Trent'anni di carriera e duemila tra oggetti e immagini distribuiti in sei ambienti all'interno del Design Museum di Londra. Eppure, ci tiene a precisare che questa mostra non è una retrospettiva né un'antologica. Come potremmo definirla?
Faccio molta fatica a fare un discorso retrospettivo, a ripensare al passato. Anche perché ho sempre sofferto di dislessia e quindi il mio cervello "funziona" in un altro modo. Il mio modo di lavorare si può paragonare al modo che i bambini di 4, 5, 6 anni hanno di giocare. Anche senza giocattoli, sono capaci di inventare una realtà: con grande fantasia e immaginazione un sasso può così diventare una macchina di polizia. Io lavoro un po' con lo stesso sistema. Questa mostra è nata da un invito del direttore del Design Museum Deyan Sudjic e quest'anno, per la prima volta, ho scritto un testo, una riflessione sul mio lavoro, in occasione del libro pubblicato da Phaidon.
Il titolo "Drawing Life" ribadisce l'importanza del disegno. Quanto è importante il disegno nella vita e nel lavoro di Javier Mariscal?
Disegnare quello che vedo è il mio sistema per capire la realtà e la vita. Io, per esempio, non scrivo mai, disegno le lettere. Quando avevo 9-10 anni il disegno era il mio modo di esprimermi. Gli schizzi che faccio sono per me tante fotografie della realtà. Non sono una Nikon o una Canon, sono un Mariscal. Fino a che non ho disegnato qualcosa insomma non ne ho chiaro il concetto. Funziono come uno scanner: tutte queste immagini fanno una danza interiore, che si forma nello stomaco, arriva al cervello e, attraverso i nervi, alla mano. La mostra vuole parlare anche di questo, per questo tutto è disegnato. Tutto è fatto di carta e cartone. Un po' anche per ragioni di budget. È come entrare in un disegno. Ci sono le piccole case in cartone che abbiamo fatto per Magis, Villa Julia. Una accanto all'altra sembrano villette a schiera, molto in voga in Spagna in questo momento, e c'è un'immagine della geografia turistica della Spagna: Benidorm, l'autostrada, la televisione…
È soddisfatto del risultato?
Molto, perché ho avuto molta libertà. Il titolo della mostra è stato suggerito dal curatore Daniel Charny, https://danielcharny.com. Significa "disegnare la vita", ma anche "una vita disegnando", "la vita è come un disegno", "disegnando la vita"… Abbiamo cominciato lavorando su questo concept. Abbiamo preso alcuni progetti importanti, di grafica e illustrazione per creare una parete. Abbiamo fatto un piccolo altare con tutte le cose di Magis.
Ho portato a Londra – la capitale del mondo, una città molto internazionale, un grande specchio – uno sguardo del tutto ludico l'opposto di un approccio accademico, anglosassone o descartiano. Mi piaceva molto anche che la mostra si sia inaugurata d'estate perché come tutti i miei progetti anche questo poteva essere molto fresco e mediterraneo. L'idea era provocare piacere e divertimento nei visitatori. Il divertimento è un sistema fantastico e unico che gli esseri umani hanno di capire la vita e il mondo.
Lo studio Mariscal si trova su Facebook, mentre un blog ricco di video e immagini completa la mostra al Design Museum. I social network hanno cambiato il modo di fare comunicazione: sono strumenti in cui crede o è solo un modo per stare al passo con i tempi?
Sarebbe come chiedersi "sei d'accordo che ci sono gli autobus, la metropolitana e la bicicletta?", "Pensi che vadano bene per andare a lavorare o no?", "Cosa ne pensi delle finestre?". Questi strumenti sono ormai come le scarpe, ne abbiamo bisogno, non si può farne a meno. Ci siamo detti che dovevamo avere un sito web per la mostra e così abbiamo fatto un blog. Io, personalmente, sono molto a-tecnico, non ho mai capito niente di tecnologie e computer. Ma nel mio studio c'è chi si occupa solo di 3D, di design, di immagine. Siamo uno studio di 30 persone. Io sono il "vecchio". Gli altri sono giovani professionisti (per lo più tra i 20 e i 40 anni), molto specializzati e tutti molto bravi. Funzioniamo come una rock band.
A distanza di 17 anni, Coby, la mascotte che ha disegnato per le Olimpiadi di Barcellona, è ancora un simbolo, riconosciuto e amato. Se lo aspettava? Qual è stato secondo lei il merito di tanto successo?
Coby è nato da una richiesta dell'amministrazione comunale di Barcellona che mi invitava con altri 12 studi a creare la mascotte delle olimpiadi. E, quindi, è nato come un business. Nonostante questo, ho pensato che l'organizzazione dei giochi, voleva anche dire "fiesta". Ho provato dunque a presentare la città e la sua festa, la grande decorazione della città, il suo mare e la sua spiaggia. Coby incarnava questo stile di vita festaiolo. Perché funzioni ancora non lo so. Quest'inverno, per esempio, ero a Città del Capo e una persona che ho incontrato mi ha mostrato il suo Coby, dicendo: "Lo tengo sempre a casa mia e mi ricorda un momento felice che ho passato alle Olimpiadi di Barcellona". È diventato un souvenir.
La mostra è anche l'occasione di presentare i progetti in cantiere: come il film Chico y Rita.
Chico y Rita è un lungometraggio che sto preparando con Fernando Trueba, grande regista e grande produttore di musica cubana. Abbiamo deciso di unire la nostra passione per Cuba e per la musica latina e il jazz di New York. Abbiamo pensato di raccontare la storia di questa generazione di musicisti geniali che negli anni 40 e 50 da Cuba andavano a New York e, insieme ai musicisti americani, hanno dato vita al jazz internazionale. Abbiamo ricostruito con grande realismo tutta L'Avana prima della rivoluzione con i grandi teatri, le pubblicità per le strade, le grandi automobili americane, i vestiti eleganti di Dior. Erano gli anni di Dizzie Gillespie e Charlie Parker. Tutta l'animazione è fatta a mano, in modo molto economico, ma anche molto preciso. Un budget piccolo rispetto alle animazioni della Pixar e anche se il computer è presente il risultato è molto artigianale. Come un Tin Tin barocco. Anche la colonna sonora è fantastica perché il protagonista suona come Bebo Valdés.
Sto preparando anche una mostra alla Pedrera di Barcellona che sarà inaugurata in novembre dell'anno prossimo e che poi farà un giro per la Spagna. Sarà una mostra sul mio lavoro. Ci sarà una stanza Gaudì-Mariscal: sarà una versione di Gaudì tutta da ridere.
Intervista a Javier Mariscal
Breve chiacchierata con Javer Mariscal – fino al 1° novembre protagonista di una mostra al Design Museum di Londra – sull'importanza del disegno, del gioco e delle nuove tecnologie
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- Elena Sommariva
- 21 settembre 2009
- Londra