Mike Kelley allo Stedelijk

Tra i più influenti artisti della propria generazione, Mike Kelley s’innerva nella cultura pop e nell'avanguardia in modo così trasversale e di vasta portata che viaggiare attraverso i 35 anni della sua carriera equivale a visitare una metropoli, come Londra o New York.

Mike Kelley

La mostra di Mike Kelley allo Stedelijk Museum di Amsterdam non doveva essere un necrologio: era stata concepita semplicemente come la più grande retrospettiva mai fatta sul lavoro dell'artista americano. Quando, poi, Kelley si è ucciso, nel gennaio del 2012, la transizione è stata inevitabile. Una retrospettiva è, per definizione, un’occasione per tracciare il bilancio dell’opera di qualcuno, ma – essendo la più ampia e la prima dopo la morte dell'artista – quella dello Stedelijk aveva un'urgenza in più. Sembra che anche il pubblico l'abbia recepito: prossima a un tour itinerante che la porterà prima al Centre Pompidou di Parigi per poi volare al MoMA PS1 di New York e al MOCA di Los Angeles, per il momento la mostra ha già attirato 200.000 visitatori.
Mike Kelley
"Mike Kelley", vista della mostra allo Stedelijk Museum, Amsterdam

Trattandosi di uno dei più influenti artisti della propria generazione, la rete di tentacoli che da Mike Kelley s’innerva nella cultura pop e nell'avanguardia è così trasversale e di vasta portata che viaggiare attraverso i 35 anni della sua carriera è come visitare una metropoli, un posto dove spazio e tempo si coagulano in una dimensione frattale di eterna possibilità. Le duecento e più opere che hanno affollato il museo olandese recentemente rinnovato comprendono, infatti, ogni medium immaginabile: disegno, scultura, installazione, video, pittura, collage – persino la performance Pansy Metal/Clovered Hoof (1989) è stata rifatta al vernissage, grazie alla coreografa e collaboratrice originale Anita Pace. Al di là dell’eterogeneità formale del tutto, però, la ribellione e le urgenze innovatrici di Kelley hanno fatto da leitmotiv e dato coesione all'esperienza.
Mike Kelley
"Mike Kelley", vista della mostra allo Stedelijk Museum, Amsterdam


Nato negli anni Cinquanta da un responsabile della manutenzione scolastica e una cuoca aziendale in un sobborgo di Detroit, Mike Kelley non fu per niente incoraggiato verso le proprie inclinazioni artistiche. Al contrario: da pecora nera della famiglia, la fuga dalla periferia diventò imperativa e il giovane Mike iniziò a essere affascinato dal fallimento e dalla ribellione più radicale. Ispirato da Aldous Huxley e William Burroughs, iniziò a bazzicare giri punk e anarchici, partecipando alla scena musicale del Michigan con i Destroy All Monsters, noise band che vantava anche l'ex chitarrista degli Stooges Ron Asheton (il legame dell'artista con musica e sottoculture relative è continuato: nel 1992 Kelley ha disegnato la cover per l'album Dirty dei Sonic Youth ed è poi stato parte del Poetics Project a Documenta X, con Tony Oursler).

Mike Kelley
"Mike Kelley", vista della mostra allo Stedelijk Museum, Amsterdam

Negli anni Settanta, le desolate fabbriche di Detroit non avevano ancora quell'appeal romantico che oggi ispira così tanto gli artisti, erano deprimenti e basta. Per questa e altre ragioni, Kelley se ne fuggì a Los Angeles, dove sarebbe diventato alla fine un vero e proprio landmark culturale. Dopo aver studiato al CalArts con gente del calibro di John Baldessari e Laurie Anderson, una volta finiti gli studi (invece di migrare a New York come tanti altri aspiranti artisti), Mike rimase in città e stabilì un rapporto particolare sia con la Città degli Angeli sia con la scena locale, quella di Chris Burden e soci.
Mike Kelley
"Mike Kelley", vista della mostra allo Stedelijk Museum, Amsterdam

In termini estetici e cronologici, la mostra allo Stedelijk è molto efficace nel collegare il periodo universitario di Kelley e il suo interesse nell'artigianato con il suo lavoro più recente con la galleria Gagosian, esibito appropriatamente al piano superiore. Come in un'ascesa metaforica dalle profondità dell'underground all'etereo establishment dell'arte, che l'artista odiava, il visitatore veniva trasportato tramite scala mobile dalle viscere del museo – tappezzate con i caratteristici peluche a uncinetto di Kelley e con i suoi lavori più fumettosi – fino all'oscura sommità – illuminata solo dagli schermi delle sue installazioni successive, più tecnologiche. Un viaggio lungo e per certi versi disorientante, come detto sopra, ma anche se l'uso da parte di Kelley di un medium come il fumetto (per fare un esempio) diventava più raffinato andando su – i vecchi Garbage Drawings (1988) a sfondo vomito e le collezioni di rivistine zozze venivano sostituite da riflessioni sulle utopie urbane nella serie Kandor (2007), che presenta la città natale di Superman in tutta la sua gloriosa multiformità – la stessa anarchica giocosità e criticità mediatica echeggiava durante tutta la visita.
Mike Kelley
"Mike Kelley", vista della mostra allo Stedelijk Museum, Amsterdam

L'interesse di Kelley per i materiali che usava è una chiave della sua poetica fin dagli inizi: le casette per uccelli realizzate ai tempi del college (voleva fare qualcosa di “brutto, molto brutto”) erano una riflessione sul pathos che investe certi oggetti e come questo diventi disturbante in un contesto artistico – un concetto meglio espresso nella sua nota installazione del 1987 More Love Hours That Can Ever Be Repaid, una trapunta di animali di peluche fatti a mano e cuciti insieme in un'affollata e inquietante (quanto codificata) morbidezza. Inevitabilmente interpretato come un nostalgico riferimento all'infanzia o un inquietante accenno alla pedofilia, i famosi pupazzi di Kelley erano inizialmente pensati come una riflessione critica sulla politica del regalo. Le domande sottese al titolo dell'opera – Quanto vale un oggetto realizzato in maniera così certosina? Quanto è davvero vincolante questo contratto di amore? – suggeriscono una curiosità circa i rapporti di potere “soft” che si sviluppa, in modi formalmente e concettualmente diversi, nell'arco di tutta la carriera dell'artista, spesso intersecandosi con temi psicologici come la memoria repressa e la storia personale. In questo senso, un esempio cardine è Educational Complex (1995): modello di architettura che rappresenta un misto mnemonico di tutte le scuole mai frequentate da Mike, l'opera apre un'investigazione spaziale che si evolverà fino dopo la morte di Kelley (l'ultima fase del suo progetto Mobile Homestead – una replica a grandezza naturale della casa di quand'era piccolo, da estendere in futuro con segrete sotterranee – ha ricevuto da poco un finanziamento dalla Robert Rauschenberg Foundation).
Mike Kelley
"Mike Kelley", vista della mostra allo Stedelijk Museum, Amsterdam


Oltre alle opere già nominate, degna di nota è senz'altro Pay For Your Pleasure (1988), un intero corridoio rivestito su entrambi i lati da ritratti d’illustri uomini di genio, con relative citazioni riguardo al rapporto tra arte e crimine. Alla fine, un piccolo quadro naïf dipinto da un condannato è discretamente esposto su un pilastro. La concezione di Kelley dell'artista come fallito, come outsider criminale e suicida, era in forte contrasto con l'ossessione mediatica che oggi circonda la figura. Programmi come il talent show Work of Art di Bravo TV sono uno degli esempi più attuali della convergenza di arte e intrattenimento, qualcosa che l'artista temeva terribilmente. Come espresso in un'intervista disponibile su YouTube, Kelley considerava i disegni psichedelici di oggi una sorta di “fricchettonismo da centro commerciale” e si lamentava della mancanza di disperazione negli hipster di oggi, categoria che l'artista ha senza dubbio influenzato grandemente, quantomeno a livello estetico. Se l'arte non ha più bisogno di spiegazione, siccome il mercato giustifica tutto, l'unica funzione sociale dell'arte è sputtanare tutto. “La politica ha uno scopo, riguarda le relazioni di potere. L'arte non ce l'ha, è sputtanamento fine a se stesso. Il suo scopo è non avere scopo.” Nicola Bozzi (@schizocities)

 

 

Mike Kelley
"Mike Kelley", vista della mostra allo Stedelijk Museum, Amsterdam
Mike Kelley
"Mike Kelley", vista della mostra allo Stedelijk Museum, Amsterdam
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"Mike Kelley", vista della mostra allo Stedelijk Museum, Amsterdam

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