Nel panorama della critica dell’architettura Cesare Maria Casati emerge come figura di notevole rilevanza. Milanese classe 1937, alto, distinto, con una gestualità misurata come il suo eloquio, Casati viveva circondato da volumi, riviste e progetti. “L'architettura non è solo costruzione, ma narrazione di una visione del mondo,” ripeteva fra fotografie che lo ritraevano con i grandi dell'architettura mondiale. Laureato al Politecnico negli anni del boom economico, aveva vissuto in prima persona quel fermento creativo in cui l'Italia si affermava come laboratorio di innovazione nel design, mostrandosi subito capace di coniugare teoria e pratica.
La sua carriera editoriale inizia con Domus che segna un capitolo fondamentale nel suo percorso, dove arriva prima in redazione nel 1965, chiamato da Gio Ponti, di cui era stato allievo, a cui subentra come direttore dal 1976 al 1979. “Quando dirigi una rivista con una tale storia, ogni scelta editoriale diventa un dialogo con il passato e una scommessa sul futuro,” ricordava. Durante la sua direzione, sempre in dialogo con la figlia di Ponti, Lisa, e l’editore Gianni Mazzocchi, Casati mantiene alto il profilo intellettuale della rivista aprendola però al contempo a nuove contaminazioni disciplinari. “Ho sempre creduto che una rivista non debba limitarsi a documentare ciò che esiste, ma debba contribuire a creare ciò che ancora non c'è,” spiegava sfogliando alcune copertine storiche. E alla luce di oggi bisogna dire che molti dei temi dell’attualità architettonica – sostenibilità, rigenerazione urbana, inclusività sociale – erano già presenti nelle pagine curate da Casati, quando ancora rappresentavano posizioni pionieristiche.
Ho sempre creduto che una rivista non debba limitarsi a documentare ciò che esiste, ma debba contribuire a creare ciò che ancora non c'è.
Cesare Maria Casati
Dopo Domus, dal 1981 al 1985 è direttore de La Mia Casa, prodromo alla fondazione, nel febbraio del 1986 della casa editrice l'Arca e dell’omonima rivista internazionale d’architettura, design e comunicazione visiva. Meno nota al grande pubblico, la sua attività di progettista è notevole come segno, testimoniando un approccio di sintesi e leggerezza in cui rigore metodologico e sensibilità per il contesto si fondono in progetti di grande pulizia formale. “L'architettura è sempre espressione di un tempo e di una società. Oggi viviamo in un'epoca di incertezze e transizioni. L'architetto contemporaneo deve trovare risposte che non siano né nostalgiche né utopistiche, ma pragmaticamente visionarie.”
Critico severo ma mai cinico, Casati non nascondeva le preoccupazioni da precursore: “L'architettura dello spettacolo rischia di creare edifici fotogenici ma incapaci di costruire luoghi in cui le persone possano riconoscersi. Dobbiamo tornare a un'architettura che sappia dialogare con la storia e con il contesto.”
Negli ultimi anni, a chi gli chiedeva il segreto della sua longevità professionale, rispondeva: “Chi ha detto che bisogna smettere di essere curiosi?”. Intellettuale completo, capace di coniugare competenza tecnica e profondità culturale, Casati lascia un’eredità preziosa: una visione olistica dell'architettura, affermata soprattutto con la direzione di Domus, che dovrebbe essere di guida a chi cresce in un'epoca di specializzazioni estreme e saperi frammentati.