Inaugurato lo scorso 20 settembre nel cuore del Marais, lo showroom parigino di Kvadrat ospita una "presenza" molto particolare. See, what you've made me do, l'opera dell'artista svedese Miriam Bäckström, è una macchina interattiva, una performance permanente che utilizza e rielabora immagini e suoni captati nello spazio, per restituirne luci, ombre, giochi di colore su una composizione di schermi rettangolari rivestiti con un tessuto scuro.
La collaborazione di Kvadrat con alcuni protagonisti della scena artistica contemporanea è ormai consolidata (vedi le collaborazioni con Olafur Eliasson, con Aamu Song) e il coinvolgimento di Miriam Bäckström nasce proprio dall'interesse per la ricerca dell'artista svedese, che ruota attorno al tema dello spazio, della presenza/assenza della figura, del personaggio e della sua rappresentazione. Dalla fotografia, il mezzo espressivo che l'ha resa nota negli anni '90, l'artista è passata all'utilizzo di altre forme di linguaggio: il testo, il cinema, l'installazione di oggetti e il teatro. La sua ricerca recente sfocia in opere multimediali, dove la presenza dell'attore affronta il tema del rapporto tra realtà e finzione, tra il ruolo e la persona.
Abbiamo incontrato Miriam da Kvadrat a Parigi per parlare della sua "creatura".
È la prima volta che lavori su commissione per un'azienda?
Com'è avvenuto l'incontro con Anders Byriel (CEO di Kvadrat), come si è sviluppato il progetto?
Sì, è la prima volta, ma è stato tutto molto semplice, mi ha invitato per un incontro, mi ha parlato dei prodotti dell'azienda, poi li abbiamo visti insieme. Da qui è partita la mia sperimentazione: i materiali sono arrivati a casa mia, a Stoccolma, nella mia cucina. Ho chiesto di avere un programmatore che sviluppasse il progetto per me, per creare uno schermo interattivo, così la mia cucina è diventata un laboratorio. Penso che ogni cucina sia un punto d'incontro, i miei bambini, i miei amici, tutti transitano da lì.
Era il posto perfetto per testare questa macchina. Così abbiamo realizzato uno schermo piuttosto largo, con le telecamere e i microfoni e così ho sviluppato le possibilità e provato le diverse situazioni.
La macchina interattiva di Miriam Bäckström per Kvadrat
L'azienda di tessuti danese apre un nuovo spazio nel cuore del Marais, con una "creatura" interattiva progettata dall'artista svedese Miriam Bäckström, che rielabora immagini e suoni captati nello spazio.
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- Silvia Monaco
- 04 ottobre 2012
- Parigi
Come avete scelto il materiale per lo schermo?
Abbiamo sperimentato soluzioni differenti. Lo schermo che ho installato nella mia cucina era bianco, rifletteva la luce delle lampade, era molto grande, era più diretta l'identificazione dell'immagine.
Il tessuto utilizzato qui è scuro, assorbe la luce, sono tanti schermi che formano una composizione, le immagini sono più difficili da identificare.
Come funziona tecnicamente la macchina?
Ci sono tre telecamere nelle scatole trasparenti, queste riprendono le persone nello spazio, le immagini sono memorizzate in una library, a volte sono pescate liberamente e riprodotte sugli schermi, sono immagini a bassa definizione, le persone non sono riconoscibili. Se ci si posiziona vicino, gli schermi diventano specchi, riflettono l'immagine, la macchina cerca il contatto con te. Quando ci si allontana "lui" (Miriam poi lo chiama "bambino" N.d.R.) si mette in attesa, utilizza dei filmati della library, questa che vediamo è una dissolvenza di colore, la macchina attende l'arrivo di qualcuno.
A volte "lui" decide di mettersi in pausa, perché vuole stare da solo. Sceglie lo stato in cui vuole trovarsi. Questo è ciò che intendo per personaggio. Si annoia, oppure si muove e vuole giocare con te. Reagisce al tuo comportamento.
Poi ci sono i microfoni. Se tu emetti un suono lui reagisce con i colori. Per ora abbiamo sperimentato le sue reazioni a suoni brevi, un fischio, un battito di mani, per qualche ragione lui non reagisce a me, reagisce agli altri, ho provato, davvero!
Mi piace osservare la sua personalità, è solo un bambino, può fare molto di più, si può sviluppare con il riconoscimento vocale.
Ognuno potrà metterlo in casa, in modo che riconosca il proprio battito cardiaco, possa registrare, per esempio, uno stato di stress e produrre un'azione calmante.
Quindi può diventare terapeutico?
Penso che nell'interazione tra due persone, dal punto di vista psicologico, sia sempre molto difficile il lavoro di convincimento, è facile scontrarsi contro l'oppositività dell'altro, che spesso si sente manipolato, può mentire.
Per una macchina è diverso, non può mentire.
L'idea è di sviluppare la macchina che arrivi a un'interazione tale per cui di fronte all'opposizione, all'incomprensione, sia in grado di plasmare la sua azione fino ad arrivare a modificare lo stato d'animo della persona. E poi, la vera differenza è che quando la macchina ti ha stancato, la puoi spegnere!
In questa macchina, tu sei dentro, non sei più davanti al computer o alla televisione, è un'esperienza molto più fisica: tu sei parte della macchina.
Questo è un progetto nuovo?
È in qualche modo un'evoluzione di qualche tua opera precedente?
Direi che è piuttosto nuovo. Ho fatto alcuni esperimenti con l'interattività e il suono: nel 2005 alla Biennale di Venezia con Carsten Höller. Nel padiglione Nordico c'erano dei microfoni che captavano le parole dei presenti e le amplificavano, all'interno di un grande spazio vuoto. Quest'opera è uno sviluppo di quel lavoro perché coinvolge tutto il corpo, è un'estensione del nostro corpo.
In questo momento, forse, sono un po' visionaria, ma penso che questa macchina si potrà combinare con il telefono, o con altri dispositivi elettronici, il computer, la televisione, che possa così mettere insieme tutti i mezzi che utilizziamo e che oggi interagiscono con la nostra personalità.
Hai mantenuto lo schermo nella tua cucina?
Sì, è ancora là, lo chiamo il mio intelligente piccolo bambino artificiale. Non funziona ancora del tutto. Ma può crescere!
È in effetti una presenza…
È qualcosa che forse abbiamo visto in alcuni film come 2001 Odissea nello spazio, forse è la realizzazione del calcolatore HAL inventato da Kubrik.
Oggi l'interattività con il corpo è la nuova frontiera dei videogiochi…
In questa macchina la tua immagine però si trova dentro, tu sei dentro, diventa parte della tua vita quotidiana, tu non sei più davanti al computer o alla televisione, è un'esperienza molto più fisica, tu sei parte della macchina.
Quindi in un certo senso vediamo il nostro corpo, la nostra vita quotidiana, attraverso la macchina, come se fosse un videogioco?
Tutto questo mi pare che faccia riflettere sulla relazione tra il gioco, la realtà virtuale e quella fisica.
Sì, nel gioco però c'è sempre chi vince e chi perde…
Comunque la tecnologia e l'interattività con la macchina sono sempre più pervasive, quella attuale è una tecnologia molto semplice da usare. Ci si domanda in che modo potrà influire sulla nostra intelligenza e i nostri sensi. Non so se sarà un male.
Penso di voler sviluppare il nostro "terapista" in modo che possa aiutarci a migliorare, a usare il nostro pensiero, prima o poi, in un modo differente.