Design Cino Zucchi Architetti con Visser van Aalderen Architecten. Testo Stefano Casciani. Foto Allard van der Hoek. Anche per chi come me non è esperto
di Teoria delle Catastrofi, la poetica denominazione
di questa applicazione matematica
della topologia allo studio della natura
fa pensare che proprio da situazioni di caos
improvviso possano nascere nuove forme di
vita: ma anche, come in questo progetto, nuove
specie di architetture.
La narratività (parola adorata da critici e
progettisti anglosassoni) della costruzione è
già nel caso che ne ha determinato la nascita
uno dei più terribili disastri della storia olandese:
il 13 maggio del 2000 nei depositi della SE
Fireworks s'incendiano ed esplodono 177 tonnellate
di fuochi d'artificio. Vengono distrutte
1.500 case, 22 persone muoiono, 947 rimangono
ferite e 1.250 restano senza casa. Sul luogo dell'immensa
esplosione rimane un triste monumento
in ferro, sul quale è riprodotta l'area
originalmente occupata dalla fabbrica SE:
più vero e vitale
monumento alla
catastrofe sembra,
invece, il
quartiere risorto
sull'area stessa,
immaginato nelle
sue linee generali
da de Architekten
Cie., lo studio
olandese di Pi de
Bruijn e soci.
Proprio De
Bruijn si rivolge
un giorno a
Cino Zucchi per
proporgli il progetto
di una villa
situata lungo
il Museumlaan
– la nuova strada che unisce due musei alle
estremità di Enschede – destinata a un medico
interessato all'architettura contemporanea. Il
piano generale prevede per il lotto destinato
a ospitare la villa una volumetria modulata
sull'arretramento dei piani, una progressiva
smaterializzazione della massa edilizia, ad
accentuarne la verticalità e a stabilirne la
decisa modernità.
Il tema, non nuovo anzi già ampiamente
sperimentato nella Mitteleuropa degli anni
Trenta, viene sviluppato da Zucchi prima di tutto
sulla base delle conversazioni avute con la
famiglia del committente a proposito del vivere
quotidiano (si scopre, ad esempio, una moglie
che ama cucinare, osservando contemporaneamente
il movimento delle persone al di fuori). Il
disegno dell'interno si sviluppa così organicamente
all'idea di una "casa dei sogni", come
nei tanti piccoli spazi supplementari – più intimi
rispetto alle aree comuni – generati dall'articolazione
dei collegamenti tra i diversi livelli, o
nelle varie zone trasparenti verso l'esterno, collocate
in modo apparentemente casuale lungo
il perimetro dell'involucro edilizio.
La storia sarebbe però troppo lineare, se
non intervenisse nel progetto anche la personalità
del committente, allo stesso tempo affascinato
e convinto dell'idea di Zucchi, ma anche
determinato a lasciarvi tracce di autobiografia,
per virtù o per necessità. Da qui l'inserimento
di mobili piuttosto casuali, una balaustra scura
per la scala centrale tra i piani, e altre 'banalizzazioni' degli interni, peraltro dettagliatamente
curati da Zucchi: il quale però – vicino alle
idee molto chiare di Loos per quanto riguarda il
rapporto tra progettista e committente (è quest'ultimo
alla fine che dovrà abitare, magari
per sempre, nel lavoro dell'architetto) – non
appare particolarmente preoccupato di certe
piccole contaminazioni. È comprensibile, visto
che comunque l'esterno, la forma più visibile
dell'edificio, mostra incancellabile il suo segno
come abile organizzatore di equilibri instabili:
non una semplice sovrapposizione di volumi,
ma invece un loro studiatissimo movimento
nello spazio che imprime all'insieme una forte
dinamica, genera prospettive simultanee
diverse e un oggetto architettonico insolito,
solido e liquido al tempo stesso. Anche nell'esterno,
la decisione del committente di fare
economie nella 'facciata' posteriore rispetto
all'originale soluzione vetrata, sostituendola
con lamiere di zinco, non disturba troppo:
rende, invece, forse più interessante l'insieme,
aggiunge con la grande parete cieca e spezzata
una nota di enigma a un'architettura
che, altrimenti, troppo richiamerebbe l'idea di
scomposizione quadrimensionale, tanto cara
a Bruno Zevi quanto mutuata dai pionieri di
De Stijl, da Van Doesburg a Rietveld. Tra caos
come fonte di un nuovo ordine e totale casualità
del destino all'origine di questo racconto,
viene alla fine in mente la frase di Mallarmé
posta da Man Ray come assurda chiave di lettura
al suo film dadaista su un'altra celebre
architettura: la villa Noailles disegnata da Rob
Mallet-Stevens, in qualche modo predecessore,
se non ispiratore, della casa di Zucchi
a Enschede:
Un coup de dés jamais n'abolira le hasard.
"Un tiro di dadi non abolirà mai il caso"
o, almeno, il rischio che ogni progettista deve
correre per mostrarsi al mondo come autore,
possibilmente un po' sovversivo, anche davanti
alle imprevedibili conseguenze del destino.
Chance, chaos and order
Nella ricostruzione di un quartiere distrutto dalle fiamme a Enschede, al confine tra Olanda e Germania, Cino Zucchi ripropone con una villa l'unità dell'abitare, in un sottile equilibrio tra ordine e caos.
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- 01 aprile 2009
- Enschede