Era l’estate del 2012 quando un cambio di sequenza di lettere trasformava la vetrina della trattoria milanese Il Carpaccio di via Lazzaro Palazzi ne Il Crepaccio, un micro museo accessibile e libero che Caroline Corbetta ha curato per quattro anni. In questo spazio non profit “senza aspirazioni commerciali ma con velleità esibizioniste” hanno trovato visibilità 130 giovani artisti emergenti. Davvero tanti, tutti chiamati a lavorare in base a poche semplici regole: elaborare un solo progetto da lasciare esposto per una decina di giorni, fruibile senza pagare alcun biglietto. Il motto era: “We don’t buy, we don’t sell”. Questo spirito non è cambiato con la nuova formula de “Il Crepaccio Instagram Show” che ha ‘aperto’ ufficialmente il 13 novembre, dopo un periodo di preparazione con la messa online di parte dell’archivio lavori. Ma qualcosa di sostanziale è cambiato. Dopo quattro settimane e altrettanti artisti, lo si comincia a intravedere. Ne parliamo con l’alter ego del Crepaccio, la sua curatrice.

Da quali esigenze o riflessioni è nata la decisione di cambiare?
Già da un po’ di tempo sentivo che il Crepaccio aveva esaurito la sua energia iniziale, ma ero sempre convinta della sua validità e volevo continuare a lavorare con giovani artisti, essere fuori dalle istituzioni, avere la massima libertà e nessuna economia. Come sempre succede, sono state le circostanze a smuovere le acque e generare il cambiamento: il locale era stato venduto e non sapevamo se i nuovi proprietari avrebbero continuare a ospitarci. L’ispirazione mi è venuta mentre riordinavo il materiale del Crepaccio e, in contemporanea, usavo Instagram.
Tra i social media, Instagram è quello più artistico.
Ha una relazione importante con l’arte, ha cambiato il modo di vedere le mostre: gli addetti ai lavori cercano “l’Instagram moment” per fare un veloce report e i giovani spesso vedono qui le esposizioni e poi decidono se andarci fisicamente. Per questo ancora più che un tempo, i curatori punteranno sulla ‘fotogenicità’.

Cosa vi distingue dai profili di artisti e musei?
L’arte su Instagram coincide spesso con gallerie di immagini, opere fisiche che vengono fotografate ed esposte a un pubblico molto ampio e, il più delle volte, messe in vendita. I musei lo usano per pubblicizzare la loro attività. Il nostro è invece un progetto curatoriale pensato su misura di questo strumento.
Chiedi di produrre immagini con il telefonino, con il computer, come fa la gente comune. Esiste una specificità dell’artista all’interno di questa marea creativa?
Instagram è fatto di immagini che devono essere quasi pornografiche nella loro ipervisibilità, devono catturarti. È la dittatura del single post, te la giochi tutta subito. Stiamo facendo un esperimento per cercare di capire se l’aspetto visivo è ancora una prerogativa dell’artista. Penso comunque che la creatività, che è fatta solo di immagini, sia un’altra cosa rispetto all’arte, che è immagine con un contenuto.

La chiave del nuovo progetto è il formato.
Chiedo agli artisti di accettare la sfida e sporcarsi le mani, di lavorare sulla specificità del mezzo e creare immagini che esistano solo su Instagram. L’unica regola è sviluppare un solo show inedito fatto di cinque contributi da postare uno al giorno, dal lunedì al venerdì. È una formula che guarda anche al passato, a iniziative di fine anni Sessanta come lo Xerox Book di Seth Siegelaub, che chiese a una decina di artisti, tra cui due giovani Sol LeWitt e Laurence Weiner, di creare opere inedite riproducibili con la fotocopiatrice, così che la gente potesse portarsi a casa la mostra.
Come il vecchio Crepaccio, anche questa versione social vuole portare l’arte a tutti.
È sempre stato uno dei nostri principali obiettivi, fare avanguardia di massa! Prima con una vetrina su strada e ora con una, molto più rumorosa e colorata, sul mondo. La nostra sfida è proprio allargare il pubblico dell’arte in quel Far West che è Instagram: un terreno vergine tutto da conquistare.
Hai cominciato coinvolgendo giovani artisti italiani. Che reazione hanno avuto?
È stato naturale chiamare artisti che avevano già partecipato al Crepaccio ma non solo, infatti tra i primi partecipanti c’è anche, per esempio, Alessandro Pessoli, che è uno degli artisti nostrani mid-career più apprezzati e viva da anni a Los Angeles. Comunque tutti si sono subito buttati con entusiasmo con me nel crepaccio digitale, dicendo che la richiesta era arrivata al momento giusto. Alcuni erano più avvezzi di altri con il mezzo, qualcuno non aveva un profilo Instagram… ma non è questo che conta. Anzi, avere un approccio da neofita può aiutare ad espandere i confini di un linguaggio. Come ha fatto RoseLee Goldberg nel 2004 quando ha creato Performa coinvolgendo artisti che non avevano mai lavorato con la performance.
La nostra apripista è stata Serena Vestrucci, che era stata la prima anche con il vecchio Crepaccio. Con il suo lavoro TBT, ThrowBack Thursday, ironizza sulla mania dei giovani di fare editing pesante sulle proprie immagini del passato pubblicate di giovedì: si è reinventata come Miss Italia, insieme ai Beatles, con Andy Warhol... Giovanni De Francesco ha invece proposto una serie di immagini apparentemente casuali e banali realizzate con capelli tagliati, mozziconi di sigarette o calzini usati: compongono una lettera al giorno e formare la parola Nulla. Ha lavorato secondo il principio contrario che regola Instagram: nessuna immagine catchy, solo bianco e nero, oggetti di scarto. È un lavoro sulla banalità di questo media che tante volte propone soggetti che non meritano. Anche l’arte, in fondo, è fatta di tutto e di niente.

Tra gli artisti consolidati che usano Instagram chi apprezzi?
Maurizio Cattelan e Cindy Sherman. Maurizio lavora sul linguaggio della dittatura del single post che crea l’eccitazione da like ma che si fa dimenticare in due secondi. Infatti, lui lo cancella ogni giorno. La Sherman, regina dell’autoritratto – il selfie ante litteram – usa i filtri fino a stravolgere il proprio viso, criticando il mito della bellezza della percezione.
Non ti interesserebbe provare a coinvolgere artisti consolidati come loro?
Ho già cominciato a lanciare la sfida ad artisti internazionali e anche ad artisti più ‘maturi’. Spero di riuscire a forzarli a uscire dalla loro comfort zone, credo potrebbero esprimere qualcosa di interessante in questo nuovo ambito.
Quali aspettative hai?
Che Il Crepaccio Instagram Show cresca pian piano in visibilità. Stiamo lavorando molto dal basso, con il passaparola e con il nostro sito, che sto curando con un’artista del Crepaccio. Caterina Rossato. Abbiamo iniziato con circa 170 follower, il profilo era praticamente inattivo. Alla quarta settimana siamo arrivati a 1.000, senza strategie di comunicazione o proclami.
Obiettivi? Superare Cattelan e i suoi 73.000 follower?
Sarebbe un primo grande obiettivo. Ma il crepaccio non è una celebrità come Cattelan, (Caroline ride, NdA). Se arrivassimo a cifre da capogiro come quelle di love.watts, un account che ha 1 milione e mezzo di follower, sarei felicissima. Ma di solito a questi risultati si arriva lavorando con la creatività a 360°, non solo con l'arte, e con un aspetto di business che per noi, al momento, è del tutto lontano. Il numero di follower è un fattore importante su Instagram e non puoi essere snob pur facendo un esperimento di tipo intellettuale. Quindi se ti segue o riposta un personaggio come Kim Kardashian, lontanissimo dal nostro mondo, alla fine devi essere comunque contento. Con un repost della Kardashian, che ha 105 milioni di follower, la nostra capacità di penetrazione e proselitismo potrebbe esplodere. Altro che Cattelan! Quella sì che sarebbe avanguardia di massa!