Cory Arcangel

La Sala dei Giuristi dello storico Palazzo della Ragione di Bergamo ospita eccezionalmente una mostra dalla grande carica, promossa dalla GAMeC e fortemente voluta dal curatore Stefano Raimondi, che ci conduce a passi felpati nell’elettrizzante mondo cromato di Cory Arcangel.

Cory Arcangel
“Non troverai mai arcobaleni se guardi in basso”, diceva Charlie Chaplin. Come a dire: alza la testa, metti le ali. Pure, a volte capita, con buona pace di Charlot, di trovarsi un arcobaleno proprio sotto i piedi, piombato sulla terra chissà come da una toppa di cielo, con tutti i suoi colori al seguito.
Cory Arcangel
In apertura: Cory Arcangel, Photoshop CS: 90 by 90 centimeters, 300 DPI, RGB, square pixels, default gradient "Russell's Rainbow", mousedown y=6550 x=7850, mouseup y=6550 x=5850, 2015. Seta, cm 90 x 90. Edizione limitata (100 esemplari). Photo Francesca Ferrandi. © Cory Arcangel. Courtesy Cory Arcangel, GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, Lisson Gallery e Team Gallery. Sopra: Cory Arcangel, “This is all so crazy, everybody seems so famous”, 2015. Vista della mostra. Bergamo, Palazzo della Ragione / Sala dei Giuristi. Photo Roberto Marossi. © Cory Arcangel. Courtesy Cory Arcangel e GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo
In questi mesi, un buon posto per trovarlo, almeno fino a giugno inoltrato, è la Sala dei Giuristi dello storico Palazzo della Ragione di Bergamo, che eccezionalmente ospita una mostra dalla grande carica, promossa dalla GAMeC e fortemente voluta dal curatore Stefano Raimondi, che ci conduce a passi felpati nell’elettrizzante mondo cromato di Cory Arcangel.
Cory Arcangel
Cory Arcangel, “This is all so crazy, everybody seems so famous”, 2015. Vista della mostra. Bergamo, Palazzo della Ragione / Sala dei Giuristi. Photo Roberto Marossi. © Cory Arcangel. Courtesy Cory Arcangel e GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo
L’artista di Buffalo si è spinto su su fino al punto più alto del capoluogo lombardo, nel cuore della Città Alta, per riversare, sul pavimento in cotto del palazzo comunale più vecchio d’Italia, tra muri spessi costellati di affreschi ed epigrafi medievali, proprio l’immagine depositata di un arcobaleno – verrebbe da dire, fatto apposta per essere calpestato – in altre parole, un tappeto, se non fosse che l’appellativo di tappeto suoni troppo modesto per un’opera tanto imponente: duecento metri quadrati di tessuto sintetico meravigliosamente striato con tutti i colori dell’iride, o anche più.
Cory Arcangel
Cory Arcangel, “This is all so crazy, everybody seems so famous”, 2015. Vista della mostra. Bergamo, Palazzo della Ragione / Sala dei Giuristi. Photo Roberto Marossi. © Cory Arcangel. Courtesy Cory Arcangel e GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo
Un’opera attorno alla quale gravitano, come sospinti da una forza centrifuga che li spiattella alle pareti, tutti gli altri lavori della mostra, che agguanta, e anzi fa completamente levitare l’architettura portante del palazzo, con tutti quelli dentro, e il cui titolo altrettanto esteso (Photoshop CS: 1060 by 2744 centimeters, 10 DPC, RGB, square pixels, default gradient “Spectrum”, mousedown y=1800 x=6800, mouseup y=8800 x=20180) è una filza di codici sorgente Photoshop pronti per essere “liquidati” nel cyberspazio.
Cory Arcangel
Cory Arcangel, “This is all so crazy, everybody seems so famous”, 2015. Vista della mostra. Bergamo, Palazzo della Ragione / Sala dei Giuristi. Photo Roberto Marossi. © Cory Arcangel. Courtesy Cory Arcangel e GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo
Che l’arte di Cory Arcangel consista in un continuo occhieggiare, in modo più o meno esplicito, alla società “liquida”, digitalizzata e pop in cui siamo immersi è fuor di dubbio: prova ne è la sua relazione appassionatamente impegnata e impegnativa con i media (nuovi e vecchi) o le sue infatuazioni per appariscenti e smargiassi personaggi di crassa finzione: dai supereroi dei videogiochi alla capricciosa stellina del jet-set al gran visir della politica – non da ultimo, il suo incredibile talento da arruffapopolo che, soprattutto sui social network, si scatena come un puledro a primavera.
Cory Arcangel
Cory Arcangel, “This is all so crazy, everybody seems so famous”, 2015. Vista della mostra. Bergamo, Palazzo della Ragione / Sala dei Giuristi. Photo Roberto Marossi. © Cory Arcangel. Courtesy Cory Arcangel e GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo
L’artista, che dà tutta l’aria di stare ancora lavorando col suo sé giovane, sembra intercettare tutto ciò che fa tendenza o colore, per poi restituirlo sotto forma d’installazioni dall’estetica decisamente accattivante. Gli adolescenti, in particolare, perennemente connessi e dalla stilizzata personalità, lo “mandano in sollucchero”, come direbbe Holden Caufield, tanto da farne i protagonisti assoluti di alcuni lavori recenti. Esempio ne è questa esposizione e l’opera Screen-Agers, Tall Boys, and Whales (2011-2015), dove i giovinetti dell’upper-class di New York vengono raffigurati in pochi lapidari tratti come autistici galleggianti da piscina addobbati di smartphone, auricolari, braccialetti e imbacuccati in un abbigliamento per il breve periodo: leggins, jeans strappati, polsini in spugna, berretti di lana, calzini da jogging, tutti rigorosamente griffati (fra i brand anche “Arcangel Surfware”). Il catalogo, pure, ha lo stesso piglio di una stucchevole rivista per teenager dove tutti si sforzano di apparire fichissimi.
Cory Arcangel
Cory Arcangel, “This is all so crazy, everybody seems so famous”, 2015. Vista della mostra. Bergamo, Palazzo della Ragione / Sala dei Giuristi. Photo Roberto Marossi. © Cory Arcangel. Courtesy Cory Arcangel e GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo
Allo stesso modo, la notorietà e il suo potere frivolo paiono avere molta parte in questa mostra, il cui titolo, “This is all so crazy, everybody seems so famous” (una citazione dalla hit di Miley Cyrus “Party in the USA”), inquadra nella giusta cornice due riconoscibilissime icone dell’altro ieri. Riflesse come Narciso sulla superficie ondosa di due monitor a schermo piatto, nella serie Lakes (dal filtro Java “lago”, 2011-2015) le fotogeniche, efficienti e antisettiche Britney e Hillary (il cognome è superfluo) nuotano indisturbate nei loro “15 minuti”, con un sorriso trionfale, come a dire “io sorriderò per sempre”, mentre un IPod acceso versa nell’aria la musica country-pop di Shania Twain. “Fame is the name of the game”.
Ciò detto, le opere tirate a lucido di Cory Arcangel lasciano pure indovinare, sotto il belletto che le impomata, una diversa gamma di colori, un sottinteso che ricorda quanto ci sia di vacuo e vulnerabile nella società del sensazionalismo più disinibito a cui la promozione dei titoli tecnologici ci ha abituati, per cui tutto sembra statico se non raddoppia in diciotto mesi. Oggi che la sacra fiaccola viene consegnata di generazione in generazione alla velocità della luce – sembra dirci l’artista – nulla diviene più obsoleto e si esaurisce più rapidamente della tecnologia d’avanguardia, dell’ultima moda o del fenomeno mediatico.
Cory Arcangel
Cory Arcangel, “This is all so crazy, everybody seems so famous”, 2015. Vista della mostra. Bergamo, Palazzo della Ragione / Sala dei Giuristi. Photo Roberto Marossi. © Cory Arcangel. Courtesy Cory Arcangel e GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo
Così, le hit nuove di zecca pompate nelle cuffie dei modaioli “adolescenti-galleggianti” che cingono la Sala dei Giuristi, non manterranno il passo a lungo. La loro ora sta per suonare. E pure fa sorridere leggere sul giornale di oggi che la candidata alle prossime elezioni presidenziali americane, “Hillary Clinton pranza in un fast food e nessuno la riconosce”. La tecnologia stessa, strumento espressivo privilegiato dell’artista, è forse il simbolo più evidente di questo processo di erosione precoce. La tecnologia, scrive Bruce Sterling “non scivola silenziosamente nell’aerodinamico mondo del domani, ma avanza a sobbalzi, zoppicando, tutta stampelle e trampoli, proprio come il suo antico protettore, il dio Efesto”. Facile farle lo sgambetto (Arcangel fa il suo debutto artistico proprio come hacker).
Persino il World Wide Web, entrato da poco nella maggiore età, inizia a imputridire, infettato di file derelitti e abbandonati, di vuoti siti web di estinte imprese dot.com (in questo senso, Sorry I Haven’t Posted, zeppa di scuse di blogger che non riescono a star dietro ai loro siti ristagnanti, resta una delle opere più ispirate dell’artista). Insomma, Cory Arcangel sguazza sì nei liquami della cibernetica e posticcia società del consumo più sfrenato ma, come papà Warhol (che usa citare spesso, seppure il suo lavoro pare essere più vicino a un certo pop inglese, più critico e cinico) non ne subisce l’incantesimo, forse solo il fascino, facendosi al contrario paladino dell’umido, dell’organico (il calzino bianco abbinato all’elegante scarpa Gucci dell’opera Asshole, 2013, in mostra a Bergamo, è un buon esempio). Come a dire, sono più interessanti i nodi delle connessioni. Più che “surfare”, tenersi a galla.
Cory Arcangel
Cory Arcangel, “This is all so crazy, everybody seems so famous”, 2015. Vista della mostra. Bergamo, Palazzo della Ragione / Sala dei Giuristi. Photo Roberto Marossi. © Cory Arcangel. Courtesy Cory Arcangel e GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo
Questo è particolarmente evidente in alcune opere d’esordio dell’artista, che questa mostra ha il merito di esporre in Italia per la prima volta – le famose cartucce contraffatte di Super Mario Bros – dove un meccanismo di rimozione ha agito sul noto videogioco della Nintendo, ormai sepolto nel cimitero di elefanti di videogames. Collocato proprio sotto l’affresco di un San Giorgio sprovvisto di drago, il video Totally Fucked (2003) mostra un più modesto eroe degli anni Novanta, il baffuto idraulico Super Mario, allo stesso modo sfornito di qualunque appiglio o rampino che possa traghettarlo, di livello in livello, al nascondiglio della principessa Peach. Sospeso in stallo sopra un grande punto interrogativo, l’inerme Super Mario diventa così il simbolo di una crisi d’identità, nel suo essere destinato all’attesa, all’incertezza, all’impasse, non potendo fare altro che voltarsi di continuo, a destra e a sinistra, come un autostoppista in cerca di un passaggio che mai arriverà.
A muovere le stesse aspettative, puntualmente disattese, è il video Super Mario Clouds (2002), dove l’artista ha asportato, con chirurgica precisione, un bit dopo l’altro, tutti gli elementi del gioco – dalle pedane di mattoni alle monete d’orate ai funghetti – ad eccezione delle familiari e pixelatissime “clouds”. Ci si ritrova così come imbambolati, di fronte a un monitor dell’anteguerra, con la testa fra le nuvole, a contemplare un cielo ancorato a una metafisica fissità, con la segreta speranza di avvistare, da un momento all’altro, un movimento qualunque, un segno, o anche, magari, un arcobaleno.
© riproduzione riservata

fino al 28 giugno 2015
CORY ARCANGEL
This is all so crazy, everybody seems so famous

GAmeC

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