Riqualificazione di Piazzale Loreto, siamo in tempo per ripensarci?

La studiosa di politiche urbane Lucia Tozzi racconta a che punto siamo con il progetto che trasformerà l’importante piazzale di Milano e i suoi punti deboli, tra greenwashing, gentrificazione e privatizzazione dello spazio pubblico.

Con un intervallo di sei-otto mesi ritorna un titolo ormai perturbante sulle pagine milanesi di website e giornali: ormai è certo, nella data xyz cominceranno i lavori di Loc (Loreto Open Community). All’annuncio segue un eccitato riepilogo – dai toni sempre più smorzati a mano a mano che passa il tempo – delle caratteristiche del progetto: frutto di un concorso internazionale promosso dal C40 Reinventing Cities e dal Comune di Milano, Loc sarà “realizzato grazie al contributo plurale di Metrogramma Milano (coordinatore del Design Team), Mobility In Chain, Studio Andrea Caputo, Land, Temporiuso e Squarati Srl e ambisce a divenire un modello di vivere a Milano che promuove lo spazio pubblico e collettivo. Loc trasformerà Piazzale Loreto da grande snodo di traffico a piazza verde a cielo aperto - recita ad esempio il sito Urbanfile – e garantirà continuità all’asse Corso Buenos Aires, Viale Monza e Via Padova”. 

Come è noto, la gigantesca omissione in tutti questi testi descrittivi è che la rigenerazione in oggetto non riguarda il passaggio da uno spazio pubblico a uno spazio pubblico, ma da un piazzale a un centro commerciale, cioè uno spazio eminentemente privato, appartenente per di più a una categoria in crisi. 

Metrogramma Milano srl, Andrea Caputo, Mic-Hub, Land, Temporiuso, From, Riqualificazione Piazzale Loreto. Foto Courtesy Nhood Services Italy SpA

La società che ha vinto il bando Reinventing Cities infatti è Cetrus-Nhood, del gruppo Auchan, controllata dalla famiglia Mulliez e specializzata in un settore del Real Estate che incrocia spazi commerciali e forme di rigenerazione urbana orientate all’Esg (Environment, Social, Governance). Per continuare a produrre e diffondere una tipologia di spazio che è stato da tempo individuato come anti-urbano, non basta più adornarlo con festoni di rampicanti e laboratori sociali, ma bisogna proprio fare finta che non esista, negare l’evidenza. E così i due piani fuori terra che svetteranno di fronte alla prospettiva di Corso Buenos Aires non fanno testo, letteralmente, così come i volumi più che raddoppiati del palazzo tra Loreto e via Porpora.

Loc è presentato come una “moderna agorà verde”, un “collegamento naturale” tra Nolo (North of Loreto, il quartiere archetipico della gentrificazione milanese), e l’asse Buenos Aires-Porta Venezia-San Babila. Secondo i promotori produrrà 10mila metri quadri di spazio pubblico con alberi ad alto fusto. Questo è un caso emblematico che mostra come il greenwashing non sia semplicemente una strategia immobiliare un po’ patetica, ma uno strumento pericoloso nelle mani di chi governa la trasformazione delle città per alimentare un modello di sviluppo suicida sia sul piano ambientale che sociale.

Chi ha detto che questa era l’unica alternativa? Se l’obiettivo era rendere attraversabile la piazza, la scelta più sensata era limitarsi a pedonalizzarla parzialmente [...] come per esempio a Place de la République a Parigi [...] che è rimasta pubblica.
Piazzale Loreto, Milano, 2025

Solo “oscurando l’impatto ecologico delle attività di costruzione e presentando una faccia virtuosa ed eco-friendly, il capitalismo è in grado di continuare a portare avanti le sue pratiche di sfruttamento e di impedire ogni cambiamento” – sostiene infatti Charlotte Malterre-Barthes in On Architecture and Greenwashing - “Typified by the much-lamented tree-adorned skyscrapers, the age of sustainability is manifested by delayed net-zero pledges, opaque ecolabels, unrealistic offsetting programs, cosmetic “reinvention”, and questionable techno-fixes”.

Se in generale queste retoriche servono a distogliere l’attenzione dal fatto che l’industria delle costruzioni è responsabile del 40% delle emissioni globali, nelle dinamiche della produzione dello spazio urbano la loro funzione è quella di implementare quella che Tom Slater chiama l’“urbanistica delle false alternative”: a chi si oppone a interventi ecoluxury sulla propria pelle di cittadino, a chi protesta contro la privatizzazione di spazio pubblico, la gentrificazione e l’impatto ambientale, viene risposto che i progetti ecosostenibili sono sempre meglio del degrado esistente.

E infatti a Loreto, di fronte alle rimostranze e alla vertenza promossa dal gruppo Abitare in via Padova - che denuncia il rincaro dei prezzi delle case nel quartiere multietnico di via Padova, gli sfratti e i progetti di svendita delle case popolari di Viale Lombardia e di via Lulli, e chiede di trasformare alcuni edifici vuoti in abitazioni a basso costo – viene immancabilmente risposto che i vantaggi sociali e l’alta attenzione alla sostenibilità di Loc sono senz’altro meglio della rotonda spartitraffico attuale. 


Chi ha detto che questa era l’unica alternativa? Se l’obiettivo era rendere attraversabile a piedi o in bici e vivibile la piazza, la scelta più sensata era limitarsi a pedonalizzarla parzialmente ma a raso, con un bel progetto paesaggistico molto più economico ed ecologico del vincitore e uno studio serio sulla mobilità. Come per esempio a Place de la République a Parigi, come scrisse a suo tempo Alessandro Benetti su queste pagine, che è rimasta pubblica, diventando più attraversabile ma anche luogo ideale per radunarsi e manifestare. E non costruire un edificio privato in mezzo alla piazza, che di fatto dall’esterno non sarà più percepibile come una piazza ma come una strada, e spacciare le sue terrazze degradanti verso il piano sotterraneo, adorne (speriamo) di alberi, come “la nuova piazza pubblica”. Uno spazio piccolo, affossato e in mezzo a negozi – di notte chiusi – quindi potenzialmente molto insicuro, e quindi destinato a una sorveglianza privata.

Piazzale Loreto nel 1948. Courtesy Wikimedia Commons

Loc è scaturito da un pensiero ormai obsoleto che informa lo stesso concorso Reinventing cities, secondo il quale il pubblico non può agire senza investimenti privati, i quali per natura devono essere redditizi per gli investitori e quindi estraggono il massimo valore possibile dalla città.

Per svincolarsi da questa logica che soffoca l’autorevolezza del pubblico e comprime l’interesse generale, è utile rievocare la potenza del pensiero di Lacaton e Vassal, i due Pritzker che nel progetto di Place Léon Aucoc a Bordeaux dimostrarono che la cosa migliore per quello spazio era non fare niente, evitare modifiche strutturali e concentrarsi su piccole migliorie e soprattutto sul processo di manutenzione, riparazione, adeguamento. Privilegiare l’ordinario, il continuo, rispetto allo straordinario. Fermare le demolizioni e gli scavi, se non nei casi indispensabili, e investire intelligenza e denaro pubblico in soluzioni alternative.

Metrogramma Milano srl, Andrea Caputo, Mic-Hub, Land, Temporiuso, From, Riqualificazione Piazzale Loreto. Foto Courtesy Nhood Services Italy SpA

Immagine di apertura: Metrogramma Milano srl, Andrea Caputo, Mic-Hub, Land, Temporiuso, From, Riqualificazione Piazzale Loreto. Foto Courtesy Nhood Services Italy SpA

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