Curata da Pablo José Ramirez, dell’Hammer Museum di Los Angeles, Smoke è stata una delle novità di Frieze London: una sezione dedicata a valorizzare le voci più singolari che, dal sud del mondo, utilizzano la ceramica come mezzo di ricerca artistica, per esplorare in un’ottica contemporanea forme e immaginari precoloniali. Un progetto che va ad arricchire un discorso cruciale, indipendente dalla durata limitata della fiera.
La volontà di garantire una maggiore inclusività nel mondo dell’arte è ormai un approccio acquisito. Eppure, nel caso di Smoke l’operazione risuona come una doppia valorizzazione. Da una parte, c’è la volontà di mettere in risalto l’opera di artisti provenienti dall’America Latina e dalla diaspora, espressione di culture non occidentali. Dall’altra, c’è quella di rendere giustizia ad un medium prolifico e sensibile – quello legato alla manipolazione dell’argilla, come ripetono a Smoke – spesso ingiustamente relegato al ruolo di arte minore.
Gli undici artisti selezionati, tra cui Manuel Chavajay, Honduran Adán Vallecillo e Christine Howard Sandoval, hanno presentato lavori essenzialmente scultorei, che riprendono gli stilemi di molta arte precoloniale, spesso superandola con un segno astratto, brut e concettuale capace di rievocare una presenza animistica ed olistica. Raccolta rispetto al resto della fiera, sia per numero di espositori che di opere in mostra, Smoke ha comunque restituito la fotografia vivida di una ricerca che sa andare oltre ai canoni più prevedibili e decorativi. E che forse proprio per questo si rivela capace di rievocare suggestioni inaspettate, un sorta di inedito altrove, almeno per il grande pubblico.