"A farla breve, era quello un tempo così simile al nostro che alcune fra le voci più autorevoli, quelle che più strillavano, insistevano a giudicarlo, nel bene e nel male, solamente per superlativi." Così scrisse Dickens, qualche riga dopo il celeberrimo incipit del Racconto di due città. Forse questi nostri non saranno i giorni migliori, ma nemmeno i peggiori. Di sicuro, sono giorni in cui una grande pressione ci sovrasta. Pressione che inesorabilmente spinge verso cambiamenti non più prorogabili, come individui, comunità, nazioni. Le città sono i luoghi dove questa pressione si fa inesorabilmente maggiore, dove concorrono forti spinte verso il cambiamento, con diversi gradi di priorità e complessità. Il diritto e l'accesso alla casa sono in cima alla lista: negli ultimi anni le difficoltà sono cresciute, in particolare per chi non è proprietario della propria abitazione, acuite da un forte differenziale di crescita tra le disponibilità delle famiglie e l'incremento dei canoni di locazione di mercato nelle aree urbane.

Lo Stato italiano, attraverso il tradizionale canale dell'edilizia residenziale sociale sovvenzionata, dispone di armi spuntate (tanto per farsi un'idea, le 34.000 abitazioni costruite nel 1984, sono diventate 1.900 nel 2004). Sono quindi indispensabili nuove pratiche e strategie di gestione e trasformazione delle aree, che sostituiscano o integrino i modelli di pianificazione urbana del secolo scorso. Questo per permettere e facilitare a diversi livelli l'inclusione di un numero sempre maggiore di attori e incentivare accordi tra le parti, in alternativa a una ormai anacronistica azione paternalista o coercitiva da parte dello Stato. Diversi studi e pubblicazioni trattano di nuovi modelli di pianificazione – perequativa, negoziata, consensuale. Alcuni (come il recente libro di Ezio Micelli La gestione dei piani urbanistici, Marsilio, 2011) vanno oltre, analizzando gli aspetti performativi e operativi di questi nuovi modelli, valutando le condizioni necessarie e gli equilibri fra investimento privato e pubblico, distribuzione del reddito e accrescimento dei beni collettivi. L'Italia è un Paese atipico rispetto alle tradizionali figure coinvolte nelle trasformazioni urbane (costruttore, developer, promotore, proprietario), dove i contorni tra una professione e un'altra spesso non sono netti. Due cantieri di housing sociale in fase di realizzazione a Milano, quello di via Cenni e quello di via Fratelli Zoia, sono interessanti e riusciti esempi di messa in pratica dei nuovi modelli inclusivi di pianificazione urbana. Gli attori teorizzati e prefigurati nei testi e negli studi assumono qui precise identità giuridiche e organizzative, rispondono ad opportunità fornite dalla pubblica amministrazione e declinano secondo un'efficace logica operativa e gestionale quell'ampio e complesso tema che è l'housing sociale.

Secondo la definizione del Cecodhas (il Comitato europeo di coordinamento per l'edilizia sociale), questo è "l'insieme delle attività volte a fornire alloggi adeguati a coloro che hanno difficoltà a soddisfare, alle condizioni di mercato, il proprio bisogno abitativo, a causa delle difficoltà di accesso al credito, in caso di acquisto, o per altri motivi". L'approccio può essere universale (il diritto alla casa è garantito dallo Stato e l'housing sociale funge da calmieratore del mercato) o mirato (lo Stato interviene a compensare le mancanze o i fallimenti di mercato). Secondo consuetudine, gli interventi di housing sociale non si limitano a rispondere al disagio abitativo attraverso la fornitura del bene casa, ma si occupano anche dei servizi abitativi a esso legati. L'alloggio sociale non è più limitato alla singola unità abitativa, ma include l'insieme dei servizi rivolti all'abitare. Fra i due settori dell'edilizia residenziale pubblica, sostenuto con contributi pubblici a fondo perduto, e dell'edilizia libera a condizioni di mercato, trova sempre maggiore interesse una terza condizione di offerta abitativa, finanziabile anche con investimenti privati a rendimenti etici (quindi non di elevato profitto). Mentre per molte delle competenze richieste per lo sviluppo di un'operazione immobiliare si possono trovare sul mercato in modo relativamente semplice le necessarie professionalità, la delicata fase di gestione e coordinamento richiede figure più rare nel panorama italiano. Ed è proprio per questo motivo che le due esperienze milanesi in corso sono rilevanti, in quanto esperienze inconsuete e ispirate a un modello di gestione, quello olandese, dove si trova il maggiore patrimonio immobiliare di housing sociale europeo. Un processo che prevede un crescente coinvolgimento di soggetti privati e una più mirata individuazione delle necessità dei futuri abitanti e dei quartieri coinvolti dagli interventi.

In via Cenni saranno realizzati circa 130 alloggi in locazione destinati a giovani e a famiglie di nuova formazione, per un totale di 9.000 mq di superficie lorda di pavimento, integrati da servizi per gli inquilini. Sono previsti due tipi di locazione, uno a canone calmierato e uno con patto di futuro acquisto. Questo intervento è stato promosso dalla Fondazione Housing Sociale (FHS), la quale ha poi lanciato il fondo immobiliare etico Abitare Sociale 1 (FAS1). Il FAS1, costituito nel 2006 e operante attualmente a Milano e Crema, è gestito da Polaris Investment Sgr (una Sgr è una società di gestione del risparmio, ndr). Elementi caratterizzanti del fondo sono l'attenzione verso il modello organizzativo e gli obiettivi di gestione, il raggiungimento di una ottimale mescolanza di abitanti, di servizi socio-abitativi, e l'uso di tecnologie costruttive all'avanguardia (via Cenni è il più grande progetto residenziale in Europa che utilizza un sistema di strutture portanti in legno). La FHS è nata nel 2004 con l'obiettivo di raggruppare e implementare le progettualità nell'ambito dell'housing sociale con un'ottica open source. Promossa dalla Fondazione Cariplo, in collaborazione con Regione Lombardia e ANCI Lombardia, l'esperienza della FHS ha poi dato lo spunto per la costituzione in ambito nazionale del Fondo Investimenti per l'Abitare, gestito da Cdpi Sgr, società di gestione del risparmio di cui sono azionisti Cassa Depositi e Prestiti (70%), l'Associazione delle Banche Italiane - Abi e l'Associazione delle Fondazioni di origine bancaria – Acri (15% ciascuna). In questo modo si sono poste le basi per il finanziamento dell'edilizia privata sociale, introducendo modalità di attuazione innovative e coinvolgendo significative risorse private.

Al momento, il Fondo ha un obiettivo pari a 2 miliardi di euro, una durata prevista di 30 anni, prevede un investimento esclusivo in beni di natura immobiliare e un rendimento obiettivo trentennale calmierato (pari al 2% oltre l'indice annuale di inflazione rilevato dall'Istat). Istituendo un limite massimo di partecipazione del fondo nazionale al 40% dei singoli interventi, si vuole responsabilizzare maggiormente a livello locale per quanto riguarda l'ideazione e l'operatività dei progetti, e le relative fonti di finanziamento (nella misura minima del 60%). Quella di via Cenni è una delle tre aree che sono state aggiudicate al Fondo Abitare Sociale 1 nel 2008 dal Comune di Milano e rappresenta solo una parte delle iniziative avviate dalla FHS: MaisonduMonde36, Abit@giovani e il master in housing sociale al POLI.design nella sola Milano, oltre a quelle in corso a Crema e Ascoli. Contemporaneamente al bando per le tre aree aggiudicate al FAS1, il Comune di Milano nel 2008 ha messo a bando altre otto aree a standard di proprietà comunale, con concessione in diritto di superficie novantennale, per la realizzazione di interventi di edilizia residenziale, a canone di locazione sociale, moderato e convenzionato e/o in godimento d'uso, e con prezzo di cessione convenzionato. Il bando, contrariamente ad alcune esperienze milanesi precedenti, era riservato agli operatori (non ai progettisti), richiedendo un'alta qualità progettuale e una comprovata abilità organizzativa e gestionale. La cooperative di abitanti Solidarnosc, capofila dell'intervento e aderente allo storico Consorzio Cooperative Lavoratori, e la cooperativa edificatrice Ferruccio Degradi si sono aggiudicate una di queste 8 aree, quella di via Fratelli Zoia, dove sono in fase di realizzazione 91 alloggi: 14 in affitto a canone sociale, 30 in affitto a canone convenzionato (pari a circa 70 euro/mq annuo), 47 assegnati in proprietà (a un prezzo di mercato di 1.900 euro/mq) per un totale di 5400 mq di superficie lorda di pavimento. Due dei tre edifici in costruzione sono destinati agli alloggi in proprietà dei soci delle cooperative di abitanti, mentre il terzo destinato all'affitto avrà nel suo interno luoghi di incontro e spazi di lavoro, servizi all'abitare e incubatori di impresa per giovani artigiani, artisti e professionisti (Zoia Officine Creative). Un progetto fortemente rivolto all'inclusione tra soci e quartiere e determinato da un obbligo imposto dal bando del comune di utilizzo del 5% della SLP per un progetto di accompagnamento sociale. Vista anche la dimensione relativamente contenuta dell'intervento, si vorrebbe qui sperimentare una nuova forma di architettura delle relazioni, dove una parte consistente dei servizi condivisi previsti saranno dedicati anche al quartiere limitrofo di case popolari, oltre alla nuova piazza per il mercato inclusa nell'intervento.

I costi bassi di assegnazione in proprietà e affitto (in via Zoia come in via Cenni) sono permessi dal fatto che il Comune si impegna alla cessione delle aree a costi calmierati o a titolo gratuito (come per l'affitto nel caso di Zoia, che sarà gestito direttamente dalle cooperative), garantendo le concessioni e diritti di superficie a lungo termine (solitamente per novanta anni). Come evidenzia Micelli, da un punto di vista economico, il Comune rinuncia – e quindi socializza – a una rendita di cui potrebbe altrimenti appropriarsi (come invece avviene nel caso delle alienazioni). Da un punto di vista urbanistico, impiega immobili pubblici per la produzione di beni privati dotati di valore sociale. Il tema della rigenerazione urbana e del consumo di nuovo suolo diventerà sempre più pressante, anche per la difficoltà, nel medio lungo termine, del reperimento di aree. Esperienze di questo genere non necessariamente richiedono la presenza di aree libere di proprietà pubblica ma possono anche riguardare beni immobiliari da riqualificare/ristrutturare (come per Abit@giovani). Possono essere integrate tramite strumenti finanziari, come finanziamenti concessi con tassi agevolati, e urbanistici, come perequazioni, compensazioni urbanistiche o premialità sui diritti edificatori. Sono questi i tempi in cui ripensiamo radicalmente la nostra vita, il nostro modo di stare al mondo, di relazionarci agli altri, il nostro modo di abitare. "Questo è il nostro ultimo ballo/Questo siamo noi/Sotto pressione", cantavano Bowie e i Queen.