La casa rifugio di Carlo Benvenuto

Sita tra le mura di un edificio progettato da Elio Frisia nei pressi della Stazione Centrale di Milano, l'abitazione dell’artista è la tana di un grande amante dei libri, cinefilo e appassionato di musica. 

Questo articolo è apparso in origine su Domus 1061 di ottobre 2021.

"Ogni artista lavora da solo, per sé. A me non interessa partecipare al dibattito culturale se non con le mie opere. Non ho abbastanza buona volontà per credere al contraddittorio, per comprendere intimamente e profondamente le ragioni degli altri. Forse, per questo motivo, posso spesso apparire molto conciliante. Mi chiudo in casa per non farmi più raggiungere dal flusso di informazioni della realtà. Sono troppe, tutte sensate, tutte perfettamente indispensabili, tutte stimolanti e, quindi, tutte inutili. Producono un ronzio insopportabile. Allora parto da me stesso, dai miei spazi, dai miei oggetti, dalle curiosità con le quali sono nato e che continuano a ossessionarmi”.

La casa in cui si rifugia quotidianamente Carlo Benvenuto per sfuggire alle mille distrazioni della città è all’interno di un edificio progettato da Elio Frisia nei pressi della Stazione Centrale di Milano. La prima impressione è quella giusta: è la tana di un bibliofolle, un cinéphile , un music freak . Nel salotto, al centro, su un tavolo degli anni Settanta di Willy Rizzo, cattura subito l’attenzione l’autobiografia di Tony Visconti, produttore americano di Morrissey e David Bowie.

Opera di Benvenuto del 2020 accanto a un’opera di Fischli & Weiss del 2003. Foto Carlo Benvenuto

“Sono cresciuto con Bowie, a 11 anni ascoltavo senza sosta Heroes e Hunky Dory , che non a caso è poi diventato il titolo di una mia mostra berlinese”. La passione per Bowie sconfina nel feticismo: “Questo che vedi è il banjo utilizzato nella copertina del suo album Baal ”.
È tempo di vinili. “Questa è una prima edizione numerata del White Album dei Beatles. La copertina, integralmente bianca, è di Richard Hamilton. È una risposta a quella coloratissima di Peter Blake per Sgt. Pepper ”. Scovo una rarità di Frank Sinatra, Watertown , un concept album prodotto con Bob Gaudio, uno dei quattro componenti dei Four Seasons. Benvenuto mi delizia mettendo su An American Prayer dei Doors. “È un album postumo, del 1978. Jim Morrison è morto sette anni prima, lasciando poesie su cui sono intervenuti gli altri componenti della band , creando la musica ex novo ”. Noto un paio di chitarre da collezione: la National Resolectric suonata da Will Oldham e la Epiphone Casino con cui debutta da solista Paul McCartney. Inevitabile soffermarsi sui tanti artisti che popolano la casa.

In un angolo del salotto convivono un piccolo e recente quadro di Salvo, una pistola di Fornasetti, uno Schifano di fine anni Ottanta, un multiplo di Peter Blake, un quadro del cantante folk Daniel Johnston, un disegno degli anni Trenta di Karl Hubbuch, un banco ottico di Joe Colombo per Fatif, un olio su tavola di Bernard Buffet (“negli anni Cinquanta rivaleggiava con Picasso, salvo poi finire nel dimenticatoio”), un Fischli & Weiss della serie Questions .
Spostandoci nel corridoio, le sorprese continuano. Due polaroid di Araki, un paio di opere di Gavin Turk e Jonathan Monk (‘boettiani’), un quadro di Nathalie du Pasquier, un olio su tavola di Ugo Celada da Virgilio (“da sempre associato al realismo magico e a Donghi”), due autografi del mago Silvan (“adoro le cose di pessimo gusto”).
Accanto alla libreria, non sfugge una fotografia del duo Tim Noble e Sue Webster (che immortalano il momento dell’uscita da un concerto di Bob Dylan alla Brixton Academy di Londra) e del collettivo austriaco Gelitin. Benvenuto è un lettore onnivoro, ma con le sue predilezioni. Evidente il suo debole per Michel Houellebecq (“un autore di estrema lucidità”), Ned Rorem e i suoi diari parigini, Yukio Mishima (“il mio preferito è Le marin rejeté par la mer , se non altro perché nella trasposizione cinematografica il protagonista è interpretato da Kris Kristofferson”), 

Dettaglio della libreria di Carlo Benvenuto. Foto Carlo Benvenuto

David Goodis e il suo Tirez sur le pianiste , Jean Cau e il suo diario taurino, Les oreilles et la queue (“della corrida mi affascinano la liturgia e l’energia sovrumana dei toreri”). Resto estasiato da due libri di John Fante nelle edizioni Black Sparrow d’inizio anni Ottanta e dai Nabokov nelle edizioni Putnam degli anni Cinquanta (“Fuoco Pallido” è il titolo di una storica mostra da Emilio Mazzoli). Mi colpisce la copertina, nera e arancione, di un libro che ignoro. “Si tratta di Theater of Revolt di Robert Brustein. L’ho preso solo perché l’ho visto in una scena di Rosemary’s baby . A volte, nelle scelte, sono guidato da criteri puramente estetici”. L’universo di Benvenuto mi ricorda quello di Wes Anderson. “In realtà ti confesso che a me piace l’altro Anderson, Lindsay. Quello che si scaglia contro i giudici e i parrucconi. Il regista di If e di O Lucky Man! .Con uno strepitoso Malcolm McDowell”.

Prima di congedarmi, vedo un suo quadro noto agli aficionados , essenziale, morandiano, con tre mele cotogne. A proposito, mi ricordi il titolo? “Tutte le mie opere sono senza titolo. È necessario per liberare l’immagine. Detesto le didascalie, la chimica infantile di certi titoli che sommati all’opera dovrebbero produrre l’effetto. L’opera è quello che è. Quello che deve essere. Il titolo è il presidio ortopedico per sostenere un’opera che, da sola, non starebbe in piedi”

Immagine in apertura:
Il soggiorno di Carlo Benvenuto. Foto Carlo Benvenuto

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