Il legno americano per immaginare il design post-pandemico

L’iniziativa Discovered di AHEC, in esposizione al Design Museum di Londra, mette al banco di prova venti designer emergenti per concepire oggetti in cui la sensorialità incontra le nuove necessità abitative, con un occhio alla sostenibilità.

“Come possono gli oggetti aiutare a combattere l’isolamento in una realtà afflitta dalla pandemia? Come possiamo tutelare la sensazione tattile in un mondo sempre più virtuale?” 

Con queste domande si apre la sfida lanciata dall’American Hardwood Export Council (AHEC) attraverso il progetto Discovered, una piattaforma dove venti giovani promesse del design provenienti da sedici diverse nazioni vengono chiamate a cimentarsi con un carnet di legni nord americani: quercia rossa, acero e ciliegio.  

Il vernissage della mostra "Discovered" presso il Design Museum, Londra. Foto: Thom Atkinson.
Il vernissage della mostra "Discovered" presso il Design Museum, Londra. Foto: Thom Atkinson.

Il ritorno alla tattilità come ancora per riappropriarsi degli spazi e proiettare un futuro, già presente, in cui la dimensione domestica – tra qualche entusiasmo e molti dubbi – sembra destinata a dominare la vita sociale e lavorativa.  

Le venti diverse risposte alla domanda posta da AHEC trovano incarnazione in una serie di oggetti esposti nella cornice del Design Museum di Londra, che variano dal più pragmatico utilitarismo (la seduta Concur di Mac Collins) al concettuale (gli oggetti della serie Presences di Isabelle Baudraz, o il trittico di sculture Reframe di Ivana Taylor), prediligendo però sempre l’esaltazione della sfera sensoriale – c’è la tattilità delle materie prime, ma anche il loro profumo – e la necessità di fornire all’arredamento per interni quella fluidità che domina il discorso pubblico e che è ormai una costante delle nostre esistenze. 

A tal proposito piace e stupisce il sistema di storage Toteemi del finlandese Josh Krute. Scatole modulari in acero duro i cui coperchi diventano all’evenienza vassoi e i cui basamenti si trasformano in tavolini o sgabelli per ovviare al problema degli spazi domestici invasi da una moltitudine di oggetti e documenti appartenenti sia alla sfera domestica che a quella pubblica dell’individuo. Il Toteemi diventa così salvifico per l’uomo confinato in spazi ridotti, non a caso il suo nome – così come la sua struttura – rimandano al concetto del totem, fulcro della vita degli accampamenti tribali, forme primordiali e esemplari di socialità organizzata.  

Dettaglio dello Studiolo 2.0 di Alessandra Fumagalli Romario. Foto: Jason Yates.
Dettaglio dello Studiolo 2.0 di Alessandra Fumagalli Romario. Foto: Jason Yates.

È proprio il tema di stringente attualità della separazione tra sfera intima e pubblica delle nostre esistenze il cardine attorno a cui ruota Studiolo 2.0 dell’italiana Alessandra Fumagalli Romario. Un cabinet of curiosities ispirato dai dipinti rinascimentali che, con un’impostazione scenografica quasi teatrale scandita dal gradiente rosso con cui sono delicatamente verniciati alcuni dei vani, si premura di riscoprire la versatilità dell’arredamento delle antiche corti europee, dove ambienti privati diventavano pubblici per eventi mondani.

Nato dalle riflessioni sugli sfondi – spesso di dubbio gusto – delle interazioni via Zoom, Skype e Facetime a cui siamo stati abituati durante il lockdown, lo studiolo di Fumagalli Romario svela oppure cela la nostra quotidianità domestica in base alle occasioni e agli stati d’animo, diventando anch’esso protagonista di un macro (o micro) ambiente unico e totalmente fluido, terreno di sfida (e gioco) della nuova quotidianità. 

Giocoso è, senza dubbio, il tavolo Winding Stream di Yunhan Wang. Ispirato dai ‘winding stream party’, pratica cinese in cui si compone poesia mentre un bicchiere d’acqua viene versato in un condotto, questo oggetto di design sormonta l'impedimento di prendere parte a rituali pubblici e collettivi, portandoli dunque in una dimensione domestica. 

La sedia Rå di Martin Thübeck può trasformarsi in uno scivolo per bambini. Foto: Jason Yates.
La sedia Rå di Martin Thübeck può trasformarsi in uno scivolo per bambini. Foto: Jason Yates.

La duttilità concettuale resta, dopotutto, ciò che stupisce maggiormente delle opere esposte al Design Museum. Vedasi la sedia di Martin Thübeck, ora seduta ora scivolo, nata dall’osservare il modo in cui i figli del designer svedese riadattavano i loro oggetti e giocattoli durante il lockdown. Una giocosità diffusa in cui a brillare sono, senza dubbio, le figure dei designer come demiurghi che si fanno apprezzare per la loro abilità di essere ponte tra i risvolti concettuali e quelli pratici dell'abitare.  

Ritorna, infatti, il pragmatismo a stelle e strisce mostrato colossalmente alla Biennale di Architettura di Venezia con il tema del legno come soluzione abitativa e strutturale. Il tutto si armonizza, ancora una volta, con il tema diffuso – quanto ci manca prima che risulti, però, un ridondante disco rotto?! – della sostenibilità di questo materiale.

Certo, quercia, acero e ciliegio in toni naturali ci regalano intense emozioni tattili, ma verrebbe, inoltre, da chiedersi fino a che punto traggono vantaggio estetico nel rinunciare alla verniciatura? Ci pensano, per fortuna, la sedia , le sedute Migo 01 di Pascal Hiene l’armadio Recollect in acero e quercia rossa di Tan Wei Xiang, pensato per accogliere gli oggetti più speciali, un modo per restare in contatto con i cari nonostante la separazione imposta dalla pandemia. 

L'allestimento di "Discovered" all'interno dei locali del Design Museum di Londra. Foto: Thom Atkinson.
L'allestimento di "Discovered" all'interno dei locali del Design Museum di Londra. Foto: Thom Atkinson.

Piace, comunque, l'armonia che si instaura tra materiali densi e resistenti e la sinuosa leggerezza deleforme, come evidenziato dalla scrivania Howard Desk dell’inglese Mimi Shodeinde e dalla monolitica Lahmu di Sizar Alexis. Concepita come una scultura modulare che all’evenienza diventa comodino, sgabello o panca, l’opera è frutto delle riflessioni sulla protezione offerta dal modello abitativo del bunker maturata dall’artista durante la guerra in Iraq negli anni ‘80.  

Indubbiamente le materie prime messe a disposizione dall’AHEC trovano un palcoscenico perfetto negli interni del Design Museum che, come fa notare una collega, ricordano quelli di un Apple Store – “il che non è un bene,” ribadisce –, più che della vecchia struttura modernista del Commonwealth Institute nei cui locali è ora di casa l’istituzione londinese.  

In una Londra che sembra aver lasciato la pandemia alle spalle – questo assaggio di London Design Festival ne è il banco di prova per socialite e primi visitatori – con la proposta di passaporto vaccinale scartata da Westminster e l’uso delle mascherine lasciata a discrezione dei singoli (non se ne vedono in tutto il vernissage della mostra) c’è, però, da chiedersi fino a che punto il progetto di AHEC risulti innovativo.

Indubbiamente le nostre dinamiche socio-lavorative domestiche sono mutate, e con esse il design che segue e si adatta, ma quanto ci conviene davvero rimuginare su questi temi anziché iniziare a pensare a riabbracciare un futuro non affossato dalla pandemia? 

Il team di designer emergenti che ha preso parte al programma "Discovered" di AHEC. Foto: Thom Atkinson.
Il team di designer emergenti che ha preso parte al programma "Discovered" di AHEC. Foto: Thom Atkinson.

Immagine di apertura: La seduta Migo 01 di Pascal Hien. Foto: Jason Yates

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