La storia di Pietro Derossi appartiene di certo a Torino, ma è più corretto dire che appartenesse a quel mondo di esperimenti e di provocazioni che tra ’60 e ’70 confondevano le carte, rompevano i confini tra discipline e puntavano a romperne le convenzioni: arte, design, architettura comunicavano in un flusso unico. Il design radicale italiano. Il Pratone ad esempio, la seduta-multiplo che Derossi crea per Gufram con Ceretti e Rosso, è un game changer che atterra non solo nella mostra Italy: A New Domestic Landscape del MoMA, ma anche nella preziosissima copertina del suo catalogo. Nei decenni gli esperimenti e gli insegnamenti vanno avanti, tra Politecnico di Milano, il Pratt e la Columbia di New York, l’Architectural Association a Londra. Poi i progetti, come le case per il villaggio olimpico del 2006 a Torino (coi figli, come Derossi Associati), o quegli spazi nati sull’onda del Piper di Roma, cioè il suo gemello torinese e L’Altro Mondo a Rimini, creati con Ceretti, Rosso e Clino Trini Castelli. Nascono discoteche, evolvono in club dove si incrociano le culture, nascono movimenti, tra le opere di Gilardi e Pistoletto. Domus aveva visitato queste macchine del divertimento nel gennaio del 1968, e le raccontava sul numero 458.
Divertimentifici
Piper-Piuriclub di Torino e l’Altro Mondo Club di Rimini Pietro Derossi, Giorgio Ceretti, architetti; collaboratore Riccardo Rosso, architetto; consulenza grafica, Clino Castelli.
Anche l’architettura, dunque, s’adopra a modificare il ruolo del corpo umano. Elettricamente esteso, pare, ma di sicuro psicovestito in perfetta letizia, e sempre più desideroso di raccogliersi nella stereoestasi dell’alta fedeltà musicale, questo nostro corpo (circuito) umano viene liberandosi proprio dappertutto. Adesso, può partecipare direttamente a definire il senso del “posto” che occupa, come presenza fisica motrice, come corpo in grado di adattare l’ambiente su se stesso, e non più tanto viceversa. Se l’allegria necessita la disponibilità del nostro corpo, questo è il momento di divertirsi.
Né il Piper-Pluriclub di Torino né L’Altro Mondo di Rimini sono veramente degli ambienti, cioè strutture rigide che impongono il loro stile, l’atmosfera tipica e la clientela fissa, oltre alla loro funzione di macchine sonore; sono piuttosto enormi contenitori muniti degli opportuni attrezzi per costruire di volta in volta un ambiente, come quelle scatole piene di pezzi da comporre e con cui giocavamo a fare l’architetto. Solo che oggi il gioco si è complicato: non solo la gente è “swinging” in un andirivieni di appuntamenti e locali alla moda divorati l’uno dopo l’altro, ma è anche golosa di metamorfosi. L’architettura “swinging” ideata, progettata e realizzata nei due locali di Torino e Rimini, ha previsto queste rapide trasformazioni, dal beat all’hippy (e poi ancora), ed ha predisposto un piano di adattabilità sul principio della componibilità.
Nel Piper-Pluriclub (“è la fine del mondo!”) si è cominciato a disporre la struttura principale, piuttosto fissa, al pluriuso, con l’incantevole Mini-Midinette che balla, e Cathy-from-Carmel che canta, e la mostra-piovuta-dall’alto di Marisa Merz, e il tempestivo passaggio del Living Theatre che qui ha compiuto ancora una volta i suoi mysteries - così che sotto il segno di questa unica arte popolare che è la musica folk (sia pure di mero consumo, e che canta la droga più di quanto le metafore facciano annusare) entrano in maggior contatto con la vita anche l’arte visiva e di rappresentazione.
Ma il locale che ha fatto seguito, è già L’Altro Mondo: mezzo hangar del divertimento acrobatico e mezzo catena di montaggio dei circuiti psichici.
Tommaso Trini
Ma il locale che ha fatto seguito, è già L’Altro Mondo: mezzo hangar del divertimento acrobatico e mezzo catena di montaggio dei circuiti psichici, si pone in equilibrio con la presenza dell’uomo. Che lo metta al centro di una nuova sacra area proprio non direi: semplicemente, lo distribuisce tra gli oggetti funzionali posati e scorrevoli nel grande contenitore: all’uomo, di trovare il suo proprio centro di gravità. Con sedili pannelli e torri, il tutto allogato su ruote, il locale adatta e rinnova i suoi spazi; il significato stesso dello spazio è definito in termini d’uso. E sarà l’uso sincronico nella molteplicità delle funzioni, sala da ballo, da teatro, da esposizione; ma soprattutto, diacronicamente, sarà l’uso che ne faranno i gruppi sociali emergenti l’uno di seguito all’altro.
Cose dell’altro mondo: adesso che la musica non sostiene più necessariamente la danza e la danza non riconosce più alcuna regola, dobbiamo inventarci di volta in volta il posto che sostiene il nostro corpo. Il che, in altre parole, forse, ci impedirà di scivolare, almeno non come oggi, negli ambientidi-forza, integrati fino al collo. Oppure questa storia del nostro corpo che si libera, che si crea attorno nuovi bozzoli di sensibilità e si rigenera in presa quasi diretta con l’energia elettro-musicale, conquistando la nuova frontiera del nudo, è tutta un’illusione.
Per ora, manca un’immagine dell’uomo che corrisponda all’architettura realizzata ne L’Altro Mondo. Giacometti per l’allora esiguo spazio delle “caves”, Rodin per il night-club (ancora ades so al Crazy Horse) e niente per i pluriclub di Torino e Rimini (le “nanas” di Niki?). Le mostre succedutesi al Piper di Torino hanno messo, come si dice, il sale sulla coda dell’occhio: gli artisti sono ghiotti di questi spazi in alluminio e nickel, ma l’ingegnere li inibisce tanto più quanto più mette a nudo i suoi congegni. Non che si possa fare a meno della loro collaborazione (la macchina luminosa del Piper è di Bruno Munari, e la scala musicale di Sergio Liberovici), ma c’è veramente bisogno che s’impadroniscano di strumenti più efficaci.
E quel che ha fatto Mario Schifano, recentemente, con le sue Stelle: un complesso orchestrale di una bravura da levare il fiato per tre quarti d’ora filati, con Jerry Malanga quella sera che ballava la danza della torcia, e Schifano che li eccitava - le Stelle e il pubblico - con scariche di diapositive, films e lampade stroboscopiche. Certo che lo spettacolo era aggressivo, di conseguenza la secrezione di enzima da divertimento fu abbondante; la nuova immagine dell’uomo era forse quella, presente, reale e fissata per un attimo nell’intermittenza tra due lampi.
Immagine di apertura: Domus 458, gennaio 1968
