Un luogo al 32° piano di un grattacielo di Manhattan enigmaticamente proiettato in avanti, nell'iperspazio di un'azienda che produce ricerca tecnologica e un secondo luogo saldamente ancorato al terreno e radicato ai più profondi tratti della cultura mitteleuropea, fino a essere immerso in un cortile della vecchia Praga. Gli interni possono tradurre almeno un senso della scienza se quello che si chiede è comunicare la potenza di un supercomputer che produce simulazioni di proteine biochimiche in un atrio alto 2,40 metri? Gli interni possono evocare almeno un momento della letteratura se quanto si chiede è evocare Kafka e il suo archivio a un piano terra e in un seminterrato di un corpo di fabbrica ottocentesco? Il tutto senza essere pedissequamente metaforici o cadere teatralmente nel tranello della ricostruzione?

I due progetti di Steven Holl confidano ad alcuni elementi dell'arredo fisso il procedimento metonimico grazie al quale una parte può ricreare spazialmente il tutto. In entrambi gli interventi la lente focale del progetto punta sul costruire spazio attorno a due oggetti portanti o primari: a Praga i libri, a New York il supercomputer.

Da qualche parte, tra gli schizzi, Holl annota "Franz Kafka: ambiguità in bianco e nero" e trasferisce sull'interparete il luogo sovrano dell'ambiguità: sentire un po' attraverso un mobile senza vedere, vedere ora uno spazio e, fra qualche attimo, non riconoscerlo, vedere attraverso qualcosa, ma non tutto. L'ambiente rettangolare viene scandito da librerie/interpareti alle quali si delega questo gioco della trasformazione e dell'ambiguità: basta un meccanismo di scenotecnica, un semplice slittamento e una rotazione attorno a un perno. I libri entrano così prepotentemente nello spazio e lo disegnano trasversalmente tutte le volte che una libreria bifacciale (chiusa/aperta, bianca/nera) ruota attorno alla sua cerniera e si mette ortogonale rispetto alla orditura delle volte. Nell'intervento filtra qualcosa di ebraico grazie ai toni del grigio del nero e del bianco, così come la libreria a scomparsa tipica degli ambienti a sorpresa di ogni Castello richiama indirettamente Kafka. Poi ci vuole un gesto più deciso per segnare l'intervento e scongiurare il senso 'notturno' dell'intero ambiente preesistente: aprire un lucernario nel tetto, tagliando la volta in modo dissacrante (o semplicemente moderno) e collegando il mondo ctonio delle carte con un poco di cielo.

A New York le catene associative di proteine e macromolecole studiate dalla Shaw Research vengono da Holl prese a prestito per sondare un'altra geometria e piccoli trucchi a essa connessi. Due forme di 'intrusione' spaziale occupano la sala dell'atrio di arrivo: una sorta di 'bolla' costruita attorno al supercomputer per conferirgli sacralità e il volume di una scala non del tutto monumentale che suggerisce la presenza di un secondo livello. Entrambi gli elementi sufficientemente ambigui lasciano solo parzialmente intuire la propria identità.

Vedere la scala, ma non troppo (come quando si arriva nel disimpegno della Maison de Verre e si intuisce in modo non troppo esplicito attraverso la lamiera forata che quella rampa porta, forse, all'abitazione). Vedere un ambiente racchiuso, fatto di 24 pannelli in vetro in cui l'inclinata incombente incute un certo rispetto per ciò che probabilmente contiene. E poi: il vano della scala che non coincide affatto con lo sviluppo delle sue rampe crea dinamismo in un'area altrimenti piuttosto stagnante. Così come: la linea in pianta dei vetri che generano la spezzata non coincide con la linea a soffitto, movimentando questa urna tecnologica all'interno di un atrio che altrimenti risulterebbe piuttosto standard. Il procedimento geometrico dello scarto tra pianta e pianta (pozzo/ rampe, zoccolo in vetro/chiusura alta della vetrata) genera una specie di vaso di espansione dell'interno: il risultato è dinamismo e trasformazione. Schermi e pannelli si aggiungono nell'opera di trasfigurazione dello spazio.

La trina materica alla Shirin Neshat, che disegna il parapetto metallico tagliato al laser della scala, una pannellatura fasciante e una zoccolatura a led luminosi, che porta luce riflessa sul pavimento specchiato, avvolgono l'atrio in quella atmosfera tipica della ricerca dell'"essere in un altro luogo".

L'altezza in un edificio multipiano newyorkese è quella che è, ma qui siamo già altrove.