Dalla Terra allo spazio e ritorno, in mostra al Mudac

Quando lo spazio diventa luogo: ovvero come cercare un posto dove ci si sente a casa in questo non-luogo impossibile che è lo spazio siderale. Un programma espositivo a Losanna con il contributo di designer, artisti e scrittori.

Se l’universo è il luogo dell’infinito, talmente vasto da superare ogni più fervida fantasia e immaginazione con le relative possibilità di conoscenza, il pianeta Terra è invece il luogo del “finito” e, ad ora, l’unico luogo in cui abitare come l’essere umano conosce, dove insediarsi per costruire la propria rete sociale più o meno in-formale.

Il Mudac di Losanna, nonostante la recente inaspettata rivoluzione alla direzione con la non conferma della neoassunta Beatrice Leanza, si conferma luogo molto dinamico pur rimanendo ancora un po’ periferico. Qui si è inaugurato un palinsesto di eventi espositivi, performativi, installativi e culturali che offrono ai visitatori della Plateforme 10 occasioni per confrontarsi con questo tema attraverso il design quale disciplina di progetto e di programma, tra creatività e metodo, tra arte e scienza.

Joanie Lemercier, Slow Violence, 2019 – ongoing © Studio Joanie Lemercier

Un tema, due mostre, tre libri, quattro installazioni esterne e numerosi eventi del public program, animeranno fino a gennaio un ricco insieme di occasioni per trovare punti di contatto tra il nostro pianeta nello spazio cosmico e il design come disciplina “totale” e più ampia possibile.

Nel museo si trovano due mostre temporanee e complementari, quasi opposte visto i presupposti di voler innanzitutto osservare verso l’infinito, in un viaggio generale che considera il “Cosmo” come luogo di indagine e di ispirazione per ricercatori, artisti e designer, mentre in un ideale viaggio di ritorno è invece la Terra il fulcro di interesse e di riscoperta di ciò che forse è davvero più importante per la nostra specie.

“Cosmos. Design from here and beyond” (che riapre aggiornata dopo la prima inaugurazione in Belgio nel 2021) è curata dal cosmologo Thomas Hertog e Marie Pok, direttrice del CID - Centre d'Innovation et de Design al Grand-Hornu (B), mentre “Terra. Designing our Planet”, è curata per l’occasione da Jolanthe Kugler e Scott Longfellow del mudac.


Le due mostre sono così complementari che quasi non c’è soluzione di continuità nello spazio espositivo che alterna spazi candidi dove “fluttuano” oggetti e opere (notevole l’idea allestitiva di Cosmos ad opera di Ghaith&Jad con dei basamenti fatti con superfici di appoggio flessibili omaggio alla teoria della deformazione spaziale di Einstein), e spazi scuri e sonori dove opere luminose o video rallentano il passo in momenti di coinvolgimento e approfondimento.

A metà percorso, al cospetto di una gigantesca Blue Marble (prima fotografia della terra completamente illuminata, 1972), c’è il giro di boa e il passaggio di testimone tra le due mostre. Dopo essersi allontanati idealmente fino ai limiti estremi ed esterni del buio universo, si fa ritorno con “obiettivo terra”, che si riguarda con occhi nuovi e pieni di luce. Mentre Cosmos mostra soprattutto “oggetti”, che derivano da riferimenti anche arbitrari, Terra mostra invece “progetti”, ovvero sistemi di comprensione, considerazione e gestione del nostro pianeta che il design permette di misurare, controllare e modificare.

Cosmos

“Cosmos. Design from here and beyond”. Photo © Etienne Malapert

La parola “cosmo”, si sa ma è bene ricordarlo, è un termine che deriva dal greco che significa ordine – poi anche indirettamente armonia e quindi bellezza – e rappresenta l'idea antica che l’universo sia regolato da leggi che molto lentamente l’essere umano scopre e disvela. In questa antichissima attività di osservazione prima e di esplorazione poi, l’universo è stato sempre un incredibile contenitore di meraviglie che hanno attratto e guidato tanto scienziati e filosofi, quanto artisti e designer. 

“Cosmos. Design from here and beyond”. Photo © Etienne Malapert

In un continuo alternarsi di opere che affrontano il macro e il micro, come un circolo virtuoso che si autoalimenta e dimostra il collegamento di tutte le cose (entanglement è la nuova password), le sezioni affrontano temi generali come il sistema solare, la luna, le eclissi e i meteoriti, le escavazioni spaziali, fino a indagare le galassie e leggi dell'universo e finire nei buchi neri mettendo in mostra soprattutto opere, oggetti, arredi, lampade (oltre a qualche video e installazione) che in modo più o meno diretto e a volte didascalico e formalistico, provano a mostrare come questi soggetti abbiamo ispirato il mondo dell’arte applicata e del design.

Terra

Veduta della mostra “Terra. Designing our Planet”. Opera in primo piano: Archivio degli oggetti impossibili: Globes, Dunne & Raby, 2019. Photo © Etienne Malapert

Altra storia è invece il nostro pianeta terra, solo un piccolissimo infinitesimale punto multicolore nel cosmo, ma per ora l’unico in cui vivere e quindi il più prezioso per tutti noi. Intendere il design come un metodo che produce progetti e relazioni piuttosto che oggetti o strumenti, concentrandosi sull’atteggiamento degli esseri umani verso il resto del mondo vivente e non vivente, permette di considerare il nostro pianeta come un progetto di design, come suggerisce questa mostra, che permette di esaminare criticamente la nostra posizione occidentale contemporanea.

L’ouverture è data da una ampia galleria con numerose rappresentazioni del pianeta fatte con interessanti e ricercate mappe, planisferi, tavole ognuna ricca di dettagli che mostrano come l’essere vivente abbia pian piano compreso la complessità del pianeta secondo intenti a volte geografici a volte politici o addirittura religiosi. Dopodiché ci si immerge in uno spazio suggestivo, con un incredibile e magnetico video di Joanie Lemercier (Slow Violence, 2019) in cui si assiste inermi a una escavazione profonda e a perdita d’occhio che sta distruggendo la foresta di Hambach in Germania, e una sorprendente installazione che permette a chiunque di inventarsi una nuova crosta terrestre con tutti i dettagli orografici e tridimensionali (Tellart, Terraform Table, 2018).

“Terra. Designing our Planet”. Photo © Etienne Malapert

La mostra scorre agile nonostante lo spessore del tema, e prosegue con una sezione in cui il pianeta viene visto come un sistema autonomo, in cui tutto è circolare e funziona perfettamente finché l’equilibrio viene alterato. Qui si può ammirare la rara, tanto semplice quanto complessa, opera di Hans Haacke (Condensation Cube, 1963/68) e due opere molto originali dell’emergente studio Fragmentine (Displuvium, 2019 e G80, 2023); il percorso si conclude con un ampio spazio con varie ricerche che offrono nuove considerazioni programmatiche sul nostro pianeta, compresa una finale e paradossale installazione fatta ad hoc e frutto di una interessante ricerca su chi e come pensa ancora che la terra sia piatta (Alexandra Midal, Antoine Fœglé, Emma Pflieger, Keep It Flat, 2023).

“Hystérésia” (2022) Photo © Etienne Malapert

Infine, per allargare ancora gli orizzonti e allungare gli zenith, fuori dal museo nel suo giardino ipogeo si trova una stazione di ascolto dei satelliti “zombie” – Hystérésia, Stéfane Perraud & Aram Kebabdjian, 2022 – che, esaurita la loro missione non vengono recuperati, ma continuano ad orbitare numerosi ma invisibili, emettendo segnali che questa opera cattura in diretta e trasforma in performance sonora, mentre nelle arcate della Plateforme 10 due interessanti installazioni: una video – New Weather TV, Simone Fehlinger, 2019 – dove il tipico set televisivo delle previsioni metereologiche preannuncia un futuro un po’ distopico in cui tutto sul nostro pianeta è prevedibile, controllabile e quindi sfruttabile, e una audio – A Particular Score, AATB, 2019 – in una specie di carillon spaziale, che percepisce i raggi cosmici delle esplosioni delle supernova e riproduce dei rintocchi sonori che risuonano nello spazio e fanno eco nella nostra testa, piena di nuovi pensieri sul cosmo infinito e sulla nostra preziosa, più unica che rara, terra.

Joanie Lemercier, Slow Violence, 2019 – ongoing.© Studio Joanie Lemercier

“Space is the place”
Mudac, Lausanne
dal 8 settembre 2023 al 4 febbraio 2024

Immagine di apertura: Veduta della mostra “Terra. Designing our Planet”. Opera in primo piano: Archivio degli oggetti impossibili: Globes, Dunne & Raby, 2019. Photo © Etienne Malapert

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