L’Arca Sovietica di Calogero Russo

L’ultimo lavoro del fotografo palermitano s’intitola Arca Russa, come il celebre film — evocato ma non emulato — di Alexandr Sokurov.

Fin dal titolo, e per dichiarata intenzione dell’autore, la più recente monografia di Calogero Russo è un omaggio all’omonimo film di Alexandr Sokurov. L’intenzione di “Russian Ark”, scrive il fotografo nell’introduzione alla fanzine autoprodotta, è infatti proprio quella di condurre il lettore in un flusso di immagini continuo, esattamente come l’unico piano sequenza — il più lungo della storia del cinema — in cui il film di riferimento consiste, accompagna lo spettatore attraverso le sale dell’Hermitage di Mosca. 

Ma laddove Sokurov ci fa anche compiere un viaggio non cronologico nella storia del suo Paese, Russo sceglie di confinare alla sola era sovietica i riferimenti temporali della sua narrazione. E mentre la pellicola aggira attraverso la tecnologia alcuni dei più classici limiti del cinema, il libro segue necessariamente le naturali costrizioni della fotografia nella forma della collezione di immagini. A ben vedere, quello di Russo rappresenta quasi un capitolo mancante del film di Sokurov, che passa dagli Zar ai giorni nostri bypassando gli anni di Stalin attravreso una scena appena sussurrata. 

Quelli di Russian Ark sono allora frammenti, fotogrammi inediti di una storia per immagini che in molti hanno provato e ancora provano a raccontare, e che Russo mette assieme con l’interesse e la dedizione, verrebbe da dire l’affetto, che ha da sempre riservato ai paesi dell’ex Unione Sovietica. 

E forse proprio in questo risiede la più grande differenza tra il suo punto di vista e quello di Sokurov: sebbene, come Russo, anche il personaggio principale del film sia straniero, attraverso i suoi occhi il grande regista esprime una posizione, morale ancor prima che politica, che alla Russia non risparmia nulla. Lo spettro della rivoluzione che divora se stessa è richiamato infatti non solo nel titolo — l’Arca come metafora di un salvataggio, quello dell’identità russa, che fa da contraltare a un altro, quello dell’arte e quindi della cultura europea — ma dalla stessa tecnica di ripresa adottata da Sokurov: il piano sequenza come opposizione al montaggio, che era stato invece l’anima del cinema d’avanguardia — e, quindi, di propaganda — dell’epoca Sovietica. 

Resta, nel lavoro di Russo, la volontà di preservare un passato che, contro ogni logica storica, è ancora presente, e che Russian Ark ha l’indiscutibile potere di evocare

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