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Le spiagge di Massimo Vitali: “È la normalità delle nostre vite”

Abbiamo incontrato il fotografo celebre per le grandi immagini di gente al mare. Ci ha raccontato la sua arte e di come sia tutto partito da una foto sulla riviera versiliese all’indomani della vittoria di Berlusconi, perché voleva capire “come sono fatti gli italiani”.

Sono 4790 i negativi dell’archivio analogico di Massimo Vitali, scarti compresi. Sembrano molti ma, per dare un’idea delle proporzioni, cinquemila foto sono quanto un fotografo solitamente registra sulla sua scheda durante una, massimo due giornate di lavoro. Massimo Vitali ha scattato queste immagini in ventidue anni. Un lavoro lento, ponderato, dove l’idea e la visione nascono ben prima di appoggiare il cavalletto con il banco ottico 20x25 e aspettare che le persone costruiscano una scena interessante.

La storia di Massimo Vitali e del suo metodo di lavoro sono spiegati molto bene nel nuovo libro Massimo Vitali. Una storia italiana (Ledizioni), una biografia, la prima del fotografo, scritta dalla curatrice Noemi Pittaluga, un lungo lavoro di ricerca e analisi dell’opera di questo artista che a cinquant’anni – quindi nella seconda parte della sua vita – ha scelto di utilizzare la fotografia come strumento per produrre arte.

Massimo Vitali, Marina di Pietrasanta. Courtesy Massimo Vitali
Massimo Vitali, Marina di Pietrasanta. Courtesy Massimo Vitali

Il titolo del libro nasce da aneddo che fa capire la ragioni del “metodo Vitali”. “Una storia italiana”, infatti, è stato quell’opuscolo che, nel 2001, Silvio Berlusconi ha inviato via posta ai cittadini italiani, in piena campagna elettorale. E Massimo Vitali racconta come l’Italia di Berlusconi sia stata la ragione, il movente, della sua prima foto di una spiaggia. “Nel 1994 ero appena tornato dall’estero e Berlusconi aveva vinto le elezioni. Volevo vedere chi erano gli italiani, volevo capire i loro atteggiamenti, volevo fotografare le loro facce, in quel preciso momento storico”. La prima foto della Beach Series è stata scattata a Marina di Pietrasanta, è il negativo 0.0 dell’archivio.

Volevo vedere chi erano gli italiani, volevo capire i loro atteggiamenti, volevo fotografare le loro facce, in quel preciso momento storico.

“Nel 1994 ne avevamo stampato una sola copia” racconta Vitali “ma già in formato 150x180 cm, quindi piuttosto grande per le abitudini della fotografia italiana dell’epoca. L’avevo venduta in Germania ed era stata esposta in un bar. Anni dopo, quando l’ho rivista, era tutta sporca, era stata piuttosto maltrattata. Oggi abbiamo fatto la scansione del negativo originale e l’abbiamo ristampata. Sarà esposta in aprile a Torino, da Mazzoleni Art.” 

È stata la prima volta in cui hai posizionato il banco ottico su un treppiede a tre metri d’altezza. Quel punto di ripresa è diventato il tuo marchio di fabbrica.
Avevamo costruito una specie di cavalletto molto rudimentale, con dei tubi di alluminio recuperati, mi serviva per stare ad una certa altezza. Per anni ho studiato la tecnica dei fotografi che usavano abitualmente il grande formato, e avevo capito che dovevo stare ad una certa altezza per fare delle foto panoramiche e oggettive. Oggi, quasi trent’anni dopo, il mio sguardo è rimasto a quell’altezza.

Massimo Vitali, “Maddalena Penitente”, Rosignano. Courtesy Massimo Vitali
Massimo Vitali, “Maddalena Penitente”, Rosignano. Courtesy Massimo Vitali

Ma l’elemento che fa dire “questa è una foto di Vitali”, a parte le spiagge bianche, è la presenza delle persone. Tante persone che creano delle micro-scene.
Nelle mie foto c’è tanta gente che fa cose estremamente normali, è la normalità delle nostre vite. E dove si vede molto bene il cambiamento. Attraverso gli anni cambiano i dettagli, i costumi, lo stile, il colore degli asciugamani, perfino la forma dei corpi. E, soprattutto, cambiano i comportamenti. Nel negativo 0.0 di Marina di Pietrasanta c’è un signore che sta facendo una foto con una macchina fotografica a pellicola, mi aveva colpito questo particolare perché nelle spiagge non era un’abitudine fotografare. Oggi è normale, ma trent’anni fa mi era sembrato che questo signore stesse facendo una cosa bizzarra, era una eccezione.

Fermi delle situazioni, è vero, ma sei molto lontano dal mito dell’istante decisivo, dalla dottrina di Cartier-Bresson.
Per me qualunque istante è decisivo. Poi c’è un altro fatto. I fotografi che meno apprezzo sono quelli che spettacolarizzano la scena. C’è spesso una tendenza a drammatizzare, per cui sembra che tutto debba essere sopra le righe. Per me non è così.

Massimo Vitali, Nature. Courtesy Massimo Vitali
Massimo Vitali, Nature. Courtesy Massimo Vitali

Stiamo parlando della seconda parte della tua vita, perché hai iniziato a fotografare le spiagge superati i cinquant’anni. Ma c’è stata anche una prima parte. 
Sì, quando facevo foto brutte. Giravo il mondo, facevo foto per i giornali, tutte cose poco interessanti. Finché non prendi delle decisioni, non segui la tua strada, le foto sono banali. Ad un certo punto della mia vita ho fatto un passo che mi ha messo al sicuro da tutta una serie di cose inutili, ho scartato tutto il superfluo.

La cosa interessante è che l’hai fatto a cinquant’anni, e questo va un po’ contro l’idea che la creatività o la tiri fuori a venticinque anni, oppure sei fuori tempo massimo.
Ho studiato molto per trovare la strada. Ho studiato la fotografia tedesca, la storia dell’arte. A volte capita che le mie collaboratici, su Instagram, associno una mia fotografia ad un dipinto classico. Naturalmente, io non lo faccio apposta, ma quelle linee, quelle forme, quella geometria esce fuori da tutto ciò che ho incamerato in anni di osservazione. Cerco di visitare più musei possibili, e questo credo che emerga.

Massimo Vitali, Trittico. Courtesy Massimo Vitali
Massimo Vitali, Trittico. Courtesy Massimo Vitali

C’è un elemento che ti porti dietro dal cinema. Tieni fermo il banco ottico e sono le persone a muoversi, sono loro che costruiscono la scena. È il contrario di ciò che fa un fotografo, per esempio, di reportage, che si muove continuamente per cercare ciò che più gli interessa.
È interessante tutto ciò che avviene prima e dopo la fotografia. Ti faccio un esempio. In questi giorni stiamo lanciando un NFT, e sono stato vari mesi a pensare come poter creare un ponte tra il mondo crypto, digitale, e il mio mondo. Così ho fatto un breve filmato che contiene tutta una sessione di ripresa, e poi l’abbiamo chiuso in una .gif di un minuto e mezzo. È la sessione da cui ho tirato fuori questa Maddalena Penitente - ecco, ancora un riferimento all’arte classica - che esce dall’acqua. Se guardi tutta la sequenza, la macchina fotografica resta immobile, io guardo quel che succede intorno e scatto. In questa sequenza c’è tutto quel che avviene davanti ai miei occhi in un certo lasso di tempo. Trovo interessante poter mostrare questo mio approccio, molto antico, per cui io non muovo niente, aspetto che le cose succedano.

Che cosa dicono le persone quanto ti vedono arrivare su una spiaggia, montare un cavalletto alto tre metri, e attendere che succeda qualcosa?
Una delle cose che è cambiata in questi trent’anni è l’atteggiamento della gente rispetto a chi fa le fotografie. Trent’anni fa pensavano che fossi un pazzo, nessuno immaginava che da una scatola di legno potessero uscire delle fotografie. Poi c’è stato il periodo in cui la gente ha iniziato ad essere un po’ preoccupata, sentiva il problema privacy. Oggi questo problema è scomparso. Oggi quando dico che sto facendo una fotografia, la preoccupazione scompare. La fotografia in pubblico è stata completamente sdoganata, nessuno si pone più il problema. Il mio modo di fare le foto è passato attraverso tutta una serie di cambiamenti che sembrano molto piccoli, ma che in realtà sono importantissimi.

Massimo Vitali. Courtesy Massimo Vitali
Massimo Vitali. Courtesy Massimo Vitali

Tutti noi guardiamo le tue spiagge, ma in realtà è l’acqua l’elemento forte. 
L’acqua è un elemento presente nel 90% delle mie fotografie. Faccio fatica a fare delle fotografie dove non ci sia l’acqua. C’è nelle foto delle montagne, delle discoteche, dei fiumi, dei laghi. L’acqua è un elemento che unisce, intorno all’acqua la gente sente di avere qualcosa in comune, tutti questi gruppi di persone, apparentemente isolati, si sentono parte di una stessa scena.

Torniamo all’inizio, al negativo 0.0 di Marina di Pietrasanta. Nella tua biografia racconti che hai iniziato a fotografare le spiagge ispirandoti alla serie “Cape Cod” di Joel Meyerowitz, ma cambiando le regole.
Sì, Cape Cod di Meyerowitz è uno dei primi libri a cui mi sono ispirato. L’altro è The Americans di Robert Frank, con cui naturalmente non ho nulla in comune per quanto riguarda il risultato, ma dal quale ho imparato che le persone potevano essere fotografare senza giudizio. In Cape Cod, invece, ho visto le prime foto di spiagge. Ma in quella serie la gente è stata ripresa da dietro, di spalle, ed è questo che mi ha fatto dire: no, io voglio vedere il loro volto. 

“Massimo Vitali. Una Storia Italiana” di Noemi Pittaluga (Ledizioni)
Massimo Vitali. Una Storia Italiana, Noemi Pittaluga, Ledizioni, 2021

Immagine in apertura: “Piscinao de Ramos”, Massimo Vitali, 2012. Courtesy Massimo Vitali

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