Nel futuro dell’industria alimentare, si trasformeranno gli scarti di cibo in oggetti

Sulla via dell’eliminazione della plastica mono-uso, il riuso di scarti organici sta diventando un materiale sempre più popolare. Presentiamo qui due esempi: uno della giovane designer islandese Valdís Steinarsdóttir, e l’altro della multinazionale par excellence, McDonald’s.

Dei 78 milioni di tonnellate di imballaggi di plastica prodotti ogni anno a livello globale, solo il 14% viene riciclato. Leggera e galleggiante, la plastica che sfugge alla raccolta – circa nove milioni di tonnellate all’anno – si riversa negli oceani. Un processo di riciclo più coscienzioso sarebbe vantaggioso, ma non è una soluzione a lungo termine. Industrialmente continua la produzione di bottiglie e contenitori sempre più sottili, ma la plastica rimane di fatto un materiale creato con risorse non rinnovabili, petrolio o gas naturale, e la maggior parte di essa non vedrà mai una seconda vita.

Ma il dialogo sulla sua sostituzione diventa ancor più difficile quando si parla del mercato alimentare. Nonostante la crescente battaglia contro i prodotti mono-uso (almeno fino all'inizio del Covid che ha visto, per assurdo, un ritorno massiccio a questa tipologia di packaging), la plastica protegge il cibo dalla pressione, dall’umidità, dalla luce e dai batteri che accelerano la putrefazione, mentre la sua caratteristica trasparenza permette ai consumatori di vedere cosa stanno acquistando.

Designer e ricercatori, però, stanno sempre più sfidando i limiti di queste tematiche. Dopo i numerosi studi fatti per sostituire la pelle di origine animale con l’eco-pelle generata dal micelio – apparato vegetativo dei funghi ed è formato da un intreccio di filamenti – è ora il turno proprio degli scarti di origine animale.

La designer islandese Valdís Steinarsdóttir, ad esempio, sta trasformando i sottoprodotti dell’industria della carne in recipienti fatti di ossa e un materiale bioplastico per il packaging. Il progetto Just Bones è dedicato alla creazione di contenitori prodotti con la polvere di ossa animali, mentre Bioplastic Skin trasforma la pelle animale in imballaggi per la carne della stessa creatura. Entrambi i materiali si dissolvono in acqua calda e si biodegradano in poche settimane.

“Il consumo di carne e l'uso eccessivo di plastica stanno raggiungendo un punto critico ed è chiaro che la società ha bisogno di ripensare il suo modello consumistico” afferma la designer. “Con questo progetto si spera che si apra una piattaforma per la discussione e il dibattito”.

Courtesy Arcos Dorados

Una rivoluzione per essere tale, però, non può passare solo dai giovani creativi, ma anche, paradossalmente, da chi ha da sempre contribuito alla produzione di rifiuti usa e getta. Arcos Dorados, nello specifico, è il più grande franchising indipendente di McDonald’s al mondo, il quale gestisce i ristoranti della catena in America Latina e nei Caraibi. L’impegno dichiarato dall’azienda per un impatto positivo sull’ambiente è segnato ora dalla decisione di sostituire i vassoi di plastica usati dai clienti con una versione più sostenibile realizzato con gli scarti di rifiuti organici.

Il movimento fa parte di un programma di riduzione della plastica che è iniziato nel 2018. Da allora, un totale di 1.300 tonnellate di plastica monouso sono state rimosse dai ristoranti. I nuovi vassoi, invece, rappresentano il primo passo della partnership tra Arcos Dorados e UBQ, una società israeliana specializzata nella conversione dei rifiuti attraverso la termoplastica. Per utilizzare i rifiuti organici come parte essenziale nella produzione di termoplastica, lo scarto viene diviso nei suoi componenti naturali di base, come cellulosa, lignina, zuccheri e fibra, per lo sviluppo di una materia prima compatibile con le macchine e gli standard di industria manifatturiera.

In questa prima fase, 7.200 vassoi sono stati distribuiti in 30 ristoranti McDonald’s situati in 20 capitali brasiliane. L’iniziativa sarà gradualmente estesa agli altri unità di rete in tutto il paese, e a tal fine, 11.000 unità aggiuntive.

Certo che quando a parlare di cause ambientaliste è proprio il più grande consumatore mondiale di carne bovina, può nascere subito il dubbio che si tratti dell’ennesimo tentativo di greenwashing aziendale. Osservando quest’iniziativa, infatti, la domanda scontata che dovremmo porci è: dove finiscono questi 11.000 vassoi di plastica da sostituire con vassoi organici? Verranno riciclati, almeno in parte, o saranno proprio loro, tra qualche mese, a inquinare l'ambiente?

Immagine di apertura: Courtesy Arcos Dorados/UBQ

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