Victor Papanek in mostra al Vitra Design Museum

A Basilea una mostra didascalica e ricca di contenuti riporta ai nostri giorni la filosofia e la politica del designer austriaco.

“Viktor Papanek: The Politics of Design”, vistra della mostra, Vitra Design Museum, Weil am Rhein, Germania, 2018. Foto Norbert Miguletz

Una delle sale più belle della mostra “Victor Papanek: The Politics of Design” al Vitra Design Museum di Basilea è l’ultima, e raccoglie gli insegnamenti del designer austriaco naturalizzato in America. Per come lo vedeva lui, che era anche ebreo emigrato in odore di nazismo, il design va molto oltre il singolo oggetto: è un processo, un sistema transdisciplinare, un atto integrale che ci circonda. Olistico, totale, rispettoso dell’uomo e dell’ambiente, “everything is connected”, tutto è connesso.

Ecco allora esposte nell’ultima sala le visioni degli artisti sul mondo: Cloud Cities di Tomás Saraceno è un'opera che immagina il futuro delle città nel cielo. Saraceno propone una città nelle nuvole, una sorta di città volante. Daisy Ginsberg vuole creare un mondo di creature biosintetiche, ma ci sono anche Forensic architecture, Gabriel Ann Maher, Femke Herregraven. La digitalizzazione al servizio dell'uomo e non viceversa, com'è ad esempio la sciarpa che confonde la tecnologia del riconoscimento facciale di Hyphen-Labs e Adam Harvey “HyperFace” del 2017. Non è interessante solo per le opere d’arte tutte portate a una riflessione sulla società, ma perché trasmette all’avventore l’eternità di un valido insegnamento. Ovvero che la creazione artistica, il designer e l’architettura possano tutte fare qualcosa per migliorare la società, che possano avere tutte un valore politico.

Victor J. Papanek e James Hennessy “Lean-To Chair”, illustrazione dal manoscritto Nomadic Furniture 2, 1974. © James Hennessy e University of Applied Arts Vienna, Victor J. Papanek Foundation
Victor J. Papanek e James Hennessy “Lean-To Chair”, illustrazione dal manoscritto Nomadic Furniture 2, 1974. © James Hennessy e University of Applied Arts Vienna, Victor J. Papanek Foundation

La mostra si apre con una sala didascalica che ripercorre la biografia di Papanek (1927–1998) raccontando la vita e soprattutto quello che succedeva in quegli anni: la filosofia del design non era avulsa dal contingente, ma anzi come viene esposto, l’attualità è parte fondante del suo pensiero. Papanek proponeva una pratica molto effettiva, con una teoria nella comunicazione ridotta all'osso perché fatta di liste – conosceva e lavorava con Marshall McLuhan, grande teorico dei media del secolo scorso.  Racconta la curatrice Amelie Klein  “Quello che era urgente al tempo di Papanek è ancora più urgente oggi”. E certo, come poteva essere diversamente? . Nel complesso la mostra è una esibizione tematica che vuole rispondere alla domanda: che cosa può fare il design per la società? Sicuramente può occuparsi delle minoranze, che per Papanek erano le persone lasciate fuori: le donne, i bambini, il terzomondo, gli anziani. Ma anche si occupava di ecologia e sostenibilità in un mondo in cui si ha sempre più desiderio di possedere nuovi oggetti, e si produce a discapito dell'ambiente. Diceva “No design stands mute. All design has social, environmental and ecological consequences”. In mezzo alla sala c'è il libro Design for the Real World (1971)  tradotto in venti lingue e in varie edizioni. Un design che sostiene progetti come quelli Nicholas Negroponte Hundred Dollar Laptop, oppure Ocean Cleanup per ripulire tutti i mari dalla plastica. Un design volto al bene, alla pubblica utilità, al contrario dello spreco. Esposta c'è la campagna “Autocomplete Truth” un progetto  “sul genere. Digitando “La donne deve” Google completa automaticamete in modi terribili ma reali perché si basano sulla maggior parte delle ricerche, dando un quadro per nulla idealizzato (tra i risultati: la donna deve stare al suo posto, non deve guidare, non deve essere creduta).

UN Women “The Autocomplete Truth: Need”, campagna pubblicitaria disegnata da Mermac Ogilvy & Mather Dubai, 2013 © Foto Mermac Ogilvy & Mather Dubai
UN Women “The Autocomplete Truth: Need”, campagna pubblicitaria disegnata da Mermac Ogilvy & Mather Dubai, 2013 © Foto Mermac Ogilvy & Mather Dubai

Esposto c'è anche ciò che Papanek produsse, a parte una filosofia proattiva volta al bene della società. Un prototipo di cubo realizzato per aiutare l’apprendimento dei bambini con delle lesioni cerebrali, una sedia per migliorare le condizioni di salute di chi ha problemi di schiena dovuti anche al grasso, una giostra per bambini per aiutare le mamme le casalinghe (i tempi erano altri...) Ci sono anche le dimostrazioni del 1968 alla Triennale di Milano e una necessità di concretezza che Papanek contrapponeva al design radicale italiano. Ma soprattutto il Leitmotiv è come il design debba offrire una vita migliore, non basandosi sui dati riduttivi del marketing: “If the designer is to make a deliberate contribution to society, he must be able to integrate all he can learn about behaviour and resources, ecology and human needs; taste and style aren't enough”. Se ci pensiamo, questo è valido ancora di più oggi, l'epoca in cui gli esseri umani sono dipinti come una serie di dati. Per quanto riguarda la battaglia di genere, se il designer era contrario alle così dette “quote rosa” alla School of Design che dirigeva, perché significavano “ghettoization of women” ghettizzazione delle donne - la discussione sulle quote rosa non è ancora andata fuori moda. La mostra ha questo di forte: unisce alle indagini teoriche di Victor Papanek la risposta pratica che arriva principalmente dalla contemporaneità. Quasi a ricordare: nella società le soluzioni (del design) cambiano, ma le domande no. 

Titolo della mostra:
The Politics of Design
Date di apertura:
29 settembre 2018 – 10 marzo 2019
Sede:
Vitra Design Museum
Indirizzo:
Charles-Eames-Straße 2, 79576 Weil am Rhein, Germania

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