Nel giorno della scomparsa di Giorgio Armani, lo ricordiamo con l’articolo di Domus del gennaio 1988, in cui emerge lo stilista-progettista, il suo tavolo da disegno e il processo creativo che precede la realizzazione dell’“abito Armani”.
Giorgio Armani, l’architetto del prêt-à-porter
Nel 1988, Domus raccontava la progettazione dell'abito secondo Giorgio Armani: un vero processo di design, dallo schizzo, al prototipo, fino a un modello ripetibile ma al tempo stesso inimitabile.
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- Marco Romanelli
- 04 settembre 2025
Giorgio Armani: il progetto dell'abito (1988)
Perché Armani? perché il discorso sul progetto di design resta, crediamo, sostanzialmente legato alla ottimizzazione di un manufatto nelle sue valenze formali, tecniche e comunicative onde consentirne una produzione in larga serie e cioè o, meglio, e dunque, una rinnovata capacità di dialogo con un numero imprecisato di utenti. Utenti che possano reinterpretare personalmente il manufatto stesso, impossessandosene e rendendolo quindi ineffabilmente e infinitamente diverso.
Ecco perché Armani. Perché è possibile riconoscere nel suo lavoro un segno di questa utopia, realizzabile ma oggi politicamente e poeticamente dimenticata. Il prêt-à-porter di Armani come paradigmatica “serie di design”, in contrasto con una alta moda equivalente a un alto artigianato (neo-artigianato o antico-artigianato, senza alcuna differenza sostanziale) e con un prêt-à-porter corrente che oscilla tra un eccesso identificativo con la stessa alta moda e una condizione base di bassa produzione (= edilizia).
Perché Armani? Perché il corretto progetto di design, all’interno della personale evoluzione poetica di un designer, dovrebbe parlare sempre il linguaggio difficile della continuità, dello spostamento progressivo, della progressiva trasformazione e integrazione. Quel linguaggio ove le ricerche, le esperienze, le frasi e le parole precedenti tornano sintomaticamente nell’esperienza dell’oggi. Le forme che ne risultano si concretizzano consequenzialmente, giorno dopo giorno, generando un parco di oggetti capaci di esprimere modulazioni differenti (altrimenti sarebbe la noia) di un’unica forte lingua poetica (altrimenti sarebbe la cacofonia).
Armani, progettando il corpo intende staccarne singole sezioni, evidenziarle, dare loro diversa durata, intende suggerire fin dal disegno, un comportamento, un racconto, una ‘recita’, se si preferisce, differente.
C.A. Quintavalle, 1982
Ma, viceversa, ecco anche perché, di un oggetto (l’abito Armani) veicolato al sommo grado dai mass media, era necessario ripercorrere l’intero processo ideativo - comune, nelle rispettive specificità, ad ogni iter creativo - dallo schizzo alla scheda tecnica e quindi ai cartoni (sagome dei vari componenti dell’abito), al prototipo (la tela), al modello (la prova), al modello definitivo (la sfilata). All’inizio di tutto sta un profilo ideale di figura umana che sarà ripetuto in ogni schizzo (= capo) della collezione, a indicare la scelta fondamentale di una postura e cioè di un movimento e cioè di un impatto sociale.
“Se scorriamo questi disegni scopriamo subito che Armani... fa violenza alle figure; che... la dimensione delle gambe oppure delle braccia o di una parte del corpo è come dissociata dal resto; intendo dire che Armani, progettando il corpo intende staccarne singole sezioni, evidenziarle, dare loro diversa durata, intende suggerire fin dal disegno, un comportamento, un racconto, una "recita, se si preferisce, differente” (C.A. Quintavalle, 1982).
A lato di tale schizzo verrà “spillato”, in una fase successiva, un campione di tessuto. È in questa completezza che si è scelto di presentare lo schizzo a significare l’impossibilità di porre una priorità tra disegno (forma) e tessuto (materia). Il primo disegno è in realtà eseguito in prossimità delle pezze di tessuto. Con esso si determina senz’altro il volume, ma a partire da puntuali caratteristiche materiche. Presentare il solo schizzo significherebbe enfatizzare la linea a discapito del materiale: d’altronde il solo materiale non apparirebbe null’altro che “un corpo senza vita”.
Tale intrigante intreccio progettuale è riscontrabile immutato nelle fasi successive. Nella prova delle tele, ad esempio, l’assenza del tessuto è in realtà una fortissima presenza, solo così il risultato finale potrà non penalizzare la vestibilità rispetto alla “monumentalità visiva”, come è nell’Alta Moda. Volendo quindi per un momento superare dei confini disciplinari in cui crediamo e nella cui esistenza dobbiamo dedurre creda anche Armani (confini dati più che dalla struttura teorica della disciplina dallo stesso mestiere) possiamo riconoscere come Armani si venga a trovare in una posizione affatto invidiabile da parte dell’architetto e del designer.
Sul suo tavolo (da disegno) si affiancano la sua idea (il disegno stesso) e la sua pratica (il materiale - tessuto) e, persino, il suo sito (il proprio corpo, il corpo di chi gli sta di fronte, di chi incontrerà o ha incontrato). Indubbiamente ogni serio progettista progetta nell’ottica dei materiali, ma mai potrà trovarsi in una contiguità fisica così forte con l’intera opera sua. Ecco perché, per questa compenetrazione irripetibile, forse più che per la relativa economicità, facilità, insomma per quel che di effimero l’abito ha, esso rappresenta una punta apicale nell’interpretazione della società contemporanea, ecco perché esso è stato veicolo primario di ogni idea rivoluzionaria.
A tale completezza si unisce, nell’operare di Armani, la conoscenza del “fare”, che non significa ovviamente la capacità di togliere, come molti ancora credono, ma la capacità di controllare un processo creativo ottimizzato al fine di dar origine a un processo produttivo di grande serie. L’oggetto-abito Armani rappresenta per noi quella utopia di quantità e qualità vissute non come termini dicotomici, ma strettamente interrelati in quello che si pone come unico possibile comune denominatore: l’identità.
A tal punto da non essere sostanzialmente toccato dal problema, oggi fondamentale, della copia. Infatti, a) veicolando non una immagine, ma un concetto, un modo d’uso, Armani si fa portatore di un messaggio esaustivo, poiché trasversale, ove è la condivisione di un valore e non di un modello a porsi come significativa; b) ottimizzando il processo creativo e realizzativo Armani porta comunque il singolo pezzo a essere ripetibile in volte, nel senso di interpretabile, cioè a essere unico, carico di una tale qualità progettuale da non porsi come ripetibile nel senso di imitabile.
Così è stato, in fondo, per altri oggetti significativi nella storia recente del forniture design, dalle lampade dei Castiglioni al divano Coronado degli Scarpa, alla lampada Tizio di Sapper. Inimitabili perché già destinati alla diffusione (di un’immagine) e quindi scabri di quei facili segni di riconoscibilità commerciale in cui trovano immediato appiglio gli imitatori. Insomma, oggetti ed abiti che promuovono, attraverso una risemantizzazione, il ritorno a quello standard temuto da molti.