Sirens: l’ossessione per design e architettura nella serie Netflix con Julianne Moore

Una villa da sogno nel New England, con tanti pezzi di design firmati, diventa teatro di tensioni familiari, ironia feroce e bellezza inquietante: una estetica perfetta, forse fin troppo.

A volte i luoghi in cui si svolgono le storie sono importanti quanto i personaggi che le interpretano. È quanto accade in Sirens, la nuova miniserie Netflix creata da Molly Smith Metzler e diretta da Nicole Kassell. Protagonista assoluta è Julianne Moore, magnetica nel ruolo di Michaela “Kiki” Kell – filantropa, attivista ambientalista e matriarca eccentrica – affiancata da Kevin Bacon nei panni del marito miliardario Peter Kell.

Molly Smith Metzler, Sirens, 2025. Courtesy Netflix

La storia si svolge durante il weekend del Labor Day nella lussuosa tenuta dei Kell, su un’isola privata del New England. L’arrivo in questo paradiso irreale di Devon, sorella dell’assistente personale di Michaela, innesca sospetti e tensioni. Tra feste esclusive e rituali eccentrici, la villa dei Kell diventa il palcoscenico di scontri di classe, segreti di famiglia e humor nero al vetriolo. E acquista a sua volta un ruolo da protagonista. Ispirata alla reale Caumsett State Historic Park Reserve di Long Island e ribattezzata nella serie Cliff House, la villa dei Kell diventa il perno simbolico e visivo di tutto il racconto. 

Molly Smith Metzler, Sirens, 2025, poster

Trasfigurata digitalmente, con il suo mix di tratti classici coloniali e bizzarrie da “casa da oligarchi” aggiunte ad hoc, domina il paesaggio costiero e riflette la dualità del tono della serie: un luogo da sogno che però appare subito troppo perfetto per non nascondere qualche incubo. Arroccata su una scogliera dell’isola fittizia di Port Haven, vi si accede tramite una lunga scalinata esterna in metallo traforato che risale la collina dal molo privato fino alla villa. L’edificio – dotato di una torre con balcone panoramico circolare e persino di una piscina a sfioro vista mare – fonde l’eleganza di una storica magione anni ’20 con tocchi architettonici moderni aggiunti ad hoc per esaltarne la grandeur (il team scenografico ha persino integrato il già citato torrione panoramico e collocato una gigantesca ancora ornamentale nei giardini).

Devon, appena arrivata, si guarda attorno ed esclama: “Ma cos’è questo posto? Sono tutti vestiti come uova di Pasqua!”. È lì che capisci: Sirens è una serie che racconta una storia, sì, ma attraverso un’estetica totale. Un’opera di interior e exterior design che mette in scena un mondo dove architettura, moda, arredamento e perfino falchi pellegrini sono parte di una stessa, ossessiva regia. 

Molly Smith Metzler, Sirens, 2025. Foto Macall Polay. Courtesy Netflix

Fin dalle prime scene la serie sottolinea il connubio tra sfarzo e bizzarria: vediamo Michaela attraversare i terreni di Cliff House indossando un lungo abito verde smeraldo, un guanto da falconiere in una mano e, nell’altra, una voliera in bambù velata di bianco contenente un falco pellegrino. L’immagine, surreale e iconica, presenta subito Kiki come un’improbabile dea della natura in abito da sera, segnalando che in Sirens ogni elemento visivo – dagli abiti agli animali – ha un significato preciso nella narrazione. All’interno, la scenografia spinge il culto estetico di Michaela verso un surrealismo opulento: dominano tonalità azzurro acquamarina e pastello, con pareti dipinte di celeste polveroso, colonne decorative azzurre e arredi coordinati nei toni sorbetto. Opere d’arte contemporanea adornano pressoché ogni parete; nei corridoi fanno capolino oggetti eccentrici come una scultura di cavallo a grandezza naturale in legno, e nello scalone d’onore svetta un albero stilizzato in metallo popolato di sagome luminose di rapaci, a ribadire per simboli la passione ornitologica di Kiki. Peter invece, sconfitto e docile, strimpella la chitarra seduto sul divano Boa dei Fratelli Campana per Edra.


La casa dispone di cabine armadio che paiono boutique di alta moda: nella guardaroba personale di Michaela (immersa in tonalità acquamarina) file di scarpe scintillanti sono disposte su mensole di  cristallo e abiti, borse e profumi sono organizzati meticolosamente per colore; perfino la cabina armadio della suite della sua assistente Simon è allestita in un rosa confetto fiabesco, con pareti a motivi floreali, e fa da scenario a una scena in cui Simon si trucca con un rossetto color marshmallow abbinato al suo abito macramé rosa.

La cura maniacale per ogni dettaglio visivo traspare ovunque: la cucina ostenta elettrodomestici professionali di altissima gamma e un’isola centrale in marmo dalle venature bianche e struttura in legno laccato verde prato, attorniata da sgabelli alti con schienali di legno curvato; i giardini all’inglese sono talmente ordinati da sembrare irreali, con siepi potate geometricamente e aiuole di ortensie mantenute di un bianco candido (Kiki esige che non vi sia nemmeno un fiore blu fuori posto). 

Molly Smith Metzler, Sirens, 2025. Courtesy Netflix

Persino il personale di servizio è parte integrante di questo tableau estetico: i domestici indossano eleganti divise coordinate nei toni pastello (menta, rosa, giallo pallido) e Kiki stessa ispeziona quotidianamente la perfezione delle loro uniformi, aggiustando fiocchi, vaporizzando lavanda nella biancheria e controllando che ogni cosa rientri nei suoi standard impeccabili. In effetti, la scelta di saturare ogni inquadratura di colori tenui e preppy (il mondo di Sirens ricorda volutamente le enclaves dell’alta società nel New England, dove domina una palette pastello rigorosa) serve a mascherare – e insieme enfatizzare – le crepe oscure che si aprono sotto la superficie impeccabile.

Molly Smith Metzler, Sirens, 2025. Courtesy Netflix

In una memorabile sequenza a metà serie, la villa – che in certi momenti sembra uscita da un film di Wes Anderson – diventa scenario di un eccentrico servizio fotografico per Vanity Fair a sostegno della causa ambientalista di Kiki: le dame dell’isola posano nelle sale indossando kimono di seta a stampa “giungla” tutti in coordinato rosa, abbinate a grottesche maschere facciali luminose a infrarossi (dispositivi di bellezza high-tech) che le fanno assomigliare a creature aliene. L’effetto è tanto elegante quanto straniante, e ribadisce la capacità della serie di coniugare estetica e ironia mordace.

Sirens è insomma un’operazione sofisticata e sadica: la bellezza dell’architettura e degli arredi è una trappola, la casa è una voliera dorata, e il design uno specchio implacabile che riflette le crepe di un mondo che vive solo di apparenza e messinscena. Ogni colonna, ogni tenda, ogni fiocchetto parla di potere, controllo, desiderio e rovina. Una villa come corpo vivente. Un paradiso in technicolor abitato da sirene senz’anima.

Molly Smith Metzler, Sirens, 2025. Foto Macall Polay. Courtesy Netflix

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