Insegnare tra architettura e design: paradossi inaspettati

Il design riacquista la vocazione alchimistica e trasforma gli alimenti in materiali da costruzione: così Riccardo Blumer trasferisce nell'insegnamento il suo personale approccio allo studio di forma e materia. Testo Riccardo Blumer. Foto Paolo Mazzo - F38F.

Insegnare è un modo per conoscere, un modo diverso di lavorare apparentemente meno diretto, ma altrettanto incredibilmente interessante. Insegnare è un lusso, una libertà estrema, una grande possibilità di mettersi in gioco intellettualmente, di indagare e dubitare su quello che sappiamo e crediamo, di approfondire intuizioni anche solo parziali della disciplina, senza "perdere il cliente", anzi facendogli paradossalmente il miglior servizio possibile. Indagare la non-conoscenza attraverso la disciplina della ricerca, con le energie che i giovani sanno sempre esprimere, è un modo per "fare i muscoli", per sviluppare una palestra specifica della nostra disciplina professionale: toglie energie al lavoro, ma ne ricostruisce e approfondisce il senso.

A Mendrisio, presso l'Accademia di Architettura della Università della Svizzera Italiana – su incarico di Mario Botta, responsabile del primo anno, e in sollecito confronto con Gabriele Cappellato e Bruno Keller che conducono atelier paralleli – cerco i portali d'ingresso al mondo dell'architettura.

Immagino il primo anno come un viaggio oltre le Colonne d'Ercole, con l'unica certezza che la porta è già la promessa di ciò che sarà. Nel 2006-07 l'anno si è concluso con la costruzione di una porta simbolica all'architettura. Gli studenti hanno realizzato circa quaranta costruzioni in polistirolo bianco ottico, che evocavano, in ristrettissime dimensioni (l'altezza dell'atelier), spazi infiniti: la loro prima architettura, inutile quanto fondamentale.

Nella sperimentazione sviluppata nel 2007 durante il corso di Design Tridimensionale tenuto nell'ambito del corso di Laurea in Disegno Industriale, direttore Gaddo Morpurgo, dell'Università degli Studi della Repubblica di San Marino, la scommessa è stata invece realizzare strutture statiche portanti costruite esclusivamente con materiali alimentari. La ricerca si è fondata sulla certezza di quanto studiato e provato durante altre mie esperienze didattiche: ovvero sulla geometria come fondamento della statica, oltre il materiale, e sulla certezza che questa regola possa essere un fondamento del design. Ricontestualizzare, trasportare la materia a livelli diversi, non casuali ma necessari, è diventato un metodo.

Ho proposto ai miei studenti di fare un passo indietro: dall'artificiale al naturale, per meglio capire l'artificiale, in aperta polemica con quanti credono che la novità e la ricerca passino solo dalla scoperta di nuovi materiali. Nulla di nuovo esiste, se non aggregazioni fisiche diverse. Otto Frei ci ricorda che la natura costruisce tutto su pochissimi elementi, primo tra tutti il carbonato di calcio. Poi ci pensa la geometria. Durante la nostra sperimentazione, osservazione e pratica ci hanno dimostrato che la geometria del riso soffiato compresso è simile al polistirolo; la colla di pesce armata di strisce di radice di liquirizia è paragonabile a un qualsiasi composito epossidico a fibre di carbonio; il pane secco spalmato di colla animale si può assimilare a uno scatolato plastico. Gli studenti, in un percorso trimestrale, hanno costruito sedie, librerie, sgabelli, amache, poltrone, contenitori – tutti vincolati dal dover almeno sostenere il peso del sottoscritto (non indifferente) – usando riso soffiato, colla di pesce, pane, alghe, radice di liquerizia, cracker, grano, carrube, fette biscottate, grissini e porro. Oggetti veri raggiungibili solo lavorando sul rapporto tra la massa, le forze e il materiale al limite dell'efficienza.

Otto Frei chiama questa ricetta natura, io mi permetto di estenderla a bellezza. Queste mie recenti esperienze didattiche, di cui fanno parte anche il corso trimestrale di Progetto e Tecnologia del Mobile presso l'ISAI di Vicenza, gli "Esercizi fisici di architettura" (Roma, Venezia), "Blumer and Friends" (Milano, Zagabria...) e "Il laboratorio di S. Giovanni" (a Casciago, nel mio studio), nascono dal bisogno di una 'ginnastica', di un 'allenamento' al progetto. Di fatto, mi è sempre più chiaro che la vera ricerca, insostituibile e indispensabile, è quella che mi avvicina alla libertà. Questione di percorso e tempi.
Lavori di fine corso 2007 del primo
anno dell’Accademia di Architettura di
Mendrisio
Lavori di fine corso 2007 del primo anno dell’Accademia di Architettura di Mendrisio
Alga kombu, colla di
pesce in fogli di gelatina, per lo sgabello di
A. Facchin, N. Andreatta, T. Ferrari, P. Manieri
Alga kombu, colla di pesce in fogli di gelatina, per lo sgabello di A. Facchin, N. Andreatta, T. Ferrari, P. Manieri
Farina tipo 00, acqua, sale, malto,
lievito di birra, colla di pesce in granuli per la
poltroncina di U. Bosco, E. Papili, F. Paternò,
L. Sanges
Farina tipo 00, acqua, sale, malto, lievito di birra, colla di pesce in granuli per la poltroncina di U. Bosco, E. Papili, F. Paternò, L. Sanges
Radice
di liquirizia e colla di pesce in fogli di gelatina
per la chaise-longue di E. Fiocchetti,
M. Forlucci, C. Ronchi, A. Zampieri
Radice di liquirizia e colla di pesce in fogli di gelatina per la chaise-longue di E. Fiocchetti, M. Forlucci, C. Ronchi, A. Zampieri
M. Belucchi,
D. Betti e E. D’Amato hanno utilizzato cracker
saldati con caramello liquido. M. Corbellotti,
M. Ferri, T. Monaldi
M. Belucchi, D. Betti e E. D’Amato hanno utilizzato cracker saldati con caramello liquido. M. Corbellotti, M. Ferri, T. Monaldi
D. Ottaviani hanno
costruito la loro amaca con carrube e fibre di liquirizia
D. Ottaviani hanno costruito la loro amaca con carrube e fibre di liquirizia
I materiali utilizzati per le sperimentazioni
I materiali utilizzati per le sperimentazioni

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