Con Les vacances de Monsieur Hulot, nel 1951, Jacques Tati è stato forse la prima personalità ad
aprire su Saint-Nazaire uno squarcio di leggerezza
in un quadro generale di vita piuttosto cupo.
Sia pure con toni ironici e malinconici, il film ha
costruito intorno alla cittadina bretone una
risonanza di località balneare, che in qualche modo
riscattava l'immagine radicata tra i francesi stessi di
un luogo grigio, dalla storia faticosa: un centro di
marinai e di operai, impiegati nelle grosse industrie
della zona, vessato dalle difficili condizioni
meteorologiche dell'Atlantico e uscito distrutto
all'85% dalla Seconda Guerra Mondiale (con il triste
primato di essere l'ultima città liberata d'Europa, tre
giorni dopo la firma dell'armistizio a Berlino).
Oggi, lo slogan adottato dalla municipalità,
impegnata a creare interesse e attrattiva per le
risorse locali soprattutto in competizione con
Nantes – la vicina sorella maggiore, in forte
sviluppo – è "Saint-Nazaire: l'énergie atlantique est
là". La formula sintetizza con incisività il programma
di rivitalizzazione che la cittadina sull'estuario della
Loira ha attivato dal 1990 con il Projet Global de
Développement, dopo un lungo periodo di crisi.
Con grande lungimiranza, gli amministratori hanno
voluto ripensare non solo gli inquadramenti
dell'espansione fisica urbana e il potenziamento
dei grandi poli industriali (i cantieri navali e
aeronautici), ma anche le nuove modalità della vita
sociale e culturale.
Negli ultimi anni, i 67.000 abitanti di Saint-Nazaire
hanno vissuto il processo di incremento di quartieri
residenziali e terziari con relativi servizi e
infrastrutture, hanno sperimentato lo sforzo di
ricucitura tra il centro urbano e la fascia marittima –
l'autentica area di vocazione della città – e hanno
condiviso un sistema articolato di iniziative culturali,
incentrate prevalentemente sul contemporaneo e
sapientemente infiltrate nel tessuto edilizio esistente.
Nessun grande gesto architettonico è stato
commissionato come elemento di attrazione per
contenere i numerosi progetti rivolti a un pubblico
differenziato. Tutti hanno trovato sede adeguata in
edifici storici, opportunamente convertiti allo scopo. Basta citare il festival annuale les Escales, dedicato
alle musiche del mondo, che attira fino a 40.000
spettatori, ospitato nella zona del porto; le Fanal, un
centro riconosciuto per spettacoli di teatro, canto,
circo, varietà, danza; Le Grand Café, che svolge
un'azione di servizio per l'arte contemporanea; il
Meet (Casa per scrittori stranieri e traduttori), luogo
di scambio tra intellettuali internazionali.
In questo senso è stato trasformato il paesaggio
mentale di Saint-Nazaire, non quello fisico. È stato
rifiutato il modello Bilbao a favore della linea, più
agile ma anche concettualmente più raffinata, già
adottata a Parigi nel Palais de Tokyo – risistemato
con tocchi invisibili dallo studio Lacaton & Vassal
come luogo interdisciplinare dedicato alla creazione
contemporanea – o a Karlsruhe nello ZKM – Centro
per arti e media, insediato in una ex fabbrica di armi
e munizioni, mantenuta sostanzialmente nel suo
stato originario.
A Saint-Nazaire c'è una vecchia costruzione
particolare sul porto che, proprio in questa strategia
culturale proiettata verso una circolarità del riuso, è
stata reintegrata alla vita della città dopo anni di
abbandono. È un monumento sui generis: un blocco
di 480.000 metri cubi di cemento, colati in un
parallelepipedo di 299 m di lunghezza, 124 m di
larghezza e 18 m di altezza. Immediatamente
identificabile come un bunker, fu in effetti realizzato
dalla Marina tedesca durante la Seconda Guerra
Mondiale come una delle basi più importanti dei suoi
sottomarini, gli U-Boot, dislocate lungo la costa
atlantica della Francia occupata.
Impenetrabile ostacolo tra la città e il mare, secondo
l'opinione di molti, 'inquietante', solo per citare la
definizione dei più, l'edificio ha oggi la potenza
d'immagine di una metafora, evidentemente colta
dal governo locale nel momento in cui ne ha stimato
la possibilità di inclusione e riutilizzo. Già nel 1998,
vincitore di un concorso sull'area, Manuel de
Solá-Morales ne ipotizzava il riuso come spazio
pubblico, da rendere permeabile in direzione
dell'acqua, con zone commerciali e di ristorazione,
un grande parcheggio e una strada-rampa che
conduceva al tetto, reso praticabile. Solo parte di
queste proposte è stata poi realizzata, come
l'accesso alla copertura, forse l'elemento urbano più
significativo. Ma la visione della municipalità negli
anni successivi è rimasta coerente, scendendo
giusto a compromessi più realistici per un intervento
concreto, e individuando progressive trasformazioni
del complesso per fasi, con una previsione di fine
lavori per il 2012.
Nel 2003 un nuovo concorso ha avuto come oggetto
il cosiddetto "Alvéole 14", una delle celle doppie di
ricovero per due sottomarini, con i corrispondenti
locali di servizio verso terra. Il programma riguardava
la creazione di una sala LiFE (Luogo internazionale
delle Forme Emergenti) e di una sala VIP (scena di
rappresentazione delle Musiche attuali), per una
superficie totale di 5.500 metri quadri.
Il giovane studio franco-berlinese LIN, formato da
Finn Geipel e Giulia Andi, risultato vincitore, ha
interpretato la memoria storica del luogo con
consapevole rispetto, lavorando sull'enigmaticità
attuale degli spazi e sulla semplicità della
circolazione. Una larga promenade rettilinea,
individuata da una regolare e leggera pioggia di luci
sospese, distribuisce con silenziosa discrezione le
'caverne' di spesso cemento armato, rimaste
brutalmente tali – infiltrazioni d'acqua e vecchie
scritte comprese. La strada interna, che già in
origine toccava tangenzialmente tutti i quattordici
bacini d'acqua, riporta ancora oggi le tracce dei
binari su cui correvano i vagoni per il trasporto dei
materiali pesanti.
Quasi nulle le sovrapposizioni di nuovi elementi,
ridotte all'inserimento di qualche scala metallica o di
tubature per l'impiantistica. Si avverte una sacralità
super partes, un approccio liberatorio, che spazza
via ogni questione etica sulla convenienza o meno di
conservare, e riutilizzare, episodi della storia nazista:
questione che ancora oggi è molto sentita da storici
e politici, tedeschi e non.
Nel progetto di LIN c'è comunque una preziosità un
po' sorprendente in tanto rigore. Sul tetto, in
corrispondenza dell'Alvéole 14, è stata montata una
cupola geodetica traslucida, prelevata
dall'aeroporto berlinese di Tempelhof, dove ospitava
un radar ormai in disuso. Qui è diventata un think
tank, un raccolto laboratorio sperimentale.
Un segnale per la città, illuminato di notte, che
qualcosa di nuovo nel bunker è avvenuto.
Arte nel bunker
Il poetico linguaggio di Finn Geipel e Giulia Andi trasforma una ex base per sottomarini sulla costa della Loira Atlantica in spazio per la musica e l'arte contemporanea. Progetto Finn Geipel, Giulia Andi (LIN). Testo Rita Capezzuto. Foto Christoph Kicherer.
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- 06 settembre 2007