Continua la grande attenzione di prestigiose istituzioni museali attorno all’opera di Isa Genzken, una delle artiste che più hanno segnato la scena dell’arte contemporanea degli ultimi quaranta anni. Dopo la personale al Moma di New York, la grande mostra alla Whitechapel di Londra e la celebrazione in patria presso il Museum Ludwig di Colonia è la volta dello Stedelijk di Amsterdam.
Mach dich hübsch!
Allo Stedeljik Museum, un’ampia rassegna di opere dell’artista tedesca Isa Genzken permette di annodare tutti i fili del suo lavoro che combina architettura, musica, moda e critica sociale.
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- Marco Petroni
- 03 marzo 2016
- Amsterdam
“Mach dich hübsch!“ (Fatti bella!), a cura di Beatrix Ruf e Martijn van Nieuwenhuyzen, è impaginata attraverso un montaggio di 287 opere che non seguono una narrazione lineare e cronologica ma si raccordano per affinità e sconfinamenti semantici e materici. Una scelta curatoriale condivisa con l’artista che ha partecipato all’allestimento della sala d’ingresso alla mostra, una sorta di manifesto dell’idea che sta alla base dell’intero percorso espositivo sviluppato in 18 sale del museo.
Un confronto senza tempo tra opere di differenti periodi che ruotano attorno a un’oscillazione continua tra un’eleganza sincronica e una diacronia cacofonica. Infatti, la sala d’apertura ostenta questo precario disequilibrio proponendo al centro dello spazio la replica di una scultura in bronzo di un giovane d’epoca classica con indosso un walkman. Completano questo ambiente immersivo, composto da stridenti contrasti, alcuni elementi architettonici in cemento che disegnano un’architettura distopica e immaginaria. Nel suo percorso artistico, Isa Genzken ha variato una molteplicità di materiali, dimensioni, salti di scala, passando da elementi tridimensionali a opere a parete bidimensionali. Il corpo è uno dei territori privilegiati di sperimentazione e riferimento, attraverso operazioni di astrazione o di abbrutimento e rimescolamento e utilizzando la vestizione stratificata di manichini in abiti cheap realizzati con materiali sintetici del nostro tempo o radiografie.
Edifici in cemento pericolanti – come sottili e trasparenti torri o ridotti a piatte facciate riflettenti – diventano il supporto per sequenze di collage che ricreano la dimensione dell’accumulo diaristico, frammenti d’attualità, pagine sulla crisi dei rifugiati, elementi ripresi dalla storia dell’arte e una cartolina di un dipinto astratto di Gerhard Richter, suo ex marito. Disegnano una stratificazione di elementi, di tracce in cui scorgere l’evoluzione di un percorso personale che diventa anche specchio del passaggio dal Novecento al nuovo millennio.
In mostra si evidenziano questi elementi di raccordo o di salto da epoche differenti attraverso l’affastellarsi di materiali plastici, resine, radio in cemento che negano la comunicazione sintonizzandosi con il buio della storia, l’anima nascosta del paese di nascita dell’artista, la Germania. Spesso è la stessa Genzken a essere protagonista di accostamenti e allitterazioni attraverso la messa in gioco di suoi ritratti in dialogo con la Mona Lisa di Leonardo o la Medusa di Caravaggio, mentre le riproduzioni dei busti di Nefertiti dal Neues Museum di Berlino appaiono di volta in volta come autoritratti accessoriati da occhiali da sole, parrucche, cuffiette o cravatte. La storia nelle mani della Genzken si propone come accumulo di frammenti prendendo la forma di una spugna che assorbe da ambiti disciplinari e personali differenti e divenendo quasi un deposito enciclopedico di saperi, tecniche e materiali intesi come vettori di una vasta conoscenza che muove tutto, da una regina egizia a Michael Jackson.
“Ho sempre voluto avere il coraggio di fare qualcosa di completamente folle, impossibile e anche cose totalmente sbagliate” afferma Isa Genzken. Una dimostrazione di una curiosità onnivora che si confronta con temi come il ruolo dell’artista nella società contemporanea, il corpo, l’identità di genere, l’alienazione metropolitana. Un’oscillazione continua tra dimensione personale, privata e pubblica, tra sociale e individuale dà forma a una densità concettuale che può essere vista come un’indagine attorno a un sistema di possibilità espressive e di trasformazioni dell’arte: dalla superficie della pittura alla scultura, dal modello architettonico all’installazione ambientale. Emerge una mappatura delle potenzialità dell’arte di costruire e disegnare un contesto relazionale in cui condividere con il fruitore un’esperienza di riflessione sul proprio tempo, sulla cultura del consumo, sulla condizione della donna.
In questo senso, una delle sale più sorprendenti e icastiche è quella che raccoglie una serie di modelli architettonici della serie Fuck the Bauhaus (2000) realizzati assemblando cemento, rifiuti e legati con nastro adesivo a enfatizzare il fallimento del razionalismo modernista che viene ulteriormente evocato con la serie di immagini fotografiche Empire/Vampire, Who Kills Death (2003), una sequenza di raffigurazioni di scenari post-apocalittici. La successione degli spazi espositivi è punteggiata di elementi del quotidiano continuamente decontestualizzati o amplificati: elementi d’arredo sospesi al soffitto o ombrelloni da spiaggia, una parata di sedie a rotelle ospita accumuli di rifiuti e frammenti di manichini avvolti in fogli di pvc trasparente, stampelle ortopediche, bambole e i manichini Schauspieler (2012) a grandezza naturale. Sono questi elementi a essere utilizzati dai curatori come elementi segnaletici, costanti di una poetica che dialoga criticamente con la passività del consumo e le storture del capitalismo non cadendo mai nel banale o nel kitsch.
È comunque una sensibilità femminile a creare accostamenti inediti di materiali e formati che spesso sono ammorbiditi attraverso l’inserimento nell’opera di elementi floreali come rose rosse o foglie di palma. Questa sistematica ibridazione di elementi molteplici e differenti rimanda spesso anche ai contesti metropolitani vissuti e amati da Isa Genzken, come New York, Berlino, Amsterdam. Gli oggetti più comuni, le immagini più disparate rappresentano per l’artista tedesca l’occasione per costruire uno spazio di interrogazione della contemporaneità misurandola con il metro dell’arte, delle sue relazioni nascoste mettendo in luce complessità e contraddizioni del quotidiano. A volte, quest’indagine assume la forma di un dialogo più intimo e ironico come nel film in mostra Zwei Frauen im Gefecht (Due donne in combattimento, 1972), un perpetuo vestirsi e svestirsi che la Genzken condivide con la sua amica Susan Grayson, altre volte appare come una critica sociale più diretta come in Memorial Tower (Ground Zero) in cui propone una ricostruzione non fisica delle Twin Towers ma immagina delle lunghe strisce di plastica colorata da utilizzare come supporto per edificare uno scambio di domande e risposte con la comunità travolta dal traumatico evento che ha segnato la nostra contemporaneità. Una rassegna ampia e ben curata che esprime il valore di una ricerca artistica in costante evoluzione, sempre in relazione con le dinamiche sociali e culturali del proprio tempo.
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