Chantal Akerman: Too far too close

Raccogliendo quattro decenni di carriera della filmmaker belga, la mostra al MuHKA di Anversa apre un panorama su un corpus di opere dai molteplici aspetti: tra documentario e narrativa, tra cinema sperimentale e a soggetto.

Too Far, Too Close è un'importante mostra personale del Museo d'Arte contemporanea di Anversa che illustra l'opera della celebre filmmaker belga Chantal Ackerman. Le opere esposte abbracciano quattro decenni di carriera dell'artista, attiva a Parigi, compresi i suoi primi lavori sperimentali e le sue installazioni artistiche basate su film. Too Far, Too Close fa da guida all'evoluzione della sua opera e apre un panorama su un corpus di opere dai molteplici aspetti.

Le opere di Chantal Akerman, che giocano sulla sottile linea di demarcazione tra documentario e narrativa oltre che su quella tra cinema sperimentale e a soggetto, manipolano magistralmente il concetto di tempo filmico: il senso dell'esperienza e della testimonianza del trascorrere del tempo. Tra le sue opere più note, qui per altro non esposta, c'è Jeanne Dielman, 23 Quai de Commerce, 1080 Bruxelles (1975), ampia disamina di tre giorni della – per lo più monotona – vita di una 'casalinga' nell'appartamento in cui unisce ai lavori domestici le occupazioni materne e il lavoro come prostituta part-time.

Akerman mescola temi come la propria storia personale e i problemi di genere con l'estetica quotidiana, le questioni di linguaggio e l'importanza di ciò che sta all'interno (cioè dentro l'appartamento, nascosto o implicito), in contrapposizione con ciò che sta all'esterno oppure è esternamente visibile. L'architettura dà struttura ai film di Akerman: dalle stanze d'albergo agli appartamenti, ai corridoi, alle stazioni ferroviarie e ad altri spazi di passaggio. È una caratteristica presente fin dai tempo del suo primissimo film, Saute ma ville (1968), che si apre con una carrellata sull'esterno di alcuni palazzi d'appartamenti. L'uso di architetture anonime, prive di caratteristiche particolari, sottolinea l'importanza del quotidiano nella sua opera.
In apertura: Chantal Akerman. Qui sopra: Chantal Akerman, <i>D\'Est</i>, 1993, frame del video
In apertura: Chantal Akerman. Qui sopra: Chantal Akerman, D\'Est, 1993, frame del video
I suoi personaggi restano per lo più senza sviluppo e della loro personalità non viene fornita alcuna chiave di interpretazione. Lo spettatore può solo immaginare l'identità dei personaggi da alcuni indizi colti al volo nelle loro abitudini e nei loro gesti personali, momenti in cui li si vede danzare, cucinare, mangiare, fare le pulizie, cantare e leggere o scrivere lettere. Lo spettatore diventa parte dell'istante, ma non può che osservare. Non c'è un singolo filone narrativo, ma molti. Tutto è aperto alla percezione soggettiva e all'interpretazione dello spettatore. Certi personaggi compaiono solo sotto forma di voce, come nel caso di News from home (1977), dove la voce legge delle lettere speditele dalla madre che è ritornata in Belgio. Spesso dalle riprese ambientate negli spazi pubblici si irradia una specie di solitudine, qualcosa che pare emanare dagli interni o dalle personalità. Nell'inquadratura delle ambientazioni gli spazi sono fondamentali. Nei film di Akerman la cinepresa spesso è collocata perpendicolarmente, alla stessa altezza della scena, e molte scene sono riprese con la camera fissa, allo scopo di enfatizzare il senso della durata ottenuto alternando carrellate a lenti movimenti di macchina. L'unica narrazione è quella fornita dai movimenti di macchina. La macchina da presa di Akerman percorre architetture, interni, vie e volti. Con questi movimenti la regista crea il senso di attesa o l'anticipazione di un evento che pare sul punto di accadere, ma che non si verifica mai.
Chantal Akerman, <i>La Chambre</i>, 1972, frame del video. Courtesy
of the artist
Chantal Akerman, La Chambre, 1972, frame del video. Courtesy of the artist
Benché la mostra si ampli a una selezione delle opere precedenti, il punto focale al centro dell'esposizione è D\'Est: au bord de la fiction (1993): la prima installazione di Akerman e il punto di svolta della sua carriera da cui è nato il successivo interesse per l'installazione. D\'Est fu la prima installazione che portò le sue opere in una galleria e in altri spazi d'arte. La regista divide il film in due estratti più brevi e formalmente rimette le parti insieme attraverso il colore, per esempio, o tramite movimenti di macchina o personaggi in un'installazione di otto gruppi di trittici di schermi. Fu girato in Germania, in Polonia e in Russia tra il 1991 e il 1993, lungo tutto il ciclo delle stagioni della primavera all'inverno. Il film mostra immagini in movimento di visi, di moscoviti, di persone nel paesaggio, in automobile oppure che danzano, scene diurne e notturne di ogni stagione; l'alternarsi continuo delle immagini dà il senso della caduta del comunismo. L'installazione comprende un monitor installato in un piccolo locale di passaggio, che mostra Akerman mentre recita in ebraico un frammento dell'Esodo tratto dall'Antico Testamento e annuncia un sommario del film. Da quest'opera in poi vediamo Akerman iniziare a superare i limiti del suo cinema e accingersi a esplorare le caratteristiche spaziali della galleria. Mentre i suoi primi film le permettevano un forte controllo sull'esperienza del trascorrere del tempo nell'opera vissuta dallo spettatore, questo potere nelle installazioni è molto più ridotto, perché gli spettatori posso decidere più facilmente da soli quanto tempo trascorrere di fronte all'installazione.
Benché la mostra si ampli a una selezione delle opere precedenti, il punto focale al centro dell'esposizione è D\'Est: la prima installazione di Akerman e il punto di svolta della sua carriera da cui è nato il successivo interesse per l'installazione.
Chantal Akerman, <i>D\'Est</i>, 1993
Chantal Akerman, D\'Est, 1993
Come in D\'Est anche in De l'autre côté (2002) compaiono movimenti di macchina di stile differente, ma qui il punto di partenza è un vero e proprio documentario che riprende l'incontro di Akerman con persone che le parlano dell'immigrazione messicana alla frontiera con gli Stati Uniti. Il film alterna interviste a camera fissa con carrellate del deserto e del paesaggio della frontiera. Il documentario è il punto di partenza di un altro film in mostra al MuKHA: L'autre côté (3ème partie: Une voix dans le désert), realizzato nel 2002. Il film mostra una schermo in mezzo al deserto, collocato tra le alture che si innalzano su entrambi i lati della frontiera tra Messico e Stati Uniti. Immagini notturne di persone che cercano di attraversare la frontiera si alternano sullo schermo con immagini della folla di Los Angeles. Quando si fa giorno le immagini proiettate diventano invisibili. Akerman passa dall'inglese allo spagnolo raccontando storie di migrazione. Altre opere in mostra illustrano il percorso evolutivo di Akerman. Nel suo primo film, Saute ma ville (1968) una ragazza torna a casa nella sua minuscola cucina e si tappa letteralmente dentro sigillando l'apertura della porta con del nastro adesivo, prima di iniziare a svolgere comicamente le faccende di casa, lavoro che la vede cuocere degli spaghetti, fare le pulizie e il bucato in modo esageratamente ostentato e buttare letteralmente tutto per terra. Come in parecchi dei suoi altri film mette in discussione i ruoli femminili e la domesticità. Nel primo film c'è molta azione, e la macchina da presa segue il personaggio in un modo non tipico dei film successivi, che hanno un ritmo più lento e integrano un rinvio o una sospensione dell'azione che instillano nello spettatore l'attesa o l'anticipazione di eventi intuitivamente sul punto di verificarsi. In La chambre (1972), per esempio, Akerman inizia a far uso della carrellata: una lunga e lenta panoramica ruota parecchie volte intorno alla stanza e, ogni volta che la macchina passa, vediamo Chantal Akerman sdraiata sul letto in una posizione differente. La scansione dell'architettura e dello spazio diventa ancor più evidente in Hotel Monterey (1972), in cui Akerman fa riprese dal viale d'ingresso alla cima del tetto, in ascensore e nei corridoi, usando inquadrature fisse alternate a carrellate. Talvolta si sofferma sulle persone, ma per la maggior parte del tempo su corridoi vuoti. Non c'è colonna sonora. Troviamo un buon discorso sulla sua opera in Chantal Akerman par Chantal Akerman (1997), inserito nella serie televisiva francese intitolata Cinéma, de notre temps ("Cinema, del nostro tempo"). Akerman legge a voce alta una lettera sulla realizzazione del proprio autoritratto, parlando delle sue idee sul progetto e del suo lavoro in generale. È presente anche una serie di provini relativi al film. Il lavoro di Akerman consiste tanto nella regia quanto nell'osservazione. Lo spettatore spesso diventa parte dell'installazione filmica: come se si fosse veramente lì grazie al senso di inerzia che certe immagini emanano. Alcuni dei film seguenti arrivano a eliminare la narrazione grazie all'assenza di un inizio e di una fine.
Chantal Akerman, <i>De l’autre côté (3ème partie Une
voix dans la desert)</i>, 2002
Chantal Akerman, De l’autre côté (3ème partie Une voix dans la desert), 2002
In Tombée de nuit sur Shanghai (2009) vediamo immagini statiche di un fiume, di imbarcazioni e del profilo di Shanghai. Prima la scena brilla (le imbarcazioni recano schermi che recano a loro volta schermi che mostrano insegne pubblicitarie) e poi, a mano a mano che cala l'oscurità i grattacieli stessi diventano schermi che mostrano animali, fiori e immagini di ogni genere. L'architettura scompare per far posto alla pubblicità, ovvero l'architettura diventa essa stessa schermo di proiezione. Rumori casuali dell'albergo e del ristorante formano la colonna sonora. C'è spesso nell'opera di Akerman una componente umoristica, e qui la regista colloca di fronte alla proiezione due contenitori pieni di pesci finti. L'installazione di due proiezioni video senza sonoro, Femmes d'Anvers en novembre (2008), mostra in un maniera tipica di molti dei film della regista i gesti banali di donne che stanno al centro della scena. Qui vediamo ritratti di donne che fumano sigarette in due videoproiezioni (due videoproiezioni, mute, a colori, di circa 20 minuti ciascuna). L'opera sta accanto a una precedente, In the Mirror (1971), dove una donna osserva il proprio corpo in uno specchio e lo descrive. Proseguendo il percorso si incontra un'opera del 2009 intitolata Maniac Summer (quattro videoproiezioni, immagini a colori e in bianco e nero, sonore, rispettivamente di 32 e 34 minuti). Presenta una collezione d'immagini in movimento riprese a Parigi nell'estate del 2009. È un trittico privo di narrazione, senza inizio e senza finale. il film mostra frammenti centrali di quotidianità, isolando elementi del film vero e proprio, tagliandoli e usandoli in modo astratto nel montaggio del dittico. Il film si ricollega all'immaginario di Akerman sulle immagini di Hiroshima che sono rimaste nella sua memoria a lungo termine.
Chantal Akerman, <i>Hotel Monterey</i>, 1972, frame del video
Chantal Akerman, Hotel Monterey, 1972, frame del video
Tra le opere dotate di più importanti caratteristiche scultoree c'è Marcher à côté de ses lacets dans une frigidaire vide (2004). L'opera segue il filo dei contenuti del diario tenuto dalla nonna di Akerman. Il prezioso documento venne ritrovato dopo la morte della nonna ad Auschwitz. Parole tratte dal diario vengono proiettate su una scultura a spirale. Nello spazio accanto c'è la proiezione di una conversazione con Chantal e sua madre riguardo la memoria, i campi e la storia, e sul significato dell'essere donna. La storia familiare di Akerman si legge tra le righe nella maggior parte delle sue opere, ma in questo pezzo la regista la mette letteralmente in scena.
Chantal Akerman, <i>Marcher à côté de ses lacets dans
une frigidaire vide</i>, 2004
Chantal Akerman, Marcher à côté de ses lacets dans une frigidaire vide, 2004
Fino al 10 giugno 2012
Chantal Akerman. Too far too close
M HKA
Leuvenstraat 32, Antwerp
La mostra è a cura di Dieter Roelstraete ed è accompagnata da una monografia edita da Ludion e a cura di Dieter Roelstraete, con saggi di Giuliana Bruno, Tim Griffin, Steven Jacobs, Vivian Sky Rehberg e con un'intervista a Elisabeth Lebovici.
Chantal Akerman, <i>Marcher à côté de ses lacets dans
un frigidaire vide</i>, 2004. Photo MuHKA
Chantal Akerman, Marcher à côté de ses lacets dans un frigidaire vide, 2004. Photo MuHKA

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