di Elisabetta Alé
Preservare il genius loci di un ambiente urbano e progettare su di esso, in maniera creativa ed originale, la città del futuro, è ancora tra le sfide maggiori dell’architettura contemporanea, nonostante il tema sia caduto ultimamente in disgrazia perché considerato “poco attuale”. In nessun altro luogo come in America Latina, terreno di ‘mobile’ confine tra aleatorie definizioni di primo e terzo mondo, ancora piú pericolose quando proiettate nella sfera del costruito, l’importanza della contestualizzazione urbana e culturale di un’opera alimenta tuttora un acceso dibattito. In questo senso l’istituzione di una Biennale d’Architettura a Cuba, nonostante la genericità di questa prima edizione, può risultare di grande importanza. Significa aprire un nuovo spazio di confronto e dibattito che, come nel caso della Prima Biennale di Architettura che si svolgerà a Rotterdam nel 2003, può giungere ad avere un significato e un ruolo ben precisi entro determinati ambiti.
L’Avana, città dotata di un lunghissimo curriculum di sincretismo culturale, è conosciuta soprattutto grazie al suo centro storico coloniale perfettamente conservato (mosca bianca tra le capitali del Continente Latino, violentate dalla speculazione edilizia), grazie al quale nel 1982 è stata dichiarata dall’Unesco “Patrimonio dell’Umanità”. Ma questa città costituisce uno scenario totalmente composito e articolato, dove convivono i piú diversi ambienti architettonici e urbani: dai deliri Art Decó che la legano indissolubilmente con gli ambienti della Miami anni Trenta alla forte impronta lasciata dal Movimento Moderno sui quartieri di nuova espansione urbana. Dopo i fatti del ’59 il panorama si è evoluto ulteriormente, col passaggio obbligato (dato il segno delle trasformazioni politiche in atto) attraverso le utopie socialiste della prefabbricazione – in seguito criticamente smontate, pezzo per pezzo, sin dalla seconda metà degli anni Ottanta – alla ricerca di una valida alternativa (che alcuni infelici credettero - anche qui! - di intravedere in un posmoderno tropical che per fortuna non ha fatto troppi danni). Ultimamente la città si è ritrovata improvvisamente inserita nei circuiti internazionali turistici e di consumo, dopo decenni di relativo isolamento culturale ed economico. Questi fattori hanno dato luogo a panorama contemporaneo piuttosto movimentato, dove si spazia da operazioni di goffa mimesi stilistica, dovute a una eccessiva sacralizzazione del patrimonio storico urbano, all’acritica importazione di modelli, forme e immagini chiaramente pre-digeriti altrove.
Non mancano certamente gli esempi positivi, che rivelano l’esistenza di un forte dibattito interno, che immancabilmente sconfina dal campo puramente formale a quello tecnologico, economico e sociologico. Si tratta di una situazione che possiamo definire comune in ambito latinoamericano, ma che presenta a Cuba le sue peculiarità relative alla situazione politica ed economica del Paese. In tale particolare contesto i temi dell’identità culturale e architettonica assumono un ruolo che può diventare eccessivo e schematizzante, anche in un’epoca di sfrenata globalizzazione formale, soprattutto considerando gli ovvi rischi che una trattazione “ufficiale” di tali fattori può comportare in determinate situazioni socio-politiche.
La riflessione e il confronto aperto con esperienze, virtuali o concrete che siano, provenienti da tutto il mondo può senza dubbio alimentare in maniera costruttiva il dibattito attorno a questi e altri importanti temi, forse troppo spesso dimenticati dalle manifestazioni “sacre” dell’architettura contemporanea internazionale (per non parlare della pubblicazioni specializzate).
Prima Biennale d’Architettura dell’Avana
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- 03 gennaio 2002