Andrea Carandini: “La casa mostra l’anima delle persone. E non mente mai”

Aristocratico, archeologo, intellettuale, politico, viaggiatore e letterato, Andrea Carandini racconta perché le case sono tanto importanti nell’itinerario esistenziale e culturale chiamato vita.

Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1061, ottobre 2021.

“I’m my circumstances”. Siamo quello che abbiamo attorno. Per questo, la casa è fondamentale, perché è la pelle delle circostanze in cui viviamo, l’ambiente più immediato, la nostra conchiglia, povera o ricca non importa. “Una volta era comunque gremita di simboli, oggetti, ricordi. Oggi, invece, le case, soprattutto quelle dei ricchissimi, sembrano sale operatorie nude e fredde. Simboli perfetti dell’azzeramento del passato sostituito col presentismo populistico del nostro tempo. Il problema è che la casa continua a mostrare l’anima delle persone, come in ogni epoca. Se si vuole conoscere qualcuno parlarci non basta, vederlo è poco, osservare i gesti è di troppo. Solo nella sua casa si comprende chi è davvero. Perché la casa non mente mai”.

In una vita davvero stra-ordinaria, Andrea Carandini è stato molte cose. Aristocratico, archeologo, accademico, intellettuale, politico, viaggiatore, letterato e, infine, borghese pentito e critico, come emerge ne L’ultimo della classe , biografia non solo intellettuale in cui ripercorre piaceri e dolori segreti nei minimi reperti reali, psicoanalitici e farmacologici.

Figlio di Niccolò, primo ambasciatore a Londra dopo la Guerra, e nipote da parte della madre Elena di Luigi Albertini, il direttore (e proprietario) del Corriere della Sera che, nel 1925, lasciò via Solferino per non aver voluto togliersi il cappello di fronte al Fascismo, Carandini è un’autorità mondiale nell’archeologia del Novecento, in cui importa il metodo filologico discusso nella tesi con il maestro Ranuccio Bianchi Bandinelli. Autore della rivoluzionaria scoperta, sulle pendici del Palatino, dei resti di una fortificazione muraria dell’VIII secolo a.C., che riscrive le origini di Roma perché in linea con la leggenda di Romolo e Remo, Carandini ha approfondito la conoscenza delle ville romane e le loro relazioni con i sistemi di produzione e di schiavitù.

La casa sul Quirinale. Le foto è tratta dal libro di Andrea Carandini, L’ultimo della classe, Rizzoli, 2021

Un’indagine sulle case, le cose e le anime che, dopo mezzo secolo fuori, ha deciso di rivolgere dentro. Senza il minimo sconto. “Mi sento come l’ultimo dei Mohicani. Faccio parte di un gruppo che forse conta altri superstiti a cui il Paese ricorre nei momenti drammatici. Ma non è più né un gruppo né una classe. Sono individui dispersi, soli, isolati. Non si frequentano né si riconoscono e, se lo fanno, non osano presentarsi. Del resto, sarebbe impossibile in un luogo dove non ci sono più i salotti, le scuole di partito, le parrocchie, il servizio militare. Corpi intermedi, riti di appartenenza e miti d’iniziazione che definivano, nel bene e nel male, un certo mondo. Pochi giorni fa ho incontrato una donna ancora giovane e avvenente che vuole entrare in una comune per non essere sola”.

Il rimorso di Carandini è che questa frantumazione non è stata colta in tempo soprattutto da chi, come lui, aveva il dovere di farlo per cultura e appartenenza. “Ho fatto molti errori nella mia vita, fra cui quello grave di pensare che queste cose non fossero importanti”. Fra questi, forse, l’innamoramento per il Comunismo che, però, non durò a lungo e a cui seguì autocritica, a differenza di molti suoi compagni altrettanto borghesi, ma molto meno critici. “Ha ragione, ma negli anni Settanta il Paese era comunque ancora quello della tradizione. La metamorfosi fatale inizia negli Ottanta, accelera nei Novanta e diventa irreversibile nel Duemila spinta da Internet. Da allora, tutto è sconvolto, la casa è crollata e quello che si vede è un nuovo mondo irriconoscibile. Un problema che non mi tocca, data la mia età, ma mi rende più nostalgico e solo”.

E dire che Carandini ha sempre rivendicato l’autonomia della sua vita. Non solo della “filologia delle cose” contro la “filologia della parola”, ma prima ancora del pensiero e dell’azione che aveva preso dal nonno Luigi, che non piega la schiena e va a fare l’agricoltore a Torre in Pietra. Anche dalla mamma Elena, che trasforma le regole del tempo e del rango in un’autoeducazione che è prima di tutto indipendenza e libertà. “No, la solitudine di cui parlo non ha niente a che fare con l’autonomia che rivendico come il bene più prezioso ereditato dalla mia famiglia. Mi manca terribilmente la consuetudine con persone elevate, diverse, brillanti. Per fortuna, tutto è mitigato da una bellissima famiglia che mi consola, ma che non può annullare il ricordo di un mondo in cui tutti erano circondati da riti sociali, non solo la borghesia. Amici di famiglia, discussioni, solidarietà, cene. Senza questo scambio che avviene nelle case, la mente si atrofizza”.

Ritratto di Andrea Carandini. Foto Gabriele Basilico 2018, FAI Fondo per l'Ambiente Italiano

Ancora le case, dunque, che segnano l’itinerario esistenziale e culturale chiamato vita. Quella sul Quirinale, dove Carandini è nato e tornato a vivere, e l’altra della tenuta del nonno di Torre in Pietra. La Villa dei Ronchi delle vacanze giovanili in Versilia e quella sull’Argentario della piena maturità. Ma anche l’appartamento in Trastevere, che segnò il suo distacco dalla famiglia, e la casetta di Deià a Maiorca, ultimo eden da dove Carandini parla a Domus.

“L’origine del male non è la fine della casa, ma l’uccisione della scuola. La riforma Gentile fu, infatti, un’ottima riforma che creò un’eccellente scuola. Nobile, libera, riconosciuta da parti opposte degli schieramenti politici. Gentile non voleva formare il professionista, ma il cittadino in tutto l’ambito della sua vita. Per fare questo, la cultura umanistica era e resta fondamentale, prima e più di quella scientifica, soprattutto oggi che tradizioni millenarie trasmesse dall’aristocrazia, la borghesia e i ceti illuminati non ci sono più. Quando gli individui si sentono soli e abbandonati ricorrono a droghe per sopportare il peso del vivere. Pesanti come quelle chimiche o leggere come le tecnologie, in ogni caso sintomi del vuoto che ha assunto la storia dell’umanità. Questo è il punto centrale e triste perché, come ho imparato nella mia vita, la storia non riguarda il passato, ma il futuro. È una forza, una leva, un’energia non per guardare indietro, ma per andare avanti”.

Immagine in apertura:
Lo studio di Andrea Carandini, Torre in Pietra. Foto tratta dal libro di Andrea Carandini, L’ultimo della classe Rizzoli, 2021

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