Nell’industria audiovisiva, l’intelligenza artificiale non è più una promessa futuristica: è il presente. Non stiamo parlando di robot che dirigono film (non ancora, almeno), ma di strumenti sempre più sofisticati che affiancano registi, sceneggiatori, montatori e tecnici degli effetti visivi. L’AI è già nei backstage di Hollywood, nei software che aiutano a ringiovanire attori, generare mondi fotorealistici, scrivere dialoghi o costruire intere scene da una manciata di parole. Non si tratta più di sperimentazioni da laboratorio o curiosità da festival underground: è qualcosa che ormai incide concretamente su tempi, costi e linguaggi della produzione cinematografica.
Lo si è visto chiaramente lo scorso 13 luglio, al Los Feliz Theatre di Hollywood, durante l’ultima edizione dell’AI International Film Festival. Un appuntamento ormai stabile nel calendario della scena indie-tech globale, che quest’anno ha presentato nove cortometraggi provenienti da 25 paesi, tutti realizzati con il supporto – in misura più o meno profonda – dell’intelligenza artificiale.
L’intelligenza artificiale ha già cambiato il cinema, ma forse non ve ne siete accorti
L’AI non è più un esperimento da laboratorio: è già ovunque nel mondo della produzione video e del cinema, dai blockbuster alle piattaforme di streaming ai festival indie.
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- Laura Cocciolillo
- 02 agosto 2025
Tra i titoli premiati, spiccano Next Stop Paris di Stuart Acher, una storia d’incontro poetica e magnetica, e Anomalia di Delphine Sicard Malafosse, riflessione raffinata sul concetto di identità e differenza, guidata da una voce narrante nello stile di un documentario. C'è anche la satira di A Feather and a Prayer (di Mathery, ovvero Erika Zorzi e Matteo Sangalli) dove gli uccelli diventano l’ultima ossessione fashion e la suggestione visiva di The Sea That Dreamed di Roxanne Ducharme, un’animazione onirica che sembra uscita da un sogno collettivo. Questi non sono semplici film realizzati “con l’AI”: sono film pensati per esistere grazie all’intelligenza artificiale, spesso realizzati con team minimi, tempi ristretti e budget ridottissimi, ma con un impatto visivo e narrativo che compete ormai con la produzione professionale.
Questa nuova ondata creativa si inserisce in un contesto più ampio in cui l’intelligenza artificiale sta ridefinendo profondamente l’industria audiovisiva. Già da anni, tecnologie di machine learning e reti neurali vengono impiegate in fase di post-produzione, per esempio per il de-aging degli attori (come in The Irishman di Martin Scorsese, per ringiovanire Robert De Niro o in Captain Marvel, per far tornare negli anni Novanta Samuel L. Jackson e Clark Gregg), per la rigenerazione vocale e facciale, o per effetti speciali generativi come nei blockbuster Marvel, inclusi Avengers: Endgame e Doctor Strange in the Multiverse of Madness.
È celebre il caso di Peter Cushing che, scomparso nel 1994, è stato “riportato in vita” con il deep fake per il ruolo di Grand Moff Tarkin in Rogue One: A Star Wars Story. Otto anni dopo l’uscita del film, nel 2024, il suo amico e produttore Kevin Francis ha intentato causa contro Lucasfilm, sostenendo di aver stretto con Cushing un accordo nel quale l’uso postumo della sua immagine avrebbe richiesto il suo consenso. La casa di produzione si difende sostenendo che l’uso della sua immagine era già coperto dal contratto firmato ai tempi di Una nuova speranza (1977).
Tuttavia, il giudice dell’Alta Corte c ha rigettato la richiesta di archiviazione del caso, affermando che la questione – in un’area legale in piena evoluzione – deve essere affrontata con un processo completo. Il caso di Cushing non è l’unico, e anzi evidenzia un problema sempre più diffuso nel cinema contemporaneo: l’uso di CGI per “resuscitare” attori defunti, come già accaduto con Paul Walker (Fast and Furious 7), Brandon Lee (The Crow) e Carrie Fisher (Star Wars: Episodio IX). Una pratica controversa, che apre interrogativi etici e legali ancora irrisolti.
In ogni caso, l’AI non si limita più al back-end della produzione. Strumenti come Runway, Sora (di OpenAI), Pika o Kaiber AI permettono di generare intere sequenze video partendo da descrizioni testuali, offrendo a creativi indipendenti la possibilità di produrre contenuti cinematografici completi senza l’ausilio di troupe o attori. Software di auto-editing come Descript o Wisecut velocizzano il montaggio con una precisione che pochi assistenti umani potrebbero eguagliare. Intanto, piattaforme come ChatGPT o Sudowrite vengono sempre più utilizzate come co-sceneggiatori: aiutano a sviluppare dialoghi, a esplorare archetipi narrativi, a creare storie partendo da pochi input emotivi o tematici.
E anche chi domina il mercato globale dello streaming ha cominciato a esporsi in modo più diretto. Netflix, per esempio, ha ammesso di aver usato per la prima volta l’intelligenza artificiale generativa in una propria produzione originale: la serie argentina El Eternauta. In un episodio, una scena di un edificio che crolla è stata realizzata interamente con AI, completata dieci volte più velocemente e a costi significativamente inferiori rispetto ai metodi tradizionali. "Rimaniamo convinti che l'intelligenza artificiale rappresenti un’opportunità straordinaria per aiutare i creatori a realizzare film e serie migliori, non solo più economici”, ha dichiarato il co-CEO della piattaforma Ted Sarandos. “I nostri creatori stanno già sperimentando i vantaggi in fase di produzione, attraverso la pre-visualizzazione, la pianificazione delle inquadrature e gli effetti visivi." Parole che riflettono bene l’aria che si respira oggi nell’industria: non paura, ma una combinazione di entusiasmo e cautela.
Il futuro che si delinea non è fatto solo di tecnologie sempre più avanzate, ma di un cambiamento culturale. Il festival di Hollywood lo ha dimostrato: le storie più toccanti, più divertenti o visivamente più audaci non sono più monopolio delle major. Ora possono arrivare anche da un piccolo studio a Barcellona o da una camera da letto a Seoul, dove un regista lavora fianco a fianco con un modello generativo per dar vita a qualcosa che, fino a pochi anni fa, sarebbe stato impensabile. Chi racconta storie oggi ha accesso a strumenti narrativi completamente nuovi, capaci di generare immagini, scene, persino interi mondi, senza passare dai canali tradizionali. I grandi player come Netflix lo hanno capito e si stanno già muovendo, mentre una nuova generazione di filmmaker sperimenta forme ibride di racconto che uniscono l’intuito umano all'efficienza algoritmica.
Immagine di apertura: Robert Zemeckis, Here, 2024