Tappeti di luce

Nell’installazione per la Galleria Gagosian di Roma, Richard Wright utilizza il vetro, materiale che ha una speciale reazione all’impatto con la luce, assorbendola o lasciandosi attraversare.

Richard Wright, <i>No title</i>, 2015, vetro piombato, 460 × 174 cm. Photo Matteo D'Eletto M3 Studio
Il fulcro del lavoro di Richard Wright è nel dialogo con l’architettura. Fin dagli anni Ottanta, l’artista britannico abbandona la tela per sconfinare con i suoi interventi pittorici direttamente sui volumi e sulle forme di diversi ambienti. Attraverso una serie di wall painting, ridisegna e ridefinisce lo spazio conferendogli nuovi connotati e offrendo allo spettatore la possibilità di percepirlo da una prospettiva inedita.
L’opera non è più collocata al sicuro dentro i confini statici di una cornice, ma si trova in una posizione di transitorietà che rispecchia la mutevolezza della vita stessa: è esposta a tutti i possibili cambiamenti che coinvolgono l’architettura, di cui è di fatto diventata parte. La fragilità, ma anche l’apertura del lavoro, costituiscono la novità dell’approccio di Wright che nel 2009 riceve l’ambito Turner Prize presentando un’opera di grande formato realizzata in foglia d’oro applicata direttamente su una parete della Tate Britain. La scelta di questo materiale introduce un’altra importante caratteristica del suo lavoro: l’uso della luce. Attraverso la luce, l’oro viene esaltato e, contemporaneamente, annullato; perde cioè i suoi connotati fisici trasformandosi in un bagliore indefinito.
Richard Wright
Richard Wright, No title, 2015, alla Galleria Gagosian Roma. Photo Matteo D’Eletto M3 Studio. Image courtesy Gagosian Gallery and the artist
Nella nuova installazione site-specific realizzata per gli spazi della Galleria Gagosian di Roma (vedi Domus 995 ottobre 2015), Wright utilizza il vetro, altro materiale che ha una speciale reazione all’impatto con la luce, assorbendola o lasciandosi attraversare, e con il quale l’artista sperimenta già dalla fine degli anni Novanta. Per la sala ovale della galleria, realizza tre monumentali vetrate piombate e le sovrappone alle preesistenti finestre che illuminano il grande ambiente. La luce naturale, filtrando attraverso queste complesse strutture, si proietta sullo spazio circostante e scandisce, come una clessidra, le diverse ore della giornata. La mattina le pareti della galleria appaiono incastonate da sottili ed elaborati gioielli di luce che nelle ore di pieno sole si trasformano in ampi tappeti multicolore per poi tornare a essere piccole scintille al tramonto e sparire.
Richard Wright, <i>No title</i>, 2015, Galleria Gagosian Roma. Photo Matteo D'Eletto M3 Studio
Richard Wright, No title, 2015, work in progress alla Galleria Gagosian Roma. Photo Matteo D'Eletto M3 Studio

La sua riflessione sulla fragilità dell’opera d’arte si spinge in alcuni casi fino al punto di distruggere i suoi stessi lavori al termine di una mostra, perché?

La mia volontà è quella di posizionare il lavoro in un contesto di totale vulnerabilità dove è altamente improbabile che si possa conservare. Uno dei miei pezzi preferiti è un’opera degli anni Settanta di Chris Burden nella quale due grandi croci di legno a forma di X vennero piazzate in mezzo a una strada e poi incendiate. Questo lavoro ha avuto un unico spettatore: la persona che doveva guidare il camion fino alla location scelta per la performance. Nella mia visione, l’opera è fatta per essere fruita in un preciso momento.

Richard Wright, No title, 2015, work in progress alla Galleria Gagosian Roma. Photo Matteo D'Eletto M3 Studio

L’aspetto artigianale è molto importante nella sua ricerca. Per le sue opere in vetro, collabora da diversi anni con lo York Glaziers Trust, uno dei laboratori di restauro e conservazione di vetrate artistiche più antico d’Europa.

Sono molto interessato all’aspetto manuale del lavoro; credo che tutto ciò che sia fatto a mano abbia una memoria propria e possa – per così dire – intrappolare il tempo. L’artigianalità si collega anche all’importanza del disegno; penso che l’elemento chiave, specialmente in queste tre vetrate, sia proprio l’aspetto strutturale. Lavorare con un materiale come il vetro incoraggia a seguire regole precise nel disegno per rendere l’opera solida e stabile, avvicinandomi a problematiche architettoniche.

Richard Wright, <i>No title</i>, 2015, work in progress alla Galleria Gagosian Roma. Photo Matteo D'Eletto M3 Studio
Richard Wright, No title, 2015, work in progress alla Galleria Gagosian Roma. Photo Matteo D'Eletto M3 Studio

Il suo lavoro in vetro sembra anche avere tangenze con la musica e la matematica. Come in un algoritmo o in uno spartito, la sequenza dei singoli pezzi segue uno schema estremamente preciso.

La musica m’interessa molto e io stesso suono da diversi anni. Di alcuni strumenti, come il pianoforte, ad affascinarmi è l’abilità di assorbire la performance dell’artista trasformandosi da macchina in organismo. Penso che lo stesso accada al materiale nel processo di realizzazione di un’opera d’arte: assorbe la performance dell’artista. Anche la matematica rientra tra i miei interessi, ma non sono uno studioso del campo, ho un rapporto piuttosto semplice ed empirico con questa materia. Quando mi trovo di fronte a un palazzo antico, cerco sempre di capire come i carpentieri abbiano risolto molte delle problematiche strutturali.

Richard Wright, <i>No title</i>, 2015, work in progress alla Galleria Gagosian Roma. Photo Matteo D'Eletto M3 Studio
Richard Wright, No title, 2015, alla Galleria Gagosian Roma, dettaglio. Photo Matteo D’Eletto M3 Studio. Image courtesy Gagosian Gallery and the artist

Per realizzare i suoi lavori si avvale dell’uso del computer?

Non utilizzo il computer né nella fase creativa né per costruire le strutture o le sequenze, il lavoro è rigorosamente manuale. Lo uso solo nella fase finale, come farebbe un architetto, per trasportare il disegno originale in una versione leggibile da tutti i miei collaboratori.

Essendo lei originario di Glasgow, sente un collegamento tra il suo lavoro e la tradizione della scuola di Mackintosh?

Sicuramente c’è stata un’influenza, non sul piano delle direttive estetiche che il movimento arts and crafts aveva delineato, ma su quello teorico e politico che esaltava la dignità del creare attraverso il lavoro quotidiano e l’artigianalità. Mackintosh m’interessa; è certamente un grande architetto, ho frequentato la Glasgow School of Art progettata da lui e non c’è dubbio che quella struttura imponente abbia avuto un impatto forte su di me. Nonostante la mia prima passione sia stata la pittura, l’architettura mi ha sempre influenzato molto e continua a farlo.

Richard Wright, <i>No title</i>, 2015, vetro piombato, 460 × 174 cm. Photo Matteo D'Eletto M3 Studio
Richard Wright, vista della mostra alla Galleria Gagosian Roma. L’apertura della mostra è stata prolungata fino al 18 dicembre 2015. Photo Matteo D’Eletto M3 Studio. Image courtesy Gagosian Gallery and the artist

La foglia d’oro e il vetro piombato sono tecniche che ci riportano all’arte medievale, in Europa ma anche nel mondo arabo. Che valore hanno questi riferimenti culturali nel suo lavoro?

Storicamente sono sempre stato interessato dal periodo di contaminazione tra Oriente e Occidente in cui negli edifici europei si cominciavano a vedere dei dettagli di chiara influenza islamica. Sicuramente, dunque, il Medioevo è per me un periodo di grande interesse, in particolare la pittura. Amo molto l’opera dei fratelli Lorenzetti di Siena dove la geometria e la pulizia del disegno si fondono con uno sguardo mistico.

Tradizionalmente, le finestre di vetro piombato venivano usate soprattutto nelle chiese, così come la foglia d’oro in pitture e decorazioni a soggetto sacro. Il suo lavoro è in qualche modo collegato a una riflessione spirituale?

Piuttosto che spirituale preferisco usare il termine immateriale, riallacciandomi al concetto che alcuni materiali ricordano o contengono il tempo, anche se il mio lavoro non ha nessuna componente religiosa diretta. M’interessa, invece, l’elemento di sacrificio e di devozione che è presente nel dedicare il tempo a qualcosa che come l’arte non è palesemente necessaria, ma che serve a nutrire lo spirito.

Richard Wright, <i>No title</i>, 2015, vetro piombato, 460 × 174 cm
Richard Wright, No title, 2015, vetro piombato, 460 × 174 cm. Photo Matteo D’Eletto M3 Studio. Image courtesy Gagosian Gallery and the artist

Molti importanti capolavori del passato sono stati realizzati in vetro piombato: la Cappella del Rosario decorata da Matisse a Vence, o l’iconico rosone di Notre Dame a Parigi. Qual è il suo rapporto con la tradizione?

Di grande ammirazione. Quando osservo questi esempi rimango sempre sbalordito: le soluzioni trovate e la risoluzione di dinamiche complesse sono continue fonti d’ispirazione. In generale, il mio interesse per l’architettura del passato non si limita all’osservazione delle forme, ma anche a quella dei piccoli gesti di chi questi spazi li vive, come un’anziana signora che entra in una cappella e lascia dei fiori. Le azioni cambiano lo spazio, le azioni possono entrare nella memoria della situazione, questa possibilità è per me molto stimolante.

Attualmente, sta lavorando a un’importante opera commissionata dalla Crossrail di Londra, che coinvolgerà la stazione di Tottenham Court Road. Cosa può dirci in proposito?

Si tratta di un grande spazio pubblico attraversato ogni giorno da migliaia di persone, un luogo di transizione dove il mio intervento, che sarà collocato sul soffitto, sarà osservato dalle persone che sono in movimento: salendo una scala mobile o entrando in un ascensore. Uno dei problemi dell’arte di oggi è quello di coinvolgere un pubblico non propriamente del settore, questa è per me la sfida più grande del progetto.

© riproduzione riservata

Ultimi articoli di Arte

Altri articoli di Domus

Leggi tutto
China Germany India Mexico, Central America and Caribbean Sri Lanka Korea icon-camera close icon-comments icon-down-sm icon-download icon-facebook icon-heart icon-heart icon-next-sm icon-next icon-pinterest icon-play icon-plus icon-prev-sm icon-prev Search icon-twitter icon-views icon-instagram