Unbuilding Walls. La Germania alla Biennale d’Architettura di Venezia 2018

Alla 16. Mostra Internazionale di Architettura i curatori del Padiglione tedesco scelgono 28 interventi di architettura urbana per riflettere su divisione e integrazione.

Axel-Springer-Campus. Image courtesy OMA

“Circle Day”. Così i tedeschi chiamano lo scorso 5 febbraio. Questa data funge infatti da spartiacque: sono trascorsi 28 anni, 2 mesi e 26 giorni dalla caduta del muro di Berlino, avvenuta il 9 Novembre 1989. 28 anni, 2 mesi e 26 giorni, lo stesso lasso di tempo che ha visto la capitale tedesca divisa in due. “Circle Day” sta quindi a significare che il lasso di tempo passato senza il Muro è ora maggiore di quello trascorso con.

In occasione di questo momento storico simbolico, lo scorso 5 febbraio GRAFT Architects e Marianne Birthler (ndr. membro dell’opposizione ai tempi della DDR nonché ex-Commissario Federale per gli archivi della Stasi) hanno svelato i primi dettagli del loro concept per il Padiglione tedesco alla prossima Biennale di Architettura di Venezia. Giunta alla 16esima edizione, la prestigiosa rassegna internazionale è diretta quest’anno dalle fondatrici di Grafton Architects, Yvonne Farrell e Shelley McNamara, e si svolgerà dal 25 maggio al 25 novembre 2018.

Nel loro progetto “Unbuilding Walls” i curatori Thomas Willemeit, Wolfram Putz, Lars Krückeberg e Marianne Birthler partono dalla riunificazione della Germania e sviluppano una riflessione dal respiro ben più ampio, confrontandosi con tematiche più attuali che mai quali nazionalismo, integrazione e divisione. Oltre un quarto di secolo dalla caduta della Cortina di Ferro, in un’era in cui la globalizzazione dovrebbe abbattere i confini territoriali e culturali, il nostro resta un mondo fatto di barriere – in filo spinato e cemento, ma anche politiche e digitali. Basti pensare alla Brexit, l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, o all’amministrazione Trump che intende realizzare una nuova barriera di oltre 700 miglia al confine sudorientale degli U.S.A., per la cifra astronomica di 18 miliardi di dollari.

Axel Springer, High-rise. Foto Axel Springer SE
Axel Springer, High-rise. Foto Axel Springer SE

Prendendo spunto dal “Circle Day” e da sei tra i più noti muri esistenti al mondo (appunto, il muro tra U.S.A e Messico, quello tra Israele e la Cisgiordania, passando per Corea del Nord e Corea del Sud, l’isola di Cipro divisa in due, i “peace walls” dell’Irlanda del Nord e ancora i confini orientale e meridionale dell’U.E.), i curatori del Padiglione tedesco esplorano la poliedricità del concetto di “confine”, raccontandone non soltanto l’aspetto politico ed economico, ma anche e soprattutto quello sociale e culturale. Com’è l’esistenza di coloro che vivono all’ombra di un muro? Una volta abbattuto, un muro smette di esistere anche nella testa delle persone? Quale contributo, concreto e simbolico, può fornire l’architettura, andando a recuperare gli spazi una volta inaccessibili?

Schmerbach prima di essere rasa al suolo. Foto Privat archive Kilian
Schmerbach prima di essere rasa al suolo. Foto Privat archive Kilian

“Unbuilding Walls” è la risposta tedesca al titolo scelto da Yvonne Farrell e Shelley McNamara, “Freespace”, che rappresenta “la generosità, il senso di umanità che l’architettura colloca al centro della propria agenda, concentrando l’attenzione sulla qualità stessa dello spazio.” I visitatori del Padiglione tedesco potranno ammirare ventotto progetti di architettura urbana di spicco, scelti dai curatori in quanto calzanti per discutere di divisione e integrazione. Tutti i progetti in mostra raccontano del recupero di spazi urbani vuoti sorti in seguito alla caduta del Muro – venti sono nella capitale tedesca stessa, mentre i restanti otto si trovano nelle “Mauerstreifen” (ndr. termine tedesco utilizzato per indicare la striscia di confine corrispondente all’ex frontiera tra Germania Est e Germania Ovest).

Jahrsau, 2008. Foto Anne Heinlein
Jahrsau, 2008. Foto Anne Heinlein

Alla conferenza stampa tenutasi lo scorso 5 febbraio il team di curatori tedeschi ha svelato quattro dei ventotto progetti selezionati: il nuovo campus dell’editore Axel-Springer progettato da OMA, con il suo atrio diagonale di 30 metri a simboleggiare sia il vuoto lasciato dal Muro di Berlino che la storia di riunificazione della capitale tedesca; Checkpoint Charlie, uno tra i principali ex posti di blocco berlinesi situato tra il settore sovietico e quello statunitense, un simbolo per eccellenza della Guerra fredda; Eurovelo 13, o il percorso ciclabile lungo l’ex Cortina di Ferro, che si estende per oltre 10,000 chilometri da Kirkenes, in Norvegia, fino al Mar Nero; e infine, gli oltre cinquanta paesini che una volta sorgevano sul confine tra Germania Est e Germania Ovest, evacuati e poi rasi al suolo tra il 1953 e il 1961 dal SED, il Partito politico della Repubblica democratica tedesca.

Unbuilding Walls,
Unbuilding Walls, Padiglione Germania, 16. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia, foto Maria Seifert / Helge Renner

Non da ultimo, il Padiglione tedesco esporrà una serie di materiali fotografici e video raccolti da un team di giornalisti che stanno visitando diverse delle principali zone di confine nel mondo.

Titolo:
Unbuilding Walls. Padiglione Germania
Evento:
16. Mostra Internazionale di Architettura
Date di apertura:
26 maggio – 25 novembre 2018
Indirizzo:
Giardini della Biennale, Sestiere Castello, Venezia

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