Quando nel gennaio del 1897,
in una conferenza alla Royal Institution di Londra, lo scienziato bengalese
Jagadis Chandra Bose presentò le sue ultime ricerche, l'accoglienza dei colleghi
inglesi fu tiepida e diffidente. Bose dimostrava una sostanziale continuità
e unità fra il mondo vivente e quello considerato inanimato, spaziando dalla
trasmissione delle onde elettromagnetiche, campo in cui aveva preceduto
Marconi di qualche anno, fino alle ricerche sulla sensibilità delle piante, che
portavano a pensarle non più come esseri inanimati ma, al contrario, dotati
di sensibilità e capacità cognitive.
Quello che induceva gli europei a diffidare dell'orientale era precisamente
ciò che aveva permesso a lui di arrivare a quei risultati: una visione diversa
del mondo. Da una parte, la nostra, occidentale, che dal Seicento procede
per divisioni e specializzazioni fino a rendere difficilissima l'interazione fra
una disciplina e un'altra. Dall'altra la concezione di una sostanziale unità
del mondo, in cui continuità, trasformazione e movimento stanno alla base
del reale. Bose, che non a caso ebbe Bergson fra i suoi sostenitori, era cresciuto
in una cultura che aveva facilitato l'ideazione di una continuità fra
mondo animato e inanimato, e da lì a cercarne le prove il passo fu breve.
La forma del pensiero occidentale non gli avrebbe permesso neppure di
arrivare a immaginarla.
La ripresa seria degli studi iniziati dal bengalese avrebbe dovuto aspettare
quasi un secolo; solo l'avvicinamento all'idea di una sostanziale unità del reale,
raggiunta nella seconda metà del Novecento dalla scienza ufficiale occidentale,
poté creare quel substrato in grado di permettere l'avvio di ricerche
in quella direzione. Uno dei centri più avanzati e riconosciuti in questi studi
è in Italia: il Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale diretto da
Stefano Mancuso a Firenze. "Il LINV lavora sull'ipotesi che il funzionamento
a livello cellulare delle piante non è molto diverso da quello degli animali. La
vita è una cosa unica, le differenze tra animali e vegetali sono una sovrastruttura
umana che non ha nulla a che fare con la realtà delle cose. È del LINV
la scoperta di una zona nella radice che ha un'attività elettrica spontanea
similare all'attività neurologica. Una specie di 'cervello' delle piante che
si trova sulla punta delle radici. Un altro nostro filone di ricerca riguarda il
sonno, che è legato alla coscienza".
Facendo questa breve selezione di architetture 'verdi' rivolte al futuro, sono
stato immediatamente colpito dal fatto che molti dei progettisti che stanno
lavorando in questa direzione sono di origine asiatica, e più precisamente
coreana. Viene da pensare che lo stesso sistema di pensiero che ha portato
Bose a non fermarsi di fronte alle divisioni disciplinari stia portando gli
architetti orientali a usare disinvoltamente le piante in architettura. Nelle
proposte di Kyungam, MAD, Mass Studies, Unsangdong è evidente una grande
carica utopica, quasi la volontà di creare nuovi mondi. Diverso l'atteggiamento
dei francesi; il lavoro di François Roche presuppone quella grande
e raffinatissima tradizione che ha fatto della Francia un modello per chi si
occupa di paesaggio e di verde tecnico, mentre nelle proposte immaginifiche
e futuristiche di Vincent Callebaut s'intravede una cultura cinematografica
dell'immagine. Uno spirito più pragmatico è visibile nel progetto italiano
dello Studio Iosa Ghini per un parcheggio a Roma. Non è un caso che le
torri verdi degli olandesi MVRDV abbiano vinto un concorso a Seoul, e che gli inglesi Grant Associates e Wilkinson Eyre Architects propongano i loro
giardini tecnologici per la baia di Singapore. L'Oriente è la palestra delle
nuove utopie insieme a Dubai, vero luogo dell'immaginario architettonico
di questo inizio secolo, dove trovano spazio i progetti di grandi gruppi internazionali
come lo Studio Atkins.
Ho sperimentato concretamente quanto sia difficile far dialogare insieme
architettura, agraria, botanica, florovivaismo. È un'impresa la cui attuazione
richiede veramente una forte motivazione. Gli operatori, nel migliore dei
casi, si guardano con diffidenza, ognuno arroccato sulle 'conquiste' della
propria disciplina, ognuno con il proprio linguaggio particolare. Qui è
richiesto lo stesso sforzo che Bose implicitamente chiese agli scienziati inglesi,
quello di abbandonare i confini disciplinari per andare verso una diversa
concezione del reale o, se vogliamo restringere il campo d'azione, dello
spazio abitato dall'uomo dove non ci sia più contrapposizione fra natura
e architettura; un'idea di luogo in cui la vita vegetale torni a essere quello
che è stata per noi umani per oltre 9/10 della nostra esistenza sulla Terra,
cioè il nostro vero ambiente e come tale quello che più riesce a soddisfare
le nostre esigenze.
Un grande tema di questi anni è lo sviluppo di coltivazioni urbane. Qui
vediamo le vertical farm del canadese Scott Romses, dei francesi Atelier Soa
e degli italiani Studiomobile, palesemente debitori delle atmosfere di Flash
Gordon. Il rapporto di dipendenza di noi umani dall'elemento vegetale
diventa evidente e con esso la relazione, molto meno scontata, fra agricoltura
e architettura, fino a oggi due zone in netta contrapposizione, che ora invece
s'intersecano e si uniscono. D'altra parte basta scavare solo un po' nell'origine
mitologica di entrambe, per trovarsi di fronte a una sostanziale unità. Così
come nella fondazione di ogni spazio umano, che sia una città o un edificio,
"l'agricoltura in origine fu percepita come un atto violento, in quanto l'uomo,
praticandola, brutalizzava la natura, sua madre, e la dominava, al contrario
di ciò che avveniva con l'orticoltura, che è una collaborazione intima,
pacifica e addirittura simbiotica con la terra-nutrice".
Utopie 'molto' verdi
L'idea panteistica del mondo e delle cose è alla base delle convergenze disciplinari in grado di condurre a una 'Vera' ipotesi natura listica dell'architettura.
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- Maurizio Corrado
- 17 maggio 2010
- Firenze