Siamo nella parte orientale di Londra e Matthew Butcher, una delle due metà di "Choreographing You", la mostra di quest'anno della Hayward Gallery, a "Monuments of the Near Future" presso la Nottingham Contemporarye allo spazio interdisciplinare londinese "About a Minute". Lavorano anche a un libro per la Koenig Publications, a una mostra sul progetto della performance per il Victoria & Albert e a un'emittente radiofonica sperimentale dell'Essex; il tutto da completare entro l'anno.
Con il sostegno delle loro varie attività accademiche e la loro facilità a superare i confini disciplinari, i soci di Post Works rappresentano bene la componente di crescente fluidità che prevale tra i giovani studi d'architettura londinesi.
Post Works: attratti dalla performance
Melissa Appleton e Matthew Butcher raccontano la loro predisposizione a impostare la pratica professionale in forme poco convenzionali.
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- Beatrice Galilee
- 01 febbraio 2011
- Londra
Lo studio è nato nel 2008 su un progetto per dotare di uno sfondo cinetico una performance la cui coreografia era della madre di Matthew, Rosemary Butcher, che avrebbe dato il la ai futuri sviluppi. "Ci ha dato un più deciso atteggiamento di sperimentazione nei confronti della professione", dichiara Matthew Butcher, "il senso dei confini dell'architettura: coreografia, artisti, ambiente. Sfere che l'architettura non può raggiungere".
Il progetto realizzato consisteva in una serie di griglie, concepite dopo una settimana di lavoro a stretto contatto con i danzatori. Come nota Butcher si realizza una tensione con lo spazio bidimensionale degli architetti che fa riferimento a Bernard Tschumi e alla pratica postmoderna. "C'è la satira di un certo fallimento nel rappresentare realmente lo spazio da parte dei disegni d'architettura", scherza.
Il padre di Melissa Appleton è un artista sonoro e la madre di Butcher è coreografa; c'era quindi in entrambi una specie di predisposizione genetica a impostare la loro pratica professionale in forme meno convenzionali. Rifiutano l'idea di essere stati attratti dalla performance per la mancanza di altre possibilità architettoniche formali. "C'era la voglia di lavorare facendo arte. Abbiamo preso una decisione informata", afferma Butcher. "Ci piace pensare alla collaborazione con altre discipline. E analogamente non c'è mai stata la sensazione di sconfinare da una disciplina all'altra. Succede senza intenzione, perché i confini sono meno chiari."
C’è la satira di un certo fallimento nel rappresentare realmente lo spazio da parte dei disegni d’architettura
La collaborazione dei due con Rosemary Butcher è proseguita con un'altra performance che solidificava il più sperimentale lavoro bidimensionale in un'installazione tridimensionale. Poi, sempre quest'anno, con una collaborazione tra Butcher, Edward Burdis e Pablo Bronstein per ricreare gli 18 Happenings in 6 Parts del performer americano Allan Kaprow alla Royal Festival Hall.
L'impianto economico di queste imprese è precario. I due spiegano che il modello che adottano si basa sulle donazioni, cui si aggiunge il loro lavoro universitario. La sinergia tra formazione e professione è sempre stata stretta, ma per gli architetti in epoca di recessione è intensa. L'accademia per Post Works è anche un luogo di sperimentazione di idee che non troverebbero spazio concreto fuori dell'aula? Per Butcher la risposta è negativa: "Siamo ben convinti che non dobbiamo chiedere agli studenti di rispondere alle nostre idee. A loro non porta alcun vantaggio e noi non sempre li cerchiamo. L'insegnamento è uno dei pochi luoghi della ricerca in architettura, ed è vergognoso quando diventa anche un metodo per ottenere dei risultati pratici".
La natura rapida del loro lavoro è molto più attraente della sgobbata di una costruzione che si fa aspettare per quattro anni, dei rischi e delle tribolazioni del cantiere. E, ammettono con qualche vergogna, come architetti non sono compiutamente competenti. "È anche una questione di tempi di lavoro", dichiara Melissa Appleton, descrivendo il processo del lavoro di scenografia. "Abbiamo una lunga fase di ricerca, poi una fase di produzione in cui lavoriamo intensamente sul puro e semplice processo costruttivo. C'è un budget e c'è l'evento: è molto rapido. Ci godiamo il processo decisionale del progetto, per cui è irrilevante se poi dura o no. Si finisce a quattro passi di distanza da dove si era prima, e poi si può prendere e andarsene col progetto."
Malgrado le loro esitazioni a dedicarsi a un'architettura più tradizionale, finora il progetto che più ci si avvicina è un'emittente radiofonica effimera chiamata Writtle Calling, che sarà costruita la prossima primavera in un campo dell'Essex. Conserva la loro impostazione di lavoro in direzione di un'architettura "basata sull'evento".
Il progetto dell'emittente, benché sia solo sulla carta, suggerisce una forma progettuale più convenzionale di quella vista nelle loro performance e nelle loro scenografie. Le linee che hanno articolato, le forme e la composizione sono visibili in due dimensioni e sarà molto interessante osservare l loro transizione da veduta compositiva a negoziazione di spazio e funzione.
L'emittente radiofonica è un esperimento, forse ansiogeno, ma entrambi si illuminano quando parliamo del loro prossimo progetto di libro. In collaborazione con Bronstein stanno realizzando un saggio critico sull'architettura "Neo georgiana" di Londra: la forma priva di stile apparentemente scelta dal catalogo delle tipologie architettoniche senza una ragione precisa, che costituisce il banale sfondo delle residenze borghesi e degli edifici pubblici degli anni Ottanta. "È talmente anodina che è diventata parte della nostra psiche: è accettabile perché è predominante. Dai frontoni prefabbricati sotto vuoto agli architravi stampati in fibra di vetro. Sono una follia ma documentarli è stato affascinante." Il libro sarà pubblicato quest'anno da Koenig.
Ci fermiamo qui e riflettiamo un po' sulle collaborazioni e sul livello di visibilità che questo giovanissimo studio ha raggiunto in breve tempo. La capacità di mediare e di articolare performance e architettura dei due soci, continuando a conservare la loro identità, sarà la chiave dei loro futuri progetti, che si tratti di una mostra in una galleria oppure della galleria stessa. Beatrice Galilee