Le donne che hanno trasformato la fotografia

Attraverso le immagini realizzate da donne fotografe di tutto il mondo tra gli anni Venti e i Cinquanta, una mostra collettiva al MET svela gli aspetti meno noti di quella che fu definita New Woman.

Quando si parla delle donne pioniere della fotografia, non sono molti i nomi che vengono immediatamente alla mente. Dorothea Lange e Margareth Bourke–White, certo, Lisette Model e Helen Levitt, chiaro, ovviamente Tina Modotti e Lee Miller (anche se fin troppo spesso più come modelle che come autrici), probabilmente Berenice Abbot o Florence Henri, forse Eve Arnold o Imogen Cunningham, alla meglio Gerda Taro o Dora Maar. Se infatti Anna Atkins e Julia Margaret Cameron, tra le prime donne a praticare la fotografia, sono note sostanzialmente ai soli addetti ai lavori, bisogna aspettare la seconda metà del secolo scorso perché personalità come Diane Arbus, Mary Ellen Mark, Annie Lebovitz, Sarah Moon, Francesca Woodman, Letizia Battaglia, Sally Mann, Cindy Sherman o Nan Golding (e, con gloria postuma, Vivian Maier), sancissero anche nell’immaginario collettivo la validità del binomio donne e fotografia.

Del resto parlare di donne fotografe oggi è da un lato più semplice che in passato, dato il credito e il peso che pubblico, critica e mercato stanno finalmente dando alle artiste e le professioniste del settore; ma è d’altro canto sempre più difficile, perché lo stesso presupposto per cui debba esistere una fotografia al femminile, suppostamente distinta dunque da quella maschile —ovvero da un altrettanto presupposto ‘standard’ — è un argomento che nella logica dei tempi ha sempre meno fondamento e trova quindi sempre meno sostenitori.

Se quindi parlare di donne fotografe è importante non perché la loro pratica abbia necessariamente qualcosa di diverso da quella dei colleghi uomini ma semplicemente perché non parlarne significherebbe dare della fotografia un quadro colpevolmente parziale, ben vengano mostre importanti come The New Woman Behind the Camera, in scena al Metropolitan Museum di New York fino al 3 ottobre.

Yevonde Cumbers Middleton, Lady Bridget Poulett as 'Arethusa', 1935, National Portrait Gallery, London

Curata da Andrea Nelson e organizzata assieme alla National Gallery of Art di Washington (dove Nelson è associate curator del dipartimento di fotografia), la collettiva raccoglie 185 immagini di 120 fotografe provenienti da 60 diversi paesi. E proprio il carattere internazionale della mostra è uno dei suoi elementi più interessanti, dato che la New Woman del titolo è stata per lungo tempo relegata all’ambito statunitense, o al massimo francese, britannico e tedesco, e che mai una mostra ne aveva tentato di delineare i veri confini geografici e concettuali.

Nata alla fine dell’800 in Inghilterra, l’espressione indicava infatti un nuovo tipo di donna, volitiva e di carattere che, quasi sempre lavoratrice, ponendosi e vestendosi in modo ricercato ma spesso lontano dai canoni di genere dell’epoca sfidava lo status quo e infrangeva qualche tabu, incidentalmente intrigando lo spettatore dalle pagine delle riviste più attente alle mode. Quindi una definizione che, col senno di poi, aveva ben poco a che fare con quell’autodeterminazione (e autorappresentazione) che le stesse donne fattene oggetto in realtà ricercavano e perseguivano.

Oltre che mostrarci l’ampiezza internazionale del fenomeno, la mostra ha dunque il pregio di mettere finalmente ordine tra le sue tante sfaccettature, svelando quanto le singole sensibilità delle fotografe che ne furono attrici potesse dare luogo alle modalità espressive più diverse e peculiari.

Dall’autoritratto allo still life, dalla fotografia di studio a quella di guerra, dall’indagine sociale alla sperimentazione, dal nudo alla moda, non c’è campo di cui queste autrici non abbiano espresso la propria versione, senza che per questo la loro opera raggiungesse necessariamente la notorietà, per non dire il riconoscimento internazionale.

E se nomi come Lola Álvarez Bravo, Lucia Moholy, Ilse Bing o Claude Cahun cominciano finalmente a circolare anche al di fuori delle scuole e delle associazioni di fotografia, si spera che progetti espositivi come questi facciano in modo da portarne alla luce anche altri, molto meno noti, proprio come ad esempio quelli delle fotografe che, accanto alle colleghe più note, il MET ora finalmente ci rivela, e che vogliamo qui elencare: Florestine Perrault Collins, Elizaveta Ignatovich, Niu Weiyu, Tsuneko Sasamoto, Homai Vyarawalla, Annemarie Heinrich, Alma Lavenson, Karimeh Abbud, Steffi Brandl, Trude Fleischmann, Annemarie Heinrich, Eiko Yamazawa, Madame Yevonde, Alice Brill, Rebecca Lepkoff, Genevieve Naylor, Tazue Satō Matsunaga, Valentina Kulagina, Toshiko Okanoue, Grete Stern, Marjorie Content, Eslanda Goode Robeson, Anna Riwkin, Lotte Jacobi, Jeanne Mandello, Germaine Krull, Lillian Bassman, Louise Dahl–Wolfe, Toni Frissell, Frances McLaughlin–Gill, Margaret Watkins, Caroline Whiting Fellows, Yva, Lucy Ashjian, Kati Horna, Hansel Mieth, Thérèse Bonney, Galina Sanko, Hou Bo, Anna Barna, Irene Bayer–Hecht, Consuelo Kanaga, Yevonde Cumbers Middleton, Madame d'Ora.

Titolo:
The New Woman Behind the Camera
Date della mostra:
Dal 2 luglio al 3 ottobre 2021
A cura di:
Andrea Nelson
Sede:
Metropolitan Museum
Indirizzo:
1000 Fifth Avenue, New York

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