Compie 50 anni l’intrecciato, simbolo di Bottega Veneta: Bruno Munari ha ispirato le celebrazioni

Il Supplemento al Dizionario italiano di Munari aggiungeva a una lingua la parte fondamentale: i gesti. Bottega riparte da lì, coinvolgendo Tyler, The creator, Dario Argento, Julianne Moore e moltissimi altri per celebrare la creazione e il design del suo pattern iconico.

Unire le dita di una mano in un piccolo metaforico carciofo, costruendo così un’atmosfera interrogativa; intrecciare strisce di pelle, costruendo un linguaggio visuale che tutto il mondo riconosce. In termini di design, si tratta di due espressioni di una stessa capacità, tutta italiana: usare i gesti, per dare forma e soprattutto senso a ciò che ci circonda.

Lo aveva intuito Bruno Munari, che tra le sue tante ossessioni, tanto leggere quanto totalizzanti, aveva quella di osservare i comportamenti, le interazioni, le emozioni delle persone da cui poi nascevano oggetti e spazi: basta pensare alla leggendaria “ricerca della comodità in una poltrona scomoda”. E nel 1963 l’aveva formalizzato in un altro progetto ugualmente leggendario, fatto di gesti e nient’altro che gesti: Il Supplemento al dizionario italiano dove il già citato carciofo interrogativo campeggiava in copertina, aprendo la strada a corna (scongiuri), indici alzati (un momento!), indici mordicchiati (rabbia), dita ad anello (tutto bene) e quant’altro. Foto di mani, principalmente, ogni tanto di volti, molte firmate Ballo+Ballo, che davano un senso all’inseprimibile.


Lo ha intuito Bottega Veneta, che ha scelto di partire proprio da quel Supplemento per celebrare i 50 anni dell’Intrecciato, la sua firma che da sempre sottolinea l’unicità resa del gesto artigianale con cui nasce. Nella campagna “Craft is our language” ritroviamo i bianchi e neri, i close-up, le mani, ma stavolta ci sono Julianne Moore a chiedere silenzio, I.N il cantante k-pop a portare il gesto delle corna verso il mondo della musica, Tyler the Creator a unire le mani e Dario Argento ad aggiungere un gesto tutto suo. C’è Lauren Hutton, che nel 1980 portava Bottega Veneta nell’empireo visuale di American Gigolo, tra Moroder, i Blondie e le spider Mercedes, e che nei video della campagna conversa con gli artigiani di Bottega Veneta assieme all’artista Barbara Chase-Riboud, e ad attori come Thanaerng e Terrance Lau.

Il progetto infatti riunisce diverse forme d’arte, per lavorare in quella stessa sintesi di Munari a un ideale espansione del suo Supplemento – è previsto un libro che raccoglierà 50 nuovi gesti espressi dal panorama culturale di Bottega Veneta – ed è per questo che è un progetto coreografato, da Lenio Kaklea nello specifico; necessario, quando è l’uso delle mani a “guidare i nosti pensieri intuitivamente, a rivelare aspetti della nostra origine e di come ci connettiamo nel presente”, come ha detto lei a Domus; “un soggetto visivo potente, ma anche intimo”, le ha fatto eco il direttore artistico Paul Olivennes. “Ognuno porta dentro di sé la memoria sensoriale della mano: la memoria del tatto, dell’emozione, dell’inizio della comunicazione tra due persone”.


Ecco che la campagna prende forma nelle fotografie di Jack Davison nate come un dialogo con i gesti prima di tutto, e con le personalità che li hanno rinnovati: primi piani delle nuove “voci” del vocabolario dei gesti, poi i volti e i corpi necessari ai gesti più performativi, presente ma non invadente l’Intrecciato: tutto “as stripped back as possible” come l’ha voluto il fotografo, nato fermando momenti di pausa e di alto carico emozionale: denso, ma leggero. Come le ossessioni di Munari.

Immagine di apertura: Dario Argento nella nuova campagna “Craft is our language” di Bottega Veneta. Foto Jack Davison

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