Nonostante la reputazione di città più vivibile al mondo, Copenaghen è anche un luogo pieno di contraddizioni e di disparità economiche. A questa intrinseca ambivalenza è dedicato il quinto documentario del regista Hans Christian Post, che ritrae in maniera suggestiva i due volti della capitale danese. Intitolato Best in the World il lungometraggio offre infatti uno sguardo rivelatore al di là dell’immagine da cartolina della metropoli. “Sebbene Copenaghen abbia acquisito alcune grandi qualità nel corso degli anni, è diventata contemporaneamente un motore di disuguaglianza sia all’interno dei suoi confini sia nelle campagne circostanti” spiega il regista. “Ho personalmente vissuto negli anni tutti i retroscena della trasformazione: la gentrificazione che ne è derivata, le persone che sono state cacciate dalla città per lasciare spazio, i quartieri interessanti che sono stati distrutti lungo il percorso”.
I due volti di Copenaghen, tra benessere e disparità economiche
Da metropoli industriale a città da copertina, ma solo per chi se lo può permettere: con un documentario, il regista Hans Christian Post racconta la trasformazione della capitale danese. L'abbiamo incontrato.
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- Romina Totaro
- 12 giugno 2023
Se una città non è per tutti, ma solo per un segmento ristretto della popolazione, non può essere considerata un modello per il futuro.
Hans Christian Post

Ma l’identità della capitale danese non è sempre stata quella che conosciamo ora. Solo negli anni ’70 Copenaghen era una città industriale, povera e sull’orlo della bancarotta. Un trentennio di attenta pianificazione politica e architettonica l’hanno poi resa la città immortalata nelle sequenze di Post: dall’alto ritratta come ordinata, imponente e elegante, mentre la cinepresa riprende frontalmente solo ciò che è spoglio, desolato o tristemente ancora in costruzione. “L’agenda della migliore città del mondo deriva da riviste di lifestyle che si rivolgono specificamente agli espatriati e alle aziende straniere che cercano città attraenti in cui vivere e lavorare o in cui avviare un’attività. La popolazione locale non è il gruppo target a cui si riferiscono” continua Post. “Copenaghen ha certamente alcune caratteristiche molto belle in termini di infrastrutture, tra piste ciclabili, grandi parchi e piazze, che sono certamente grandi qualità urbane. Ma una città è veramente grande solo quando è socialmente e culturalmente diversificata, preservando un rapporto equilibrato con le regioni circostanti. Se una città non è per tutti, ma solo per un segmento ristretto della popolazione, non può essere considerata un modello per il futuro.”
“È per questo che ho voluto ritrarre i retroscena della trasformazione di Copenaghen: dove vogliamo che il successo ci porti? Nel caso di Copenaghen, negli anni ’90 l’obiettivo era nello specifico quello di attrarre una popolazione più ricca. Ma c’è sempre più ricchezza da attrarre e questa strategia potrebbe portare all’allontanamento della popolazione attuale e all’acquisizione della città da parte di persone ancora più ricche o di fondi pensione”. La lettura che consegue dal documentario, è fondamentalmente quella di una città che rischia di diventare vittima del proprio successo.
Nel documentario si alternano numerose voci e prospettive diverse tra di loro, utili ad avere un quadro completo e diversificato delle trasformazioni di Copenaghen, e dei benefici e dei costi che ne sono derivati. Agli architetti è stato affidato il ruolo di proporre soluzioni pratiche al problema residenziale. “A mio avviso difficilmente le iniziative del progettisti vanno buon fine. Sebbene siano sempre più consapevoli degli aspetti sociali dell’edilizia, gli architetti non hanno alcuna soluzione per spezzare l’incantesimo economico. Dobbiamo esaminare a fondo i diversi schemi economici che stanno alla base della pianificazione urbana che vediamo nelle nostre città, e forse gli economisti avrebbero potuto fornire alcuni spunti interessanti a questo proposito”.
Compare qui la voce di Frederik Noltenius Busck a capo del progetto CPH Village I, un ambizioso progetto per case studentesche realizzato tramite container inutilizzati guidato dallo slogan “Vivere in piccoli spazi, ma bene. E piuttosto con meno metri quadrati privati e più metri quadrati comuni.” Ma anche in questa idea permane sicuramente un divario tra le classi quando si parla di spazi pubblici e condivisi. “Le classi più agiate hanno spesso i mezzi e il potere per definire come e quando gli spazi pubblici devono essere utilizzati e da chi” conclude il documentarista. “Gli architetti e i legislatori dovrebbero quindi garantire che gli spazi pubblici siano progettati per tutti e abbiano un programma ampio e molto flessibile”.