Il futuro della città è la città

Ricordiamo il presidente della Triennale Claudio De Albertis, da poco scomparso, con il suo ultimo articolo per Domus, nel quale scriveva che “È cruciale che la progettazione, le costruzioni e le tecnologie si sviluppino con una costante attenzione al comportamento e ai bisogni umani”.

Questo articolo è stato pubblicato su Domus 997, dicembre 2015.

 

La quota della popolazione mondiale residente nelle aree urbane ha superato la soglia del 50 per cento e il fenomeno di urbanizzazione è in costante crescita: è evidente che lo sviluppo delle città, l’analisi dei valori e disvalori, delle economie e diseconomie generati dall’urbanizzazione e la riflessione sulla qualità della vita di chi abita e lavora nei contesti urbani siano oggi un punto cardine nelle agende dei Governi.

La riflessione che consegue a questa fotografia è inevitabilmente a doppio binario: da un lato, occorre chiedersi quale strategia mondiale adottare per gestire un fenomeno di così rilevante impatto; dall’altro, quali alternative siano realmente praticabili per consentire l’affermarsi anche di un modello di sviluppo urbano slow. Pur nelle enormi differenze tra i modelli di crescita e sviluppo economico e territoriale dei diversi Paesi del mondo, gli obiettivi strategici comuni cui tendere per tracciare una rotta in termini di evoluzione dei sistemi urbani sono certamente quelli del miglioramento della qualità della vita e dell’ambiente, del recupero della cultura del fare legata al territorio e alla valorizzazione delle sue risorse, della composizione armoniosa dei paesaggi, incoraggiando l’incremento di nuovi tessuti urbani misti, resi possibili dal nuovo scenario produttivo.

Il modello di città a cui guardare può essere solo quello che sappia declinare il tema della crescita con quelli dell’ecologia, della sostenibilità, del lavoro, dei servizi alla persona. Il dibattito su questi argomenti è molto ampio e affascinante, e la vera sfida cui siamo tutti chiamati è quella di cambiare gli stili di vita e fissare nuovi obiettivi per il futuro. Bisogna, in sintesi, dare concretezza e contenuto al termine qualità. Innanzitutto, è importante la qualità del prodotto: le case e gli uffici, per esempio, sono gli spazi in cui l’uomo soggiorna per buona parte della sua esistenza. La sostenibilità in edilizia non è quindi un lusso, ma una priorità per il vivere, che impone una responsabilità sociale da parte di tutta la filiera. Dalla fase progettuale alla scelta dei materiali, alla realizzazione e gestione nel tempo dei beni costruiti, il ciclo di vita dei prodotti dell’edilizia deve divenire valore condiviso e riconosciuto dal mercato, pubblico e privato; deve condizionare le industrie produttrici di materiali e tecnologie, deve cambiare la domanda e determinare nuovi paradigmi dell’offerta.
Il modello di città a cui guardare può essere solo quello che sappia declinare il tema della crescita con quelli dell’ecologia, della sostenibilità, del lavoro, dei servizi alla persona.
In secondo luogo, va tutelata la qualità nella trasformazione: le città si ricostruiscono su se stesse e il loro sviluppo deve garantire un uso delle risorse senza sprechi. Non sprecare vuol dire intervenire per la riqualificazione ambientale delle aree compromesse, vuol dire rendere il recupero del costruito un’occasione per rigenerare parti di città, e vuol dire anche puntare a sistemi che non solo consumino meno, ma che siano eco-positivi. Gli edifici possono essere generatori di energie e risorse, purché si dia un significato concreto al controllo del ciclo di vita del prodotto edilizio inteso come insieme di soluzioni tecnologiche e strumenti applicativi, come elemento portante delle strategie per la sostenibilità dell’ambiente costruito, nelle diverse fasi del processo costruttivo e alle diverse scale di riferimento. Ma non basta agire sul singolo edificio: bisogna inevitabilmente guardare alle trasformazioni di interi quartieri, di intere realtà urbane da progettare e ricostruire con criteri di sostenibilità, riorganizzando, al tempo stesso, tutti i servizi dell’abitare e della città, come il trasporto delle persone, delle merci e dei dati, la fornitura di energia, l’uso e il riciclo dei materiali, l’acqua, gli spazi di aggregazione e socialità, la natura in città e l’agricoltura di prossimità.
Per far questo, è indispensabile che vi sia una stretta correlazione tra le politiche urbanistiche, del governo del territorio, e quelle economiche, sociali, culturali, in un disegno organico, che porti a rispondere alle nuove domande della collettività, fornendo servizi in maniera realmente usufruibile, in orari non sovrapposti, in quantità adeguate. Il futuro è nella rigenerazione urbana e passa dalla riqualificazione dell’esistente con processi efficaci e sostenibili socialmente, economicamente e ambientalmente. Lo sviluppo immobiliare del secolo scorso, a cavallo della grande rivoluzione industriale e della ricostruzione postbellica, ha lasciato segni – lo riconosciamo tutti – non sempre positivi. Intervenire su costruzioni vecchie o realizzate nell’immediato Dopoguerra, in assenza di normative specifiche, o su strutture che hanno subito nel tempo svariati interventi di ampliamento o sopraelevazione, e che allo stato odierno non soddisfano i requisiti minimi nei confronti del rischio sismico e del comfort ambientale, ha sicuramente costi più alti e risultati minori rispetto a un intervento, seppur più radicale, quale la demolizione con successiva ricostruzione.
Il futuro è nella rigenerazione urbana e passa dalla riqualificazione dell’esistente con processi efficaci e sostenibili socialmente, economicamente e ambientalmente.
Anni fa, diversi Stati europei hanno attuato una politica di rinnovamento urbano mediante la ricostruzione d’interi quartieri: si pensi alle Torri di Red Road nella periferia di Glasgow, in Scozia, al Trinitat Nova a Barcellona, o al quartiere Ballymun a Dublino. Si tratta di costruzioni suburbane, che risalgono agli anni Cinquanta- Sessanta, ora per la maggior parte in rovina: enormi complessi edilizi, che oggi non sono niente più che un disastro ambientale e costituiscono per altro un vero buco nero per i soldi pubblici. Purtroppo, questo modello di sviluppo urbano è divenuto “il modello” con cui sono cresciute molte periferie urbane delle città nel mondo. Riprogettare le periferie, le grandi aree dense delle metropoli è la scommessa per il futuro. Credo che il settore delle costruzioni e, in particolare, quello immobiliare possano essere attori positivi di ciò che viene definito Rinascimento urbano. Lo potranno essere solo se saranno in grado di divenire gestori di un radicale e diverso approccio: il territorio non si usa e si doma per offrire prodotti; al contrario, sono i prodotti che ridanno senso e valore al territorio.
Condividere una visione del futuro è operazione complessa perché deve partire dal capire e accettare gli interessi contrapposti e farli convergere: oggi stiamo decidendo per le generazioni future e non possiamo prescindere dai loro stili di vita, determinati dall’era digitale e dal bisogno di qualità ambientale. Città più dense, ma più connesse; abitazioni a costi sostenibili, ma a prestazioni elevate; edilizia sociale, ma a dimensione umana e di valore architettonico; spazi individuali più ridotti, ma di condivisione organizzata e di qualità; comfort e consumo, ma senza sprechi e con capacità di generare risorse; luoghi per accogliere giovani, talenti, creativi, ma che siano in grado d’integrare diverse generazioni: tutto ciò dovrà essere inglobato nello sviluppo immobiliare del futuro. La città di domani dovrà saper coniugare la smart city e la slow city, integrando gli aspetti di una e dell’altra in modo coerente e virtuoso. Penso a una città che, grazie a politiche di governo del territorio coraggiose, alla collaborazione tra pubblico e privato, a visioni di lungo termine e con obiettivi condivisi, sappia utilizzare le tecnologie che la possono rendere smart, unendo i valori di vivibilità, socialità e qualità che contraddistinguono la slow city.
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