Benché l'ultima installazione di Ikeda possa apparire poco più che un inventivo spot pubblicitario per la Honda, l'artista ha alle spalle un intero catalogo di opere che trasformano insiemi astratti di dati complessi in stupende esperienze multimediali, e perciò questa specifica collaborazione è molto meno improvvisata di quelle di certi altri gruppi di designer blasonati di recente memoria.
Ovviamente Ikeda lavora di solito con grandi insiemi di dati tratti da varie fonti, dal sistema solare come dall'Human Genome Project.
Perciò è interessante vederlo iniziare a lavorare con i dati relativi a un singolo oggetto particolare. L'esperienza vale di meno perché l'insieme di dati è relativo alla Honda Civic e non al sistema solare? Forse sì e forse no. Siamo sempre allo stesso, livello di eccellenza tecnica impeccabilmente alto che ci si attende da Ikeda: le immagini sono nitide e precise, e il suono è brillante come un diamante, e riecheggia in tutto il vecchio ambiente industriale in modo piacevolmente vivace. Ma, con soli 12 minuti di durata, data.anatomy [civic] è molto meno ambiziosa di altre installazioni che ho visto. E pare anche un po' troppo manierata. In datamatics [ver 2.0], che ho visto Ikeda presentare dal vivo l'anno scorso al Barbican, ci sono onde sonore dell'intensità di uno tsunami che bombardano i sensi. È un'esperienza metafisica di trasformazione e di esaltazione totale, un'esperienza che in qualche modo a data.anatomy [civic] nella sede del MUMA (Kraftwerk) di Berlino viene a mancare.
Accompagnato da laconici, schioccanti suoni elettronici che assomigliano al dialogo a botta e risposta del battito delle mani andaluso, il punto di vista di Ikeda sul progetto informatico, più astratto, è un modo sorprendentemente creativo di guardare alle macchine.