Il vetro è quanto di più vicino abbiamo a un polimero dell’era spaziale. Fatto letteralmente di sabbia fusa, è una risorsa praticamente inesauribile. Può essere più solido e più resistente dell’acciaio in compressione. Generalmente, lo si fabbrica facendolo galleggiare su un mare di stagno fuso. Può essere trasparente, traslucido, riflettente e opaco. A partire dalla prima crisi del petrolio degli anni Settanta, il suo uso è stato regolamentato per rimediare ai quantitativi d’energia richiesti per riscaldare o raffrescare un edificio di vetro. L’industria ha risposto aumentando le unità di vetro isolante (Insulated Glass Unit) e i rivestimenti a risparmio energetico. A quanto pare, stiamo vivendo un’epoca in cui il vetro è malvisto, ritenuto generico e noioso rispetto agli edifici di pietra e mattoni di un tempo, ma è un materiale così versatile che troverà nuovi modi di trasformarsi per rispondere all’evoluzione continua della domanda. Iphone, elicotteri, automobili ed edifici erano oggetti solidi con aperture attraverso le quali guardare. Quando sono cambiati per adeguarsi alle richieste del mercato e della domanda, i parabrezza e i finestrini si sono ampliati fino a che l’intero involucro non è stato fatto con il vetro.

Per secoli, Venezia ha conservato di fatto il monopolio della vetreria d’alta qualità, sancita dal divieto ai vetrai di lasciare la Repubblica. Durante la realizzazione della Galleria degli specchi di Versailles, Luigi XIV spedì a Venezia i suoi emissari per convincere i vetrai a trasferirsi in Francia (o per rapirli), ponendo fine al monopolio. Da allora, il vetro è passato dal lusso all’ubiquità. Quello a specchio di Superstudio ricopriva le strutture monolitiche del Monumento continuo; le avanguardie intellettuali europee adottavano la realtà costruita dei centri urbani dell’America settentrionale. La composizione alla Edward Hopper della foto di Julius Shulman, in cui due signore conversano amabilmente nella Stahl House che sovrasta la matrice astratta della Los Angeles anni Sessanta, parla di un’architettura di pieni e vuoti: il vetro è assenza. Impenetrabilmente monolitico, si limita a riflettere ciò che gli sta intorno. Aperto e trasparente, sostituisce la materialità dell’architettura con una radiografia dei contenuti dell’abitazione: una vetrina di oggetti domestici.
Il vetro è un materiale camaleontico, capace di trasformarsi da trasparente a opaco, da assente a presente, da etereo a fisico.
Il mio primo incontro con un vetro che fosse più di un’assenza è stato in occasione di una visita accademica alla Kunsthaus di Peter Zumthor a Bregenz: un monolito squadrato interamente rivestito di lastre di vetro traslucide, montanti metallici e pilastri sostituiti da piccoli giunti. A prima vista lieve e aereo, dall’esterno il profilo delle scale e degli impianti si svela attraverso differenti ombre di traslucida glacialità. Guardando più da vicino, ci si rende conto che si tratta di un edificio interamente racchiuso nel calcestruzzo, con l’unica fonte di luce costituita dagli enormi controsoffitti. In un’impostazione dell’illuminazione naturale alla Louis Kahn, la sezione alterna, a strati, aree servite e di servizio, piani illuminanti e illuminati. Mi stupì quanto potesse essere bello e tattile un materiale ordinario.
A Parigi mi innamorai della Maison de verre di Pierre Chareau, che sostituiva la composizione convenzionale con un collage simile alla giustapposizione di elementi murari e d’arredo realizzati con attenzione. L’edificio era un assemblage di artefatti ben progettati. La veduta sostituita da un’intera parete di vetrocemento traslucido, che trasformava un cortile di servizio parigino in una scenografia futurista dall’atmosfera Zen. Non molto lontano, la Fondation Cartier di Jean Nouvel scioglieva edificio e giardino in un’esoterica reciprocità di trasparenze e riflessi. Il muro del giardino inteso come facciata dell’edificio, che imprigionava alberi tra lastre di vetro e creava confusione tra interno ed esterno.
Infine il Glass Pavilion di Kazuyo Sejima e Ryue Nishisawa per il Toledo Museum of Art, che ha portato il tradizionale concetto di poché a un nuovo livello sostituendo la superficie interna e quella esterna dello spessore murario con sottili fogli di vetro autoportante. La discrepanza tra le geometrie degli spazi adiacenti e i requisiti del controllo climatico e acustico viene risolta dal libero fluire di profili. Come nella pianta libera di Le Corbusier spinta all’estremo, spazi serviti e servizi, funzione e struttura sono intrecciati e presentati nell’intera architettura in un’infinita, penetrante foschia. Forma, contenuto e materiali fusi in un unico insieme.
Più tardi, il vetro pare attraversare un revival. Gli Apple store scelgono lastre più grandi e robuste, forzando le frontiere della tecnologia industriale. Neri Oxman usa le stampanti 3D per depositare strati di anelli di vetro fuso a formare pilastri scultorei, capacità di bellezza in cerca di applicazione pratica. In un recente incontro con Anne Holtrop, ho scoperto che c’è una sorta di ritorno ai fondamentali: l’uso di stampi di sabbia e forme di terra per colare, dare forma alle superfici e imprimere nel vetro decorazioni materiali che ricordano più la geologia e la glaciologia che non i tradizionali concetti della tecnologia. Nelle sue parole la trasmissione dell’informazione da materia a materia supera la risoluzione della sfera digitale, grazie alla natura analogica di atomi che comunicano tra loro senza l’inevitabile compressione e la successiva nuova espansione del mondo digitale. Grazie alle nuove sperimentazioni in Bahrein e Arabia Saudita, il vetro è sulla via di ritornare da materiale assente a solida sostanza.

All’intersezione della pratica di Oxman e Holtrop, noi di Big stiamo lavorando per la Nasa con la Icon al progetto e alla realizzazione di una stampante laser di prestazioni militari alimentata a energia solare, destinata alla Luna per fondere la polvere lunare in forma di ossidiana. Dragon di vetro lunare. Seguendo l’imperativo dell’uso di risorse locali, la sinterizzazione laser della regolite permette di portare con sé solo la stampante. Il processo non richiede prodotti chimici ed è alimentato dall’abbondanza di sole nelle aree permanentemente illuminate intorno ai poli lunari, senza il filtro delle particelle atmosferiche e le interruzioni notturne. Usare la potenza del Sole per trasformare la polvere in vetro significa anche realizzare il materiale più progredito e più primitivo di questa serie: un perfetto esempio di come questa sperimentazione materiale dell’umanità non segua un percorso lineare, ma sia un eterno ritorno, in cui ogni rivoluzione ci permette di rivisitare vecchie convenzioni con la freschezza della luce e della prospettiva offerta dalle scoperte più recenti, in un eterno anello di retroazione dal materiale all’utensile, al materiale, all’utensile…

In questo numero trovate un saggio di Sophie Wolf sul percorso evolutivo della tettonica del vetro. James O’Callaghan illustra le più recenti frontiere dell’ingegneria del vetro. Anders Solvarm (letteralmente, in svedese, “calore solare”) presenta la sua esperienza di vita in una casa di vetro passiva alimentata dall’energia solare, costruita da Naturvillan. In una conversazione con Kazuyo Sejima, si analizzano i concetti tettonici sorprendentemente pratici che permettono a Sanaa di immaginare e realizzare i progetti più poetici.
Oma e Olafur Eliasson ampliano con due padiglioni di vetro il Buffalo Akg Art Museum, mentre Zone of Utopia e Mathieu Forest trasformano in schermi serici dei cubi di vetro per creare un’illusione pressoché cinematica di gelo e materialità. Jean Verville usa delle lastre per trasformare un loft industriale in una casa che è tanto convenzionale quanto radicale, visivamente aperta ma fisicamente suddivisa. Tna crea un padiglione per mostre d’arte che quasi scompare in un bosco, mentre Katie Paterson e Zeller & Moye materializzano un miraggio di tubi in vetro colato simili a carotaggi di preziosi cristalli. La University of Pennsylvania usa l’integrazione tra progetto e ingegneria per creare un ponte con un puzzle 3D di elementi di vetro reciprocamente collegati.
Christopher Payne ci accompagna in un safari fotografico dietro le scene del fotogenico processo materiale della fabbricazione di enormi lenti da telescopio. Germans Ermičs usa la laminazione strutturale per eliminare i giunti tradizionali, mentre Paul Cocksedge utilizza la tecnica dello slumping per creare soffici collisioni tra lastre di vetro e famiglie di objet trouvé. Yuki Akari con il vetro borosilicato scolpisce le forme effimere degli spruzzi d’acqua e Robert Comploj trasforma il vetro soffiato in street art realizzando calchi in bolle di vetro di materiali quotidiani trovati nei rigagnoli. Infine, Dustin Yellin analizza la natura di ossimoro dei suoi collage di scultura e la relativa, letterale superficie profonda. Tutti insieme, scattano un’istantanea del settore del progetto e della fabbricazione che oggi ruota intorno a una potente corrente di sperimentazione e di riscoperta. Anche se la scatola di vetro alla Mies non sarà la forma definitiva d’architettura, questo materiale è di per sé un materiale camaleontico, capace di trasformarsi da trasparente a opaco, da assente a presente, da etereo a fisico.
Immagine di apertura: Big, The Spiral, 2023, New York, Stati Uniti. Foto Laurian Ghinitoiu