Dal 13 maggio al 9 novembre 2025 riapre la Triennale che, dopo le due precedenti edizioni dedicate a indagare l’impatto antropico sull’ambiente (“Broken Nature”) e le complesse (e spesso imperscrutabili, anche per la scienza) interazioni tra l’Uomo e i fenomeni naturali (“Unknown Unknowns”), quest’anno ha come tema “Inequalities”: una riflessione sulle diseguaglianze (sociali, economiche, culturali, di genere) come fondamento intrinseco della società contemporanea e come discrimine per il diverso accesso a risorse e diritti, dall’acqua all’educazione, dall’invecchiamento alla “città” (Richard Sennett).
Un argomento che, come afferma la Direttrice Carla Morogallo, scaturisce da un’attitudine “corale” tipica del modus operandi di Triennale e che, come sostiene il Presidente Stefano Boeri, è imprescindibile e trasversale, se non addirittura prodromico, a qualsiasi altro ambito disciplinare di dibattito.
L’approccio “multi-curatoriale”, supportato da una ricca trama di collaborazioni (dall’Università Cattolica, Bocconi, Politecnico, Bicocca, all’Ospedale Policlinico) è la novità dell’edizione di quest’anno che ospita, negli spazi di Viale Alemagna, otto mostre e altrettante installazioni secondo una polifonia di accenti.
Al piano terra, tre mostre conducono a scoprire una mappa geopolitica delle disuguaglianze, affrontate con lo sguardo analitico e propositivo proprio dell’architettura, dell’urbanistica e del design. A partire da uno dei casi più emblematici di disuguaglianza (l’incendio della Grenfell Tower a Londra nel 2017, raccontato attraverso un’installazione curata da Grenfell Next of Kin), la mostra “Cities” curata da Nina Bassoli offre una riflessione corale sulla dialettica tra ricchezza e povertà, società e comunità, ecologie e città, cercando soluzioni tra progetti e idee di architettura e pianificazione urbana. “Towards an Equal Future”, a cura di Norman Foster Foundation, affronta la crisi abitativa in contesti emergenziali, proponendo i progetti di Foster + Partners sugli slums indiani e sugli insediamenti temporanei per gli sfollati attraverso video, immagini e due prototipi di rifugio in scala 1:1. Un focus mirato invece sulla città di Milano è offerto da “Milano: paradossi e opportunità” (curata da Seble Woldghiorghis).
Al livello superiore, cinque mostre analizzano il tema della diversità come valore e (possibile) ricchezza. “We the Bacteria: Notes Toward Biotic Architecture” (curata da Beatriz Colomina e Mark Wigley) indagal'intersezione tra batteri e edifici, reinterpretando le disuguaglianze attraverso la lente dei batteri. “A Journey Into Biodiversity- Eight Forays on Planet Earth” (curata da Telmo Pievani) in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano Bicocca e il National Biodiversity Future Center, affronta le disuguaglianze da una prospettiva evolutiva, esplorando l'accezione positiva e negativa delle differenze dal punto di vista della biodiversità. “The Republic of Longevity-In Health Equity We Trust (curata da Nic Palmarini con Marco Sammicheli) affronta la questione delle disuguaglianze nella sfera dell’invecchiamento e della qualità della vita a lungo termine. Infine, “Portraits of Inequalities-Pittura di classe” (a cura di Giovanni Agosti, Jacopo Stoppa), nell’Impluvium di Triennale, racconta la storia della Ca' Granda attraverso l’allestimento di una cinquantina di ritratti tra il Seicento e il Novecento che raffigurano i principali donatori e benefattori dell’Ospedale Maggiore, accendendo i riflettori su come le classi privilegiate hanno nei secoli inteso essere rappresentate nel fare beneficenza.
Tra i curatori anche Mark Wigley, architetto e docente della Columbia University di New York, Hans Ulrich Obrist, direttore delle Serpentine Galleries di Londra e curatore tra i più influenti, Theaster Gates, artista interdisciplinare che unisce pratica sociale, performance e scultura. Verranno esposti i progetti di architetti Pritzker come Kazuyo Sejima e Alejandro Aravena, e poi Elizabeth Diller, dello studio newyorkese Diller Scofidio + Renfro, Boonserm Premthada, architetto e artista fondatore del Bangkok Project Studio, oltre al contributo dell’artista e regista Amos Gitai.
L’identità visuale della manifestazione, a cura di Pentagram, fornisce una chiave interpretativa lucida e implacabile sulle diseguaglianze, mappate, districate e svelate attraverso patterns pixelizzati e variabili cromatiche che ne evocano profili e dimensioni (micro e macro) come in una cartina di tornasole.
Immagine apertura: Foto Gianluca di Ioia © Triennale Milano