A cavallo delle linee che marcano l'incrocio tra est e ovest, nord e sud, si colloca una di quelle zone geopolitiche calde, nelle quali guerre e rivoluzioni sono una costante. Ciò nonostante, i commentatori internazionali hanno scelto le crisi degli anni Cinquanta come punto di riferimento per quella odierna. Dopotutto, fu allora che la prima ondata imperialista manifestava la sua obsolescenza. Il capitale e la modernità si erano diffusi in tutto il mondo, permeando ogni forma di vita, ma nel far questo si erano disgregati, e le loro contraddizioni giunsero al capolinea in Algeria. Antica e al tempo stesso molto più avanzata, per la Francia modernista l'Algeria rappresentava l'Altro, un territorio che Le Corbusier propose di distruggere e razionalizzare con il Plan Obus (shrapnel), il suo tentativo più risoluto di implementare la guerra futurista contro il passato. Ma, anziché del sogno modernista e razionale dell'Occidente, l'Algeria divenne la culla del postmoderno.
Le sollevazioni popolari della guerra d'Algeria ispirarono una generazione di giovani ugualmente alienati tanto nel mondo colonizzato quanto in Occidente. Gillo Pontecorvo diede forma cinematografica alla spazialità di questa rivolta nel suo La Battaglia di Algeri, del 1966, una pellicola che illustrava la complessità tridimensionale della guerriglia urbana e delle casbah, e che sarebbe diventata un testo visuale chiave per una generazione di ribelli come le Black Panthers e il movimento di protesta contro la guerra in Vietnam. In Francia, dove il governo temeva potesse avere un ruolo destabilizzante, il film fu censurato. Tuttavia, mentre il dominio francese in Algeria tramontava, un'altra giovane generazione si scoprì ugualmente oppressa ed estraniata da una modernità che allo stesso modo le offriva pochissimo riconoscimento. Percependo che la ribellione si sarebbe allargata da nord a sud, gli amministratori coloniali furono richiamati a Parigi per implementare le loro interpretazioni del Plan Obus nelle banlieu di Parigi, spazi tardo-modernisti nei quali si continuavano a esiliare tanto il proletariato francese quanto la popolazione degli immigrati.
Contro questa svolta di colonizzazione interna verso il centro, la generazione del '68 propose quello spazio rizomatico ed eterotopico che era stato così chiaramente presentato ne La Battaglia di Algeri. Ma il film di Pontecorvo ha ispirato anche le forze militari controrivoluzionarie di tutto il mondo ad adottare il 'terrorismo di stato' contro i loro connazionali, in particolare l'uso della tortura nei confronti dei sospetti. In Argentina fu proiettato alla ESMA, la scuola della marina militare, terreno di addestramento per i soldati che in seguito, durante la Guerra Sporca, avrebbero impiegato i metodi dei colonizzatori francesi contro i civili del loro Paese. In Israele, La Battaglia di Algeri fu proiettata subito dopo il lancio della prima Intifada. E se la sinistra israeliana ha insistito sul fallimento della tortura nel film (i francesi vincono la battaglia ma perdono la guerra), la destra ha utilizzato la pellicola per dipingere tutti i civili palestinesi, bambini compresi, come terroristi. In più, come spiega Eyal Weizman, Israele è divenuta il leader nello sviluppo della guerriglia postmoderna, ideando strategie inedite per superare l'avversario nell'occupazione dello spazio rizomatico e usando persino il pensiero di Gilles Deleuze e Bernard Tschumi per sostenere le proprie teorie di guerriglia spaziale. In tempi più recenti, mentre le guerra in Iraq iniziava a prendere una brutta piega per le forze USA, i capi delle United States Special Operations hanno organizzato una proiezione de La Battaglia di Algeri al Pentagono.
La 'Primavera Araba' di quest'anno dimostra l'emergere di una nuova spazialità. Innanzitutto, com'è ovvio, ci sono la causa e l'oggetto della rivolta: la bolla del mercato immobiliare degli ultimi dieci anni ha ridisegnato i Paesi arabi, dove masse sottopagate hanno lavorato duro per costruire ville dal costo pazzesco ed enormi grattacieli per un'oligarchia il cui potere cresceva a dismisura. Con lo sgonfiarsi della bolla, i poveri hanno visto evaporare le prospettive di sopravvivenza economica e, con poco da perdere, si sono rivoltati contro i loro leader.
Questa volta però la battaglia non ha luogo nella casbah: con il diffondersi della cultura della rete, i confini tra spazio pubblico e privato si sono dissolti. Da una parte, questo indica la possibilità molto reale che le nostre comunicazioni elettroniche siano monitorate in modo permanente: quando i governi usano supercomputer e sistemi con 'pacchetti per l'ispezione approfondita' per analizzare il traffico, per 'passare attraverso i muri', come le forze di difesa israeliane fecero durante l'Intifada, gli esplosivi non sono più necessari. Inoltre, se la casbah non è più un nascondiglio, ci possono essere dei rovesciamenti di prospettiva. La perdita dei confini tra pubblico e privato consente ai ribelli di pensare in modo diverso: contro i tentacoli elusivi e rizomatici del capitale in rete, gli insorti hanno occupato spazi pubblici come piazza Tahrir al Cairo, in Egitto, o il Pearl Roundabout a Manama, nel Bahrein. E se i governanti di Egitto e Libia alla fine hanno oscurato Internet, la certezza che i media sociali e transnazionali, soprattutto Al Jazeera, avrebbero mostrato al mondo il loro messaggio e il pericolo a cui si stavano esponendo ha contribuito a rendere il rischio accettabile. Siamo solo a un primo stadio nel nuovo cambiamento di spazio e potere. Le sue manifestazioni architettoniche sono ancora tutt'altro che chiare, ma una cosa sembra sicura: la vecchia distinzione tra spazi fisici e virtuali sta scomparendo. In questo territorio dalla complessità senza precedenti, sviluppare strumenti di mappatura, rappresentazione e azione politica è compito della nostra generazione.
Kazys Varnelis, storico dell'architettura, è direttore del Netlab, Columbia gsapp