An ingenious world

Nella recente mostra alla galleria Parasol unit, l'artista iraniano Siah Armajani ha riproposto molte delle sue sculture che mettono in discussione la grandiloquenza e l’egocentrismo di tanta architettura.

La prima sensazione che si ha, di fronte a un’opera di Siah Armajani, è quella di una profonda umanità e di una vitale fede nella democrazia.
La mostra personale “An Ingenious World”, in corso presso Parasol Unit, ribadisce queste impressioni. Da sempre Armajani intende l’arte non solo come rigorosa operazione linguistica, ma anche come forma di conoscenza, come scommessa progettuale e come possibilità, per l’artista, di partecipare alla realtà contribuendo a costruirla. Per questo il rapporto con l’architettura e il tema dell’abitare sono, da decenni, al centro della sua ricerca. In questo senso il suo lavoro può essere considerato seminale.
Siah Armajani
Siah Armajani, Alfred Whitehead Reading Room, 2013. Legno, plexiglas, ottone, vetro, 244 x 366 x 488 cm. Commissionato dalla Parasol unit foundation for contemporary art in occasione della mostra di Siah Armajani. Photo Stephen White
Armajani lascia il paese d’origine, l’Iran, per Minneapolis nel 1960. La sua attività artistica, in quel periodo, è fortemente influenzata dalla cultura persiana sia nelle tecniche utilizzate, sia nel linguaggio adottato. Le sue opere, soprattutto pittura su tela e disegni su carta, vedono un abbinamento d’immagini e testi; i riferimenti alla miniatura, al libro, alla poesia e alla letteratura sono espliciti. Se in questa fase l’artista esplora anzitutto le possibilità inerenti alla pittura, in molte delle sue opere è già presente una grafia minuta, tracciata a mano: memoria della tradizione calligrafica, ma anche evocazione di narrative personali.
Siah Armajani
Vista delle recente personale “An Ingenious World” alla galleria Parasol unit di Londra. Photo Stephen White

In un’opera di questo periodo, Shirt, esposta nell’ambito della mostra, la tela prende la forma di un abito percorso da un testo fitto, tracciato a mano. A essere così evocato è il corpo: il suo bisogno di protezione, ma soprattutto la sua forma e le proprietà espressive che ne fanno veicolo di soggettività.

L’arrivo negli Stati Uniti e l’interesse per l’architettura e per la filosofia occidentale, per il pensiero di John Dewey in particolare, generano nell’artista una rapida evoluzione.

A partire dal 1968 Armajani comincia a elaborare il tema dell’abitare in interno e in esterno e realizza una serie di modelli di situazioni abitative, e di luoghi d’incontro, di aggregazione, come giardini e gazebi; e soprattutto di ponti. In questi ultimi l’artista vede strutture funzionali, ma di grande valore metaforico. Se il ponte, con la sua capacità di colmare una distanza, costituisce sempre una grande metafora, per Armajani i ponti sono vere e proprie utopie in costruzione; strutture complesse in cui forma, senso e funzione sono inscindibili.

Nel 1968 uno dei suoi primi progetti di ponte viene realizzato a White Bear Lake, nel Minnesota; si tratta di First Bridge, una struttura coperta lunga 38 metri, alta 305 cm all’ingresso, 120 cm all’uscita.

Siah Armajani
Siah Armajani, NOAA Bridge National Oceanic Atmospheric Administration Seattle, 1982. legno verniciato, legno, 23,5 x 30,5 x 87 cm. Courtesy of Rudolf Zwirner

Per il resto, fino al 1980, le sue visioni si concretizzano per lo più in modelli. Si tratta di stanze, capsule abitabili, microcase concepite ognuna per risolvere una specifica esigenza; o di elementi di arredo urbano come panche e sedute. Procedendo per variazioni sui temi di base, l’artista interpreta, sviluppa possibilità diverse che si offrono nel disegno dei muri, dei pavimenti e dei soffitti, degli ingressi e delle uscite. Proprio la scala ridotta gli consente di sperimentare liberamente. Realizzati con i materiali più svariati, dai ritagli di cartone riciclato a pezzetti di legno di diversa provenienza, i suoi modelli prefigurano un abitare sobrio, intimo ma calibrato su desideri e necessità; razionale, ma capace di rispettare la soggettività. Fanno emergere le esigenze più profonde dell’individuo e della collettività e, lungi dall’identificarsi con la sola finalità funzionale, parlano di equilibrio e di armonia; né mancano di dare forma sensibile alla riflessione intorno al rapporto tra uomo e natura.

Con le sue sculture Armajani mette così in discussione la grandiloquenza e l’egocentrismo di tanta architettura.

Siah Armajani
Siah Armajani, Dictionary for Building The Garden Gate, 1982–83. Legno, vernice, libro, 241,5 x 82 x 188 cm. Collezione Walker Art Center, Minneapolis. Acquisito con l'aiuto dei fondi di William D. e Stanley Gregory e Art Center Acquisition Fund, 1983
Durante gli anni Settanta i suoi modelli convergono nel Dictionary For Building. La mostra in corso ne propone un ampio numero, esposti su un grande tavolo in una sala di forte impatto emotivo.
A partire dagli anni Ottanta l’artista realizza anche pezzi a scala reale. In ognuna di queste sculture Siah Armajani profonde attenzione progettuale e rigore costruttivo. E vi condensa funzioni, bisogni, aspettative; ma evoca anche sensazioni o memorie di esperienze, di sentimenti o emozioni. Si tratta di gazebi, sale di lettura, giardini, e di abitacoli versatili, di case formattate ma capaci di rispondere alle necessità fondamentali per la sopravvivenza fisica e per la vita dello spirito; elementi infrastutturali come panchine su ruote, a dire una vita mobile in cui ci si può sentire a casa ovunque, perché casa non è legata al luogo fisico ma è qualcosa che si porta dentro di sé; poggi da cui contemplare l’intorno o sedili per i momenti di distensione. Molte delle sue strutture sono dotate di leggìi, perché il libro è preziosa cinghia di trasmissione culturale, veicolo di conoscenza attraverso il tempo e lo spazio. E i colori forti che Armajani tende a usare sono i colori del vissuto.
Vista delle recente personale “An Ingenious World” alla galleria Parasol unit di Londra. Photo Stephen White

Ognuno di questi progetti manifesta così un alto valore simbolico; ma offrendosi come luogo d’incontro e area comune genera al contempo una sensazione di vitalità e d’inclusione.

Più avanti, sotto la pressione degli eventi politici, l’artista sposterà l’attenzione in una nuova direzione. Materiali freddi come il metallo e il vetro sostituiranno il più caldo e domestico legno, le forme spigolose di un’architettura della costrizione prenderanno il posto delle precedenti e genereranno un profondo cambiamento di tono. Opere come Cellar, o Fallujah sottolineeranno una condizione di spaesamento, di controllo, di claustrofobico esilio o di prigionia. L’abitare può diventare pena e punizione.

Vista delle recente personale “An Ingenious World” alla galleria Parasol unit di Londra. Photo Stephen White
Ma l’artista procede nel percorso. Dai gazebo dedicati a figure di anarchici, come il Gazebo for Four Anarchists: Mary Nardini, Irma Sanchini, William James Sidis and Carlo Valdinocci, 1993, alla Room for the First Anarchist, Henry David Thoreau, del 1994, a una serie recente di opere intitolata Tombs, tombe, dedicate ognuna a una figura di filosofo, artista, scrittore, l’insieme del lavoro si configura oggi come forma di meditazione, ma anche come un omaggio al pensiero in quanto forma di emancipazione e alla poesia come risposta possibile ai bisogni umani. Il senso dell’impegno e del valore pubblico dell’arte non è venuto meno. Si è anzi fatto sempre più intenso.
Vista delle recente personale “An Ingenious World” alla galleria Parasol unit di Londra. Photo Stephen White

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