Kirill Savchenkov, architetto di giochi di ruolo fin troppo reali

Nato nel 1987, l’artista russo racconta attraverso i giochi la crudeltà degli scenari geopolitici, in equilibrio tra le visioni e traumi della sua generazione, e il naturale istinto umano alla cooperazione. L’abbiamo incontrato.

La gamification che oggi ci induce a passare qualche ora in più a curare i nostri profili social, o che ci spinge a fare gli straordinari per chiudere un lavoro al meglio, rendendoci eccellenti e competitivi, è la degenerazione oscura di qualcosa di utile e potente: la scoperta che noi esseri umani – come molti hanno attestato e come racconta anche Roberta Michnick Golinkoff nel suo Einstein Never Used Flash Cards – amiamo tantissimo giocare. E non solo. Fin da piccoli giocare ci aiuta a dare un senso al mondo e alla vita, comprendere le emozioni e i rapporti sociali. 

Un giovane artista russo sta cercando di recuperare l’antico potere dei giochi, e soprattutto dei giochi di ruolo, per innescare processi di guarigione e educarci alla cooperazione. Nato nel 1987 a Mosca, Kirill Savchenkov in questi giorni si sta preparando per esporre alla Biennale di Venezia 2022 dove, rappresentato dalla galleria Osnova, sarà ospite del Padiglione Russo. Nelle sue opere riporta visioni e traumi vissuti sulla sua pelle e sulla pelle della sua generazione. Da un lato la sensazione di essere esposto a continui atti di violenza tramite una tecnologia che si rivela molto meno neutrale di quanto sembri, mentre i media divengono armi al servizio di un governo autocratico sotterraneo e in costante attività. Dall’altro, il desiderio di collaborare con i propri simili e la consapevolezza che per farlo sarà necessario un lungo processo di cura, attraverso il gioco, la poesia, la condivisione.

A Liste, fiera satellite di Art Fair Basel, dedicata alle nuove scoperte dell’arte contemporanea, Savchenkov ha portato Fireworks and Gunpowder, un’opera che racconta al meglio la sua abilità nel servirsi a piacimento dei media più vari, dalla scultura, alle installazioni materiche e sonore, fino a performance o attività di meditazione e esplorazione partecipativa. Fireworks and Gunpowder è un gioco di ruolo da tavolo, disegnato e progettato dall’artista, sulle orme dei giochi creati e utilizzati dalla CIA per preparare i suoi agenti ad affrontare sfide complesse, come Kingpin: The Hunt for El Chapo, Collection, e Collection Deck, da poco resi pubblici grazie al “Freedom of Information Act”, e che hanno a loro volta ispirato il famoso gioco Pandemic, dove i giocatori si impegnano insieme a debellare quattro malattie letali esplose in vari luoghi della Terra.

Come per i giochi sopraelencati, Fireworks and Gunpowder ha la particolarità di essere un gioco da tavolo cooperativo: i giocatori non combattono tra di loro anzi sono invitati a collaborare per risolvere situazioni di crisi complesse, guidati da un game master, attraverso una serie di difficoltà e domande poste dalle carte da gioco. Gli scenari antichi e moderni sono stati scelti come “casi mediatici utilizzati come arma”. Uno degli scenari più moderni e complessi, su cui Kirill ama soffermarsi, forse proprio per averlo vissuto in prima persona, è quello della “distribuzione del potere e dispiegamento della propaganda nel contesto delle autocrazie informative” o nei regimi cosiddetti ibridi.

L’avvicendarsi strategico di operazioni mediatiche e esercizio della violenza, tra democrazia elettorale e autocrazia, caratteristico di regimi ibridi come quelli attualmente al potere in Russia, in Cina, o nelle Filippine, rende il “villain” del gioco, un nemico ombroso, ambiguo, difficilissimo da identificare. Se come riporta Savchenkov “i regimi ibridi contemporanei sono regolati per impiegare l’80% di propaganda e solo il 20% di violenza diretta”, quello che secondo lui ci aspetta, e contro cui dovremmo allenarci giocando, è uno scenario ancora più confuso, “60% di propaganda, 10% di violenza diretta e 30% di contenuti avvelenati”. I contenuti avvelenati rappresentano il lato sempre più ambiguo (disruptive si dice nel marketing) della propaganda, che si tratti di meme, fake news o troll farm, la strategia a monte è la stessa: usare la tecnologia per costruire un apparato mediatico capace di far leva sull’emotività del cittadino e dell’utente. Un esempio lampante di tale strategia è il metodo OCEAN seguito da Cambridge Analitica, che targhettizzava profili psicologici “tipici” basandosi appunto sulle loro attitudini emotive (Openness per apertura mentale, Conscientiousness per scrupolosità, Extroversion per estroversione, Agreeableness per cooperatività e tolleranza, Neuroticism per facilità ad arrabbiarsi). Ma ce ne sono molti altri, dall’entrismo praticato da think-tank e spin doctor in comunità religiose o subculturali consolidate, alle campagne ideologiche semi-inconsapevoli indotte in reti di amicizie, o alle forme di fidelizzazione affettiva ai brand, il tutto potenziato dalla capillarità mediatica dei social media.

Nella sua installazione sonora a cinque canali Then a Kiss Is Not a Kiss (2019), esposta a V-A-C Zattere, Kirill cerca di creare un ambiente utile alla riabilitazione di vittime traumatizzate dalla guerra mediatica, e che oggi soffrono di depressione, ansia e la disforia, come l’organizzazione antifascista russa “The Network” per anni perseguita dal governo Putin, o le numerose vittime del cyberbullismo praticato dalla squadra di Rodrigo Duerte, attuale presidente della Repubblica delle Filippine, durante la sua campagna elettorale, nel 2016.

In un presente in cui la tecnologia diventa un’arma nelle mani di pochi, con conseguenze devastanti e traumatiche per molti, per Kirill l’artista oggi ha due possibilità: portare avanti la sua arte “come una parabola, una narrazione che svela gli aspetti immateriali dell’impatto tecnologico e l’impronta emotiva delle relazioni sociali” o – come accade nella sua opera di training performativo The Elsewhere Logistics, esposta a Lipsia nel D21 Kunstraum e al MMOMA di Mosca nel 2018 – quello di impiegare “agenti acustici, performativi e concreti” per provocare una dinamica di agentività nella sua stessa opera e in chi la partecipa, esercitandoci alla “neuroplasticità” e alla “neuro-sensibilità” necessarie per sottrarci alla violenza e alla manipolazione mediatica.

Tornando a Fireworks and Gunpowder, per uscire vincitori da questa avventura e crisi mediatica i giocatori, seguendo Kirill, dovranno dotarsi di una “comprensione della natura e dei protocolli mediatici” e di una cooperatività strategica che imiti i “sindacati temporanei, assemblati e smontati per svolgere un compito specifico”, simile a quella che caratterizzò “la clandestinità rivoluzionaria formatasi alla fine del XIX e all’inizio del XX secolo in Russia”. Ci si può immaginare che non sia proprio facile per una galleria che si trova a Mosca, come è Osnova, aver scelto non solo di ospitare tra le sue mura, ma anche di portare prima a Liste e poi a Venezia, Kirill Savchenkov, architetto di giochi di ruolo fin troppo reali.

In questo momento Kirill, sta collaborando con Alexandra Sukhareva, a qualcosa di nuovo che verrà presentato nel Padiglione Russo della Biennale. Sull’opera “che naturalmente combinerà gli approcci che Alexandra ed io usiamo nel nostro lavoro individuale, all’interno della narrazione condivisa”, per ora non può rivelare altro.

Immagine in apertura: Kirill Savchenkov, “Fireworks and Gunpowder”,  courtesy Osnova Gallery. Foto Liste Art Fair

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