Based in Berlin

Una mostra racconta il lavoro di 80 artisti emergenti che vivono e lavorano a Berlino selezionati da cinque giovani curatori.

L'arte può cambiare il mondo? Certamente sì, ma non sempre in meglio. La natura scissionista della campagna elettorale per la conferma del sindaco di Berlino pare porre all'ordine del giorno la domanda. E offre la risposta.

Ma facciamo un passo indietro e guardiamo al contesto. Based in Berlin è partita come Leistungsschau, che si può tradurre all'incirca come "rassegna di performance" da tenere in un'area libera di Humboldthafen in cui Klaus Wowereit, sindaco della città, voleva realizzare una nuova Kunsthalle temporanea. Con un finanziamento di 1,6 milioni di euro e con la direzione scientifica di Klaus Biesenbach (del MoMA di New York), di Hans Ulrich Obrist (della Serpentine Gallery) e di Christine Macel (Centre Pompidou), che hanno prontamente delegato il compito a cinque curatori più giovani, il progetto si è trasformato ben presto in una cause célèbre.

Ovviamente, la richiesta di un nuovo centro d'arte aveva più a che fare con l'iniziativa immobiliare che con l'arte. O per meglio dire, era un progetto in cui l'arte doveva essere ridotta all'essenziale della sua funzione economica: il paravento della borghesizzazione della città. E inoltre il budget pareva scandaloso a una città di solito in crisi di finanziamenti.
Foto di apertura: Simon Dybbroe Møller,<i>Melody Malady</i>, 2010. Performance alla Nationalgalerie im Hamburger Bahnhof. Per gentile concessione Harris Lieberman e Galerie Kamm. Qui sopra: Simon Fujiwara, <i>Phallusies (An Arabian Mystery)</i>, 2010. Installazione alla Berlinische Galerie. Courtesy of Gio Marconi.
Foto di apertura: Simon Dybbroe Møller,Melody Malady, 2010. Performance alla Nationalgalerie im Hamburger Bahnhof. Per gentile concessione Harris Lieberman e Galerie Kamm. Qui sopra: Simon Fujiwara, Phallusies (An Arabian Mystery), 2010. Installazione alla Berlinische Galerie. Courtesy of Gio Marconi.
Vero è che la storia dell'arte recente è intrecciata con l'attività immobiliare almeno da quando le enormi tele dell'espressionismo astratto hanno innescato la voglia di abitare nei loft. Ed è altrettanto vero che tutte le capitali europee sono state ristrutturate a beneficio delle classi agiate. Ma la storia recente di Berlino rende tutto molto più vulnerabile. Le istituzioni artistiche cittadine e la comunità artistica locale hanno risposto assumendo un atteggiamento di dura opposizione: la cui reazione ha influito sugli esiti del progetto. Humboldthafen è stato abbandonato in favore della Weißensee Kunsthochschule di Berlino, nel Monbijoupark; mentre il progetto ha tentato di riassorbire il dissenso invitando chi lo aveva criticato a partecipare all'esposizione.
Giulio Delvè, <i>Hotel Tritone</i>, 2010. Installazione all'Atelierhaus Monbijoupark. Per gentile concessione dell'artista e Supportico Lopez.
Giulio Delvè, Hotel Tritone, 2010. Installazione all'Atelierhaus Monbijoupark. Per gentile concessione dell'artista e Supportico Lopez.
Sia detto a loro merito, i giovani curatori – Angelique Campens, Fredi Fischli, Magdalena Magiera, Jakob Schillinger e Scott Cameron Weaver – sono riusciti a trasformare la pietra dello scandalo in un successo. La mostra è allestita in modo impeccabile, ha una risonanza importante e recensioni positive. Ma nessuna buona volontà e nessuno sforzo può cambiare il fatto che Based in Berlin – mostra che, assommando otto menti curatoriali, ha il più alto rapporto curatori/artisti che si ricordi – non ha alcun bisogno di curatori. Dato il filo conduttore degli "artisti emergenti attivi in città" sarebbe bastato un organizzatore culturale a mettere insieme la ricetta fatta di alcune stelle in ascesa (come Danh Vo, Kitty Kraus e Cyprien Gaillard, tutti candidati al prossimo premio della Nationalgalerie; Petrit Halilaj, cui l'ultima Biennale di Berlino ha dato importante notorietà; Simon Fujiwara e Keren Cytter), di un gruppetto di nomi familiari, di una manciata di presenze casuali e di un paio di artisti di rappresentanza.
I giovani curatori sono riusciti a trasformare la pietra dello scandalo in un successo. La mostra è allestita in modo impeccabile, ha una risonanza importante e recensioni positive.
Installazione di Rocco Berger all'Atelierhaus Monbijoupark.
Installazione di Rocco Berger all'Atelierhaus Monbijoupark.
E, a dispetto di alcune opere provocatorie, l'atmosfera è affabile. Non esiste una narrazione comune, solo una miriade di piccole storie; nella misura in cui non ci sono linee conduttrici forti, ma solo un assortimento di motivi sparsi nei vari luoghi dell'esposizione. Spiccano Phallusies (2010), ibrido di romanzo giallo e di esperimento mnemonico di Simon Fujiwara, e There is a heppy lend – fur fur awa-a-ay (2011) di Julieta Aranda, curiosa costruzione con ancor più curiose variazioni formali quando la si guarda al buio. L'ambiente a cura di Autocenter infonde qualche vivacità in uno spirito espositivo altrimenti fiacco. Its like déjà vu all over again (2011; "Ancora un déjà vu, tutto sommato") non è un commento, anche se sarebbe adatto, ma una giocosa scultura di Kasia Fudakowski. Le opere di Yorgos Sapountzis, Agnieszka Polska, Juliane Solmsdorf, Nina Beier e David Adamo valgono tutte una citazione. Ma come chiarisce Kajsa Dahlberg, che chiama in causa Virginia Woolf: "I capolavori non sono parti individuali e solitari; sono il risultato di molti anni di pensiero condiviso, di idee prodotte dal corpo delle persone". Corpo – corpo sociale – che alla celebrazione cittadina della mobilità individuale manca. Nel padiglione del Monbijoupark, di prossima demolizione (destino di ogni monumento della DDR) Based in Berlin appare come una presenza paradossale: contemporaneamente il canto del cigno di Berlino come utopia culturale e la fede in Berlino come polo di cultura.
Kajsa Dahlberg, <i>Ein Zimmer für sich / Ein eigenes Zimmer / Ein Zimmer für sich allein / Vierhundertdreiunddreißig Bibliotheken</i>. Installazione all'Atelierhaus Monbijoupark.
Kajsa Dahlberg, Ein Zimmer für sich / Ein eigenes Zimmer / Ein Zimmer für sich allein / Vierhundertdreiunddreißig Bibliotheken. Installazione all'Atelierhaus Monbijoupark.
Based in Berlin
Fino al 24 luglio
Atelierhaus Monbijoupark; KW Institute for Contemporary Art; Nationalgalerie im Hamburger Bahnhof – Museum für Gegenwart – Berlin; Neuer Berliner Kunstverein n.b.k. e Berlinische Galerie
Mariechen Danz all'Atelierhaus Monbijoupark.
Mariechen Danz all'Atelierhaus Monbijoupark.
Nina Beier alla Hamburger Bahnhof.
Nina Beier alla Hamburger Bahnhof.
David Adamo, <i>Untitled</i>, 2010. KW Institute for Contemporary Art.
David Adamo, Untitled, 2010. KW Institute for Contemporary Art.
Il lavoro di Dominik Sittig alla Hamburger Bahnhof.
Il lavoro di Dominik Sittig alla Hamburger Bahnhof.

Ultimi articoli di Arte

Altri articoli di Domus

Leggi tutto
China Germany India Mexico, Central America and Caribbean Sri Lanka Korea icon-camera close icon-comments icon-down-sm icon-download icon-facebook icon-heart icon-heart icon-next-sm icon-next icon-pinterest icon-play icon-plus icon-prev-sm icon-prev Search icon-twitter icon-views icon-instagram