Il palco di Sanremo, tra storia e design

Tra capolavori musicali e perle di cultura pop il Festival ha scandito l’evoluzione del costume italiano anche attraverso i suoi palchi e performance, di cui ripercorriamo storia e stile. 

Ogni febbraio, per cinque giorni, gli occhi della nazione intera sono puntati su Sanremo, casa del Festival della Canzone Italiana. Da oltre settant'anni la competizione canora, anticamera e ispiratrice dell’Eurovision, tra fiori, pronostici e polemiche ci racconta l’Italia, anche attraverso le sue scenografie e costumi. Da simbolo di una raffinatezza stilistica e canora tutta tricolore a grande show televisivo votato a una concezione tutta anglosassone di spettacolo, dove è anche l’attesa per i look indossati e le schegge impazzite a sancirne il successo.  

Le celeberrime scale del palco del Teatro Ariston – il cui allestimento ha visto avvicendarsi nomi del calibro di Dante Ferretti e Emanuela Trixie Zitkowsky, tra gli altri – sono infatti state il trampolino di lancio per carriere fortunatissime, ma anche di momenti che rimarranno per sempre impressi nella memoria collettiva degli italiani, per meriti tutto fuorchè canori.  

Gli anni Cinquanta, l’eleganza nella sobrietà

Nato nel 1951, il festival nel suo primo decennio di attività è ancora molto legato alla formalità del palco che lo ospita: quello del Salone delle Feste del Casinò Municipale di Sanremo. Gli spunti scenografici, oltre a drappi napoleonici, sono più che altro offerti dal tripudio di fiori – per anni il marchio di fabbrica della kermesse – che impreziosisce le estremità del palcoscenico.

Il logo RAI sul boccascena è uno dei pochi tocchi di design Mid-Century a caratterizzare il palco del festival durante gli anni ’50. Foto RAI

Allestimenti e addobbi dagli sfumati richiami liberty, lasciati con gusto e semplicità agli impiegati stessi del Casinò, sotto la direzione artistica di Lorenzo Musso. Una sobrietà estetica che si rispecchia in canzoni, dai fraseggi così ben scanditi, che oggi appaiono lontane, lunga eredità delle musiche delle trasmissioni EIAR che fuoriuscivano gracchianti e ovattate dalle grandi radio valvolari durante il Ventennio.

Dopotutto è la grande scritta RAI a dominare il palco in questi anni, unico guizzo sanremese in cui si ritrova il design modernista che fuori dal teatro si è affermato per l’Europa e lo Stivale. 

Gli anni Sessanta, tra Spazio e rigore

Se Nel Blu Dipinto di Blu di Domenico Modugno (1959) prima e Non Ho L’Età di Gigliola Cinquetti (1964) poi, contribuiranno a solcare il percorso di nuove strade e stilemi della forma canzone nel pop italiano dell’epoca, bisogna però aspettare il 1967 per assistere a una vera e propria svolta nelle scenografie. 

La ricerca per un design nuovo e l’ispirazione delle discoteche yè-yè definiscono l’allestimento del palco di Sanremo 1967. Foto Archivio Ragazzi di Strada

Quello del ’67 è uno dei Sanremo più affascinanti di sempre, almeno per chi concepisce la musica come un insostituibile tassello di più ampie e intricate traiettorie sociali. Il giallo di Tenco, trovato senza vita nella sua stanza d’albergo con una pistola accanto, e Lucio Dalla, nudo, avvolto in una pelliccia, in stato di shock, sul pavimento della camera attigua. In tutto ciò il primo palco di Sanremo al passo con i tempi, con il design che guarda allo spazio.

Orchestra, cantanti e Mike Bongiorno incapsulati in una struttura composta da una successione di pannelli verticali traforati di colore rosa; mentre piattaforme cubiche che ricordano quelle dei moderni club yè-yè diventano pedane per coristi e coriste – che rimangono, comunque, ancora qualche centimetro più in basso dei loro colleghi uomini. 

Nel 1977 la televisione a colori arriva in Italia. Il pubblico da casa verrà sbalordito dalle cromie delle scenografie della kermesse a cura di Monti Milos e Rino Ceriolo, da questa edizione nella nuova casa del Teatro Ariston. Foto Archivio Ragazzi di Strada

Ironia della sorte, l’anno seguente, mentre le strade Europee vanno a fuoco e anche a Sanremo gli studenti contestano, le scenografie del festival fanno un salto indietro. Un ritorno simbolico ad un ancien regime rivierasco, mentre Endrigo, primo in gara, quasi fa saltare tutto all’aria, con l’idea di presentarsi sul palco, attaccare con “la festa appena cominciata, è già finita”, e ritirarsi dietro le quinte. Un gesto di ammutinamento, tra l’ironico e il politico. 

Per la successiva edizione, toccherà invece a Guido Crepax cogliere, attraverso uno splendido manifesto, il clima di oppiacea disillusione e di ritorno allo stile liberty che segnerà anche diverse scenografie del nuovo decennio alle porte.

Anna Oxa e il suo look Punk creato da Ivan Cattaneo per la partecipazione della cantante al Festival di Sanremo 1978. Foto Wikipedia

I Settanta e l’esplosione cromatica

Gli anni Settanta, trascorrono tra canzoni di gruppi melodici e teste cotonate, in un avvicendarsi di tradizione e timidi accenni di design. Vedasi il font liberty sul boccascena dell’edizione 1976, in netta contrapposizione con la postazione super tecnologica – figlia della nuova moda del disc jockey – da cui il presentatore Giancarlo Guardabassi introduce gli artisti in gara. O l’allestimento per il festival del 1973, dal gusto quasi orientale; recentemente riscoperto grazie una registrazione avvenuta sull’isola di Malta, dove il segnale RAI era già ricevuto a colori.  

Bisognerà aspettare l’avvento della TV a colori nel febbraio 1977 e, soprattutto, il passaggio al palco del Teatro Ariston per ritrovare nelle scenografie del festival quello slancio cromatico e progettuale che sino ad allora aveva invece avuto libero sfogo in discoteche, interni abitativi, sale giochi e varietà televisivi.  

La scenografia dal gusto orientale studiata per Sanremo 1973. Foto RAI Radiotelevisione Italiana

I palchi di Sanremo, in questi anni, si fanno sempre più simili a quelli dei festival itineranti estivi trasmessi in televisione, come Festivalbar e Saint Vincent Estate. Addirittura il logo della kermesse viene arricchito da un gradiente iridato. Come se, sino ad allora, la rete ammiraglia avesse voluto conferire a Sanremo quell’aura abbottonata e democristiana che sarebbe poi saltata per aria, anche nelle strade, con l’escalation del terrorismo, e la conseguente ascesa della Milano da Bere. 

A dissacrare questo sentimento Rino Gaetano, che al festival del ‘78 si presenta in un opulento frac con un ukulele in mano. Sullo sfondo una scenografia sinuosa, che punta tutto su un gradiente giallo-rosso che, finalmente, buca lo schermo e inchioda gli italiani in poltrona. Mentre Anna Oxa, con styling di Ivan Cattaneo, fa scoprire al Signor Rossi cosa sia il punk. La sua camicia azzurra – resa ancora più satura dal PAL delle tivù – è frastornante contro lo sfondo arancione del palco, come lo è il successo discografico della sua Un’Emozione da Poco. Vinceranno – forse in virtù della varietà cromatica – i Matia Bazar, con costumi a metà tra gli Spiders from Mars di Bowie e il Rocky Horror Picture Show.  

Le geometrie sinuose del palco di Sanremo 1978 fanno da sfondo alla storica performance di Rino Gaetano. Foto Archivio Ragazzi di Strada

Anni Ottanta, la discoteca come ispirazione

Sono a firma di Enzo Somigli, invece, i palchi che tra il 1981 e il 1982 inaugurano gli stilemi del nuovo decennio, dentro e fuori l’Ariston. Le superfici retroilluminate dal gusto postmoderno rimandano agli allestimenti per i congressi del PSI di Craxi, come quello del 1989 a Milano concepito da Filippo Panseca.  

O ancora, quelle quadrate in vetro fumé che scandiscono il ritmo del palco per l’edizione del 1983; dove Vasco canta Vita Spericolata, e Peter Gabriel, ospite truccato da scimmia, ne offre una dimostrazione pratica lanciandosi sul pubblico in platea con una corda-liana. Diversi sono infatti gli ospiti stranieri che si prendono gioco dell’aria istituzionale della kermesse. Nel 1981 Buster Bloodvessel, cantante degli inglesi Bad Manners, si denuda sino alle mutande davanti a un Claudio Cecchetto decisamente perplesso. Nel 1996, invece, i Blur si esibiscono con un cartonato del chitarrista Graham Coxon, lanciando una frecciatina all’imposizione sanremese di cantare in playback. 

La scenografia di Enzo Somigli per l’edizione 1981 del festival di Sanremo trae ispirazione dalle discoteche e dal gusto postmoderno che si afferma nell’architettura e nel design del tempo. Foto Archivio Ragazzi di Strada

Questi, d’altronde, sono anche gli anni in cui l’idea dell’esibizione come performance inizia a affermarsi, segnando la via che negli ultimi anni ha portato sul palco dell’Ariston la scimmia di Gabbani e la vecchia che balla de Lo Stato Sociale. Se I Ribelli avevano già subdolamente strizzato l’occhio alle polemiche sui capelloni, presentandosi con parrucche zazzerute alla Beatles nel 1966, è soprattutto Loredana Bertè a sancire questo nuovo corso sanremese. La sua esibizione provocatoria con ballerine e finto pancione avvolto in un body di PVC al festival del 1986 si imporrà sulla canzone stessa, scivolata nel dimenticatoio a dispetto del costume, che all’epoca – a quanto dichiarato dall’artista – fu apprezzato dal solo Sting.   

Mentre l’insegna del Totip accompagna quella di Sanremo – segno dei tempi, e della Febbre da Cavallo degli italiani – nel 1985, tra neon e luci stroboscopiche, si raggiunge con il palco allestito da Luigi Dell’Aglio l’apice sanremese del gusto retro-futurista e distopico reso celebre da Blade Runner, Moroder e Rockets (poi citati dai trasformisti Elio & le Storie Tese nel 1996). L’imboccatura della storica scalinata che conduce al palco è definita da un varco scuro in cui le luci blu al neon scandiscono un reticolato che va a braccetto con l’outfit argenteo con cui la Brunetta dei Ricchi & Poveri solleva il trofeo di quell’edizione. 

  

Dai Novanta a oggi, il Festival come show di costume

Dopo la sbronza strobo degli Ottanta, per tutti i Novanta sembra si assista a un ritorno, non poco pacchiano, a neoclassicismo e Art Deco. Anche il palco dell’Ariston replica le imponenti scenografie con tromp l’oeil, statue, fontane e palette candide dei varietà televisivi (o dei casinò di Las Vegas).  

È verso la fine del decennio che a inizia a delinearsi lo stilema di palco che tutt’ora accompagna la kermesse, definito da ledwall, una prevalenza di luci blu e allestimenti che trasformano il teatro in un’astronave ai fini di un festival diventato gran varietà. Si ricorda nel 2006 il passaggio di Dante Ferretti che regala a Sanremo sfumature felliniane e Cabiriane di una riviera che fu, accompagnate da una colossale statua del leone simbolo della città.  

Il palco di Sanremo 1994 è tra i più rappresentativi del gusto che definisce l’Ariston per la maggior parte del decennio. Foto RAI

Nell’ultimo decennio l’attenzione per il design – complice anche l’influenza di eventi come i MET Gala – si è spostata verso i costumi, in una gara nella gara tra stilisti dove il tradizionale completo scuro con cravatta è oggi diventato l’eccezione. In un percorso partito già dagli anni Ottanta con Patty Pravo in total look Versace (1984) e arrivato sino ai Maneskin e Achille Lauro i cui costumi di Gucci, hanno saputo tenere banco nel discorso mediatico più delle loro canzoni.   D’altro canto, Sanremo e il suo casinò, già a partire dall’anno seguente alla nascita del Festival, avevano ospitato il Festival della Moda Maschile Italiana, punto di riferimento per il nascente ready-to-wear tricolore, come recentemente documentato dalla ricercatrice Marta Franceschini.

Il palco pensato da Dante Ferretti per Sanremo 2006. Foto RAI

Risulta dunque spontaneo domandarsi se Sanremo e i suoi palchi siano stati capaci di farsi fedele cartina di tornasole dell’evoluzione del design e della cultura popolare anche al di fuori dell’Ariston. Con l’avvicendarsi di direttori artistici, scenografi e costumisti, il sentimento nazionale, come un’onda, è stato cavalcato egregiamente a volte, inseguito in ritardo altre. Difficile ottenere una risposta esatta, un teorema sanremese. Anzi, è forse proprio questa aleatorietà a rendere il festival così amato dagli italiani, a tenerli incollati al televisore o portarli a assieparsi fuori dall’Ariston, facendoli cantare e anche scannare, prima nei bar, oggi sui social. Sono i social stessi, dopotutto, tra retromania, appeal per i costumi e ironia post-moderna da Fantasanremo e trash televisivo, a aver contribuito al ritorno di fiamma tra i più giovani e il Festivàl. Provate voi a chiamarle solo canzonette.

Immagine di apertura: i Matia Bazar vicnitori del Festival di Sanremo 1978, in costumi di scena dal gusto Glam. Foto Archivio Ragazzi di Strada