Edward Burtynsky: l’era dell’uomo

L’ambizioso e affascinante progetto Anthropocene, del celebre fotografo Edward Burtynsky, fa il suo debutto europeo al MAST di Bologna.

Coniato dal biologo Eugene Stoermer negli anni ’80 e reso popolare dal chimico atmosferico e premio Nobel Paul Josef Crutzen nel 2000, Antropocene è solo il più recente in una serie di termini che da più di un centinaio d’anni tenta di sintetizzare in una sola parola l’attuale epoca geologica: dall’era antropozoica del geologo Stoppani nel 1873 alla noosphera della triade Vernadskij–Le Roy–Teilhard de Chardin (un geochimico, un filosofo–matematico e un gesuita–filosofo–paleontologo–geologo) all’inizio del XX secolo, dall’antrocene del giornalista Andrew Revkin nel 1990 fino all’omogenocene dell’ecologo e zoologo Michael Samways dieci anni più tardi, molti esperti sono più o meno concordi nell’affermare che quella in cui viviamo oggi è un’era così influenzata e modificata dall’attività umana da giustificarne la distinzione dall’Olocene, la fase geologica iniziata circa 11700 anni fa e tutt’ora, o forse non più, in corso. 

Se infatti Olocene vuol dire del tutto recente, più di uno specialista ritiene ormai necessario rimarcare quanto l’aspetto della Terra negli ultimi 8000 anni, dallo sviluppo dell’agricoltura fino a quello di Internet passando per la prima e la seconda rivoluzione industriale, sia una diretta conseguenza dell’azione dell’uomo, principale se non unico agente dei più massivi cambiamenti del pianeta. Tanto che un gruppo internazionale di scienziati, l’Anthropocene Working Group, è attualmente al lavoro per raccogliere le prove stratigrafiche di questo passaggio letteralmente epocale, e rendere ufficiale l’uso del neologismo.

Sulla base di questa ricerca, in una dinamica multisiciplinare che unisce arte e scienza e che si sta affermando sempre più, il celebre fotografo canadese Edward Burtynsky e i pluripremiati video–documentaristi Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier, hanno unito le forze per generare Anthropocene, un’operazione multimediale che comprende una mostra fotografica, un film, videoinstallazioni, e tre fotogrammetrie da esperire grazie alla realtà aumentata. 

Dopo il debutto del film al Toronto International Film Festival e un primo allestimento della mostra all’Art Gallery of Ontario, ancora a Toronto, e alla National Gallery of Canada di Ottawa alla fine del 2018, l’ambizioso e suggestivo progetto arriva ora in anteprima europea al MAST, Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia di Bologna dal 16 maggio al 22 settembre.

Simili a quelli, misteriosi e inspiegabili, lasciati da una civiltà scomparsa o aliena, i segni che l’uomo traccia sulla superficie della terra nella sua inarrestabile attività evolutiva hanno una qualità involontariamente grafica, capace di veicolare una bellezza che è al contempo affascinante e inquietante. Attraverso il suo obbiettivo Burtynsky, le cui grandi visioni pre–drone di un mondo devastato e per certi versi inaspettato ci hanno messo già da tempo di fronte al dilemma tra etica ed estetica, osserva con lucidità scientifica e partecipazione umanistica un pianeta in drammatica evoluzione, ma cattura anche gli strumenti con cui l’uomo, correndo il rischio di esaurirlo dall’interno, sta ridisegnano il suo stesso ambiente vitale.

Le miniere di potassio negli Urali diventano allora colossali fossili di conchiglie variegate, mentre quelle di carbone nel Nordreno Westfalia sono terre artigliate da un gigantesco felino mitologico; le cave di marmo di Carrara e i bacini di decantazione del fosforo in Florida sembrano i giochi fuori scala di un sovradimensionato bambino monomaniacale; e le famigerate coltivazioni di palma da olio nel Borneo assurgono a metafora del confine tra civiltà e naturalezza, che si sposta sempre più verso l’orlo della nostra stessa sopravvivenza.

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