L’arte di questi tempi si fa necessariamente sempre più pubblica e possibilmente democratica, stante la chiusura degli spazi espositivi e le successive limitazioni alla frequentazione. Servendosi della tecnica dei manifesti pubblicitari, “Language is a virus” usa come spazio espositivo le strade di Stoccolma, dove, sebbene non ci siano state restrizioni alla libera circolazione, sono stati chiusi al pubblico i luoghi della cultura. In questa fase di forzato confinamento, il tessuto urbano si offre come spazio di comunicazione a cinque artiste italiane: Francesca Grilli, Loredana Longo, Marzia Migliora, Rosy Rox e Marinella Senatore. Il titolo riprende quello della canzone di Laurie Anderson, che in questo brano-performance del 1986 fa proprie le parole di William Burroughs: “il virus più pericoloso era il linguaggio”. Con questa citazione si vuole sottolineare da un lato il potere liberatorio del linguaggio, sia esso verbale o visivo, e dall’altro la sua capacità potenzialmente sovversiva. Appropriandosi dei poster pubblicitari, la mostra fuoriesce dalle pareti del white cube, ovvero dai luoghi d'élite assegnati all'arte e raggiunge lo spazio pubblico, per mantenere viva la relazione che l’arte ha con lo spettatore e stimolare una riflessione critica sul difficile momento che stiamo vivendo.