) invece prendeva di nuovo spunto dalle tradizionali presentazioni di architettura basate su modelli e fotografie per produrre un'installazione spaziale nella galleria al fine di distruggerla e restituirla alla rappresentazione del visitatore attraverso la sua documentazione mediatica.
Dal costante tentativo di ridefinire il medium mostra di architettura da prospettive sempre nuove e diverse, lasciando fluire i confini tra arte, musica, danza, film, performance e altre discipline, veniva l'impronta del peculiare profilo di Program e delle sue dinamiche
Vista esterna di PROGRAM
Vista esterna di PROGRAM
Dal costante tentativo di ridefinire il medium mostra di architettura da prospettive sempre nuove e diverse, lasciando fluire i confini tra arte, musica, danza, film, performance e altre discipline, veniva l'impronta del peculiare profilo di Program e delle sue dinamiche. La pratica sperimentale generava nuove idee per la teoria di una mostra di architettura. Il grande successo si basava anche sull'avveduta decisione di armare di tavoli una sala posta sul retro affittando ai creativi spazi per lavorare temporaneamente. Questo ha assicurato a lungo il sostentamento finanziario dell'istituzione, creando al contempo un think-tank informale, in costante rinnovamento, dal quale sono nate parecchie idee per la galleria e per il suo calendario di eventi. Nello spazio posteriore c'era inoltre un atelier nel quale artisti e architetti si davano il cambio per dei soggiorni a Berlino lunghi fino a tre mesi. Questa combinazione di galleria, spazio di lavoro temporaneo e programmi di artists-in-residence era unica e ha prodotto uno scambio durevole e fecondo non soltanto all'interno del team di Program, ma anche con altre forze creative e istituzioni cittadine. Attraverso workshop per studenti, in collaborazione con diverse università internazionali, infine, la galleria ha esteso la sua idea anche in una dimensione accademica.
Lynne Marsh e June14, <i>The Philharmonie Project (Nielsen: Symphony No. 5)</i>, 2011. Photo Trevor Good
Lynne Marsh e June14, The Philharmonie Project (Nielsen: Symphony No. 5), 2011. Photo Trevor Good
Dopo trentatré mostre, oltre ventidue artists-in-residence e innumerevoli conferenze, proiezioni di film, simposi, workshop e altri eventi, nel gennaio 2012 Program chiude i battenti. Alla scadenza del contratto, infatti, gli affittuari hanno chiesto una cifra troppo esosa perché la galleria, costituita come organizzazione non-profit, possa permettersela. È un vero peccato, visto che mette fine a un'iniziativa estremamente fruttuosa. La scelta di Chan e Lazaridou-Hatzigoga di non cercare una nuova sede, però, appare coerente; in questo modo Program può fermarsi prima che le sue forze propulsorie si paralizzino: "Se fai una cosa per troppo tempo, le persone smetteranno di interrogarsi su quello che fai" dice Chan, che adesso insieme a Lazaridou-Hatzigoga può guardare al lavoro svolto da una certa distanza, anche in vista di nuovi eventi. A Berlino si sentirà la mancanza di Program come istituzione, ma nei suoi cinque anni di vita questa galleria ha fornito un contributo decisivo a dare una nuova collocazione al medium mostra di architettura nel panorama contemporaneo. Andres Lepik
Lynne Marsh e June14, <i>The Philharmonie Project (Nielsen: Symphony No. 5)</i>, 2011. Photo Trevor Good
Lynne Marsh e June14, The Philharmonie Project (Nielsen: Symphony No. 5), 2011. Photo Trevor Good
Alexandros Tsolakis, Bastian Wibranek e Sebastian Kriegsmann, <i>Disconnect</i>, 2011. Photo Elsa Thorp
Alexandros Tsolakis, Bastian Wibranek e Sebastian Kriegsmann, Disconnect, 2011. Photo Elsa Thorp
Lo spazio di coworking all'interno della galleria PROGRAM, 2009
Lo spazio di coworking all'interno della galleria PROGRAM, 2009
I direttori e fondatori di PROGRAM Carson Chan e Fotini Lazaridou-Hatzigoga
I direttori e fondatori di PROGRAM Carson Chan e Fotini Lazaridou-Hatzigoga
<i>Ueberleben</i>, mostra collettiva curata da Sophie Hamacher e Louise Witthöft, 2008
Ueberleben, mostra collettiva curata da Sophie Hamacher e Louise Witthöft, 2008

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