Dak'Art 2010: prospettive e retrospettive

Il 2010 è stato un anno di bilanci per la Biennale d'arte contemporanea di Dakar arrivata alla decima edizione e al ventesimo anniversario.

È curioso come un evento, ciclicamente in fin di vita, sia riuscito a festeggiare così tanti compleanni: la nascita nel 1990; la rinascita nel 1992; seguita da un'altra rinascita nel 1996. Dal 2000, ai compleanni si sono aggiunti gli anniversari: 10 anni dalla nascita, poi 10 dalla rinascita nel 2002 e nel 2006, con l'entusiasmo travolgente della nomina di un direttore artistico – altro che decennale! Era un nuovo debutto.

Nel 2010, di fronte al traguardo dei vent'anni, ecco le parole che il primo segretario generale della biennale del 1990 e 1992 Amadou Lamine Sall regala al catalogo: "Subito, senza esitare, dobbiamo salutare il fatto che questa manifestazione si sia mantenuta in vita fin dal 1990. Lo dobbiamo allo Stato senegalese e alla volontà politica di conservarla buona o cattiva che sia. Da parte mia credo che, anche in stato di decomposizione avanzata, ce la dovremmo tenere. È già un acquisito incontestabile in Africa e agli occhi del mondo".

Dak'Art è la principale biennale d'arte contemporanea organizzata in Africa e l'unica biennale al mondo consacrata alla promozione dell'arte contemporanea africana. Il suo ventesimo anniversario – con una mostra internazionale e una retrospettiva – offre un'ottima occasione per analizzarla in prospettiva. L'analisi non può però non partire dalla sua decomposizione.
Entracte è una performance realizzata dagli artisti Hobbs/Neustetter del collettivo sudafricano Trinity Session, in collaborazione con gli studenti della Ecole de Beaux Arts di Dakar. Insieme, nel corso dell'ultima edizione della Biennale, hanno realizzato una serie di proiezioni e performance sulla Maison 46, nella zona A, edificio abbandonato da dieci anni e destinato alla demolizione per fare spazio a un nuovo insediamento. La loro è una riflessione sullo stato patetico dell'edificio e sulle aspettative legate alle nuove architetture.
Entracte è una performance realizzata dagli artisti Hobbs/Neustetter del collettivo sudafricano Trinity Session, in collaborazione con gli studenti della Ecole de Beaux Arts di Dakar. Insieme, nel corso dell'ultima edizione della Biennale, hanno realizzato una serie di proiezioni e performance sulla Maison 46, nella zona A, edificio abbandonato da dieci anni e destinato alla demolizione per fare spazio a un nuovo insediamento. La loro è una riflessione sullo stato patetico dell'edificio e sulle aspettative legate alle nuove architetture.
Nel momento in cui la Biennale di Dakar si apprestava a salutare il suo ventennale, ecco infatti che anche la Commissione Europea mandava i suoi saluti. Di commiato. "Buona continuazione" – immagino che abbia detto il principale partner economico dell'evento, negando quel sostegno che nelle precedenti edizioni aveva coperto oltre la metà del budget totale e destinando le sue sovvenzioni ad altro. La principale caratteristica della Biennale di Dakar del 2010 è proprio il fatto di essere stata prodotta senza il contributo della Commissione Europea. Non si fa quindi fatica a capire perché Amadou Lamine Sall parli della volontà politica senegalese di conservarla: l'altro principale sostenitore economico della biennale è proprio il governo senegalese. Come in tutto il mondo, la volontà politica è alla base delle grandi manifestazioni culturali. Biennali, festival ed esposizioni universali portano investimenti, creazione di infrastrutture, nuovi posti di lavoro, brandizzazione urbana, visibilità e visitatori internazionali. Il governo senegalese non fa eccezione: nel 1966 ha sostenuto la prima edizione del Festival Mondial des Arts Nègres (presidente Léopold Sédar Senghor), nel 1990 ha creato la Biennale di Dakar (presidente Abdou Diouf) e nel 2004 ha annunciato una nuova edizione del Festival Mondial des Arts Nègres (presidente Abdoulaye Wade).

In Senegal il presidente è il patrono delle arti e della cultura e questo suo incarico costituzionale sembra essere strettamente connesso al lancio di nuove grandi manifestazioni. Se per il presidente Diouf (1980-2000) era la Biennale di Dakar, al presidente Abdoulaye Wade (eletto nel 2000) ne serviva un'altra. Il presidente sceglie nel 2004 di organizzare la terza edizione del Festival Mondial des Arts Négres, annunciando cinicamente il suo progetto proprio durante l'inaugurazione della Biennale di Dakar dello stesso anno. Ed effettivamente – dopo lunghe traversie e rinvii – il festival ha visto la luce poche settimane fa, a dicembre del 2010. Rispetto alla Biennale di Dakar, il Festival Mondial des Arts Nègres è però un'altra cosa. Se la prima è sostanzialmente una mostra d'arte che coinvolge musei, sedi espositive, atelier, gallerie e alcuni spazi pubblici della città; il festival è una vera e propria grande manifestazione: interdisciplinare, propriamente "festiva", ricca di concerti e spettacoli. Non solo, il festival parla un altro linguaggio: crea uno strettissimo collegamento con l'ormai leggendario festival del 1966 e con l'altrettanto leggendario presidente Senghor e valorizza un'idea di creatività e identità africana transnazionale capace di tenere insieme coloro che abitano sul continente e la grande diaspora nera del mondo. In effetti, il Festival Mondial des Arts Nègres sta alla Biennale di Dakar come il Monument de la Renaissance africaine sta alla Galleria nazionale della città: se ne può anche discutere, ma la differenza è piuttosto evidente.
Valise Pédagogique, prodotta da Kër Thiossane e da Rose des Vents Numérique, all'interno di Afropixel Festival/Mobile A2K, Dakar, 2010.
Strumento educativo per la creazione di opere d'arte e di design interattive.
Valise Pédagogique, prodotta da Kër Thiossane e da Rose des Vents Numérique, all'interno di Afropixel Festival/Mobile A2K, Dakar, 2010. Strumento educativo per la creazione di opere d'arte e di design interattive.
Nonostante la chiara preferenza di Abdoulaye Wade per gli interventi monumentali, il presidente conferma il suo sostegno alla Biennale di Dakar del 2010. La manifestazione si svolge con difficoltà organizzative ed economiche, e il suo titolo "prospettive e retrospettive" la dice lunga su come Dak'Art senta di avere davanti un fragile destino, ma anche la coscienza di avere ormai acquisito un incontestabile ruolo in Africa e agli occhi del mondo.

La Biennale di Dakar è l'unica biennale focalizzata sull'arte contemporanea africana e la più longeva grande esposizione dell'Africa Sub-Sahariana. Sopravvissuta, per esempio, alla Biennale di Johannesbug, che ancora oggi è ricordata per essere stata una mostra visionaria e di grande respiro, estinta però dopo solo due edizioni: la prima nel 1995, piena dello slancio verso il futuro che la fine dell'apartheid annunciava; e la seconda del 1997 che ha lanciato la carriera del suo curatore Okwui Enwezor (e di molti degli artisti partecipanti). Negli anni sono poi nate altre biennali, festival e triennali d'arte (in particolare si possono ricordare gli Incontri della Fotografia africana di Bamako, la Triennale di Luanda in Angola e SUD-Salon Urbain de Douala in Camerun), ma nessuno di questi eventi è mai riuscito o è ancora riuscito ad avere la visibilità e il ruolo panafricano e internazionale della Biennale di Dakar.
Dak'Art appare su tutte le mappe che rappresentano le biennali nel mondo, studiata come esempio del franchising africano della Biennale di Venezia, ma ha le sue peculiarità. E la prima è sicuramente la disorganizzazione
Cameron Platter, my bm is bigger than yours, 2004, video stills.
Cameron Platter, my bm is bigger than yours, 2004, video stills.
Dak'Art è osservata, visitata e appare su tutte le mappe che rappresentano le biennali nel mondo, studiata come esempio del franchising africano della Biennale di Venezia. Ma Dak'Art ha le sue peculiarità. La prima è sicuramente la disorganizzazione. Ancora oggi – dopo vent'anni di esperienza – le opere sono allestite malamente, non arrivano a destinazione, non ripartono imballate a dovere, non sono prodotte dalla manifestazione e sono esposte in un modo tanto mediocre che bisogna veramente essere motivati per riuscire a vederle bene e a capire la produzione in mostra. E qui arriviamo alla seconda caratteristica di Dak'Art: nel corso degli anni la biennale ha esposto oltre 450 artisti all'interno di oltre 100 esposizioni, senza contare i creativi che hanno presentato le loro opere nelle oltre 800 mostre a latere. La manifestazione ha raccolto portfoli, ha prodotto pubblicazioni e conferenze e soprattutto è diventata una fonte primaria sulla produzione artistica dell'Africa e collegata all'Africa.

Per rappresentare che cosa è la Biennale di Dakar e che cosa ha fatto in questi anni, il modo più efficace sarebbe una fotografia di gruppo. Niente opere, esposizioni e allestimenti, ma una fotografia di gruppo di tantissime persone, tutte in piedi in uno stadio che scherzano tra uno scatto e l'altro, o che se ne stanno ritte in posa con l'aria imbarazzata di chi non ha proprio simpatia per il suo vicino di posto. Dak'Art è da sempre una straordinaria piattaforma d'incontro – lo dicono tutte le recensioni fin dai suoi esordi – e lo è per persone estremamente diverse tra loro. L'eterogeneità del suo network è una delle caratteristiche che la contraddistinguono. Non si tratta solo del pubblico dell'arte che viaggia da una biennale all'altra, degli artisti sempre invitati a partecipare alla settimana di inaugurazioni dell'evento o di un pubblico generico interessato a vedere la mostra, partecipano alla biennale responsabili di organizzazioni di cooperazione allo sviluppo, antropologi, sociologi, architetti, ricercatori e turisti.

La biennale è interessante per persone molto diverse tra loro e ognuna ha le sue aspettative. Arte contemporanea, arte autenticamente africana, Africa, ripercussioni economiche, sviluppo, trasformazioni urbane, diplomazia culturale, partenariati sono alcune delle parole che ronzano nella testa di chi si avvicina all'evento aspettandosi che la mostra sia capace non solo di mostrare dell'arte (come in effetti dovrebbe essere), ma anche di fare di più e diverso, perché si tratta di una biennale africana. Effettivamente, dalla Biennale di Venezia ci si aspetta decisamente di meno. Ciclicamente, invece, i partecipanti si scontrano con la realtà che un'esposizione, alla fin fine, rimane un'esposizione. E lo sforzo di Dak'Art di assecondare richieste diverse e di provare ad accomodare tutti, mediando e cercando compromessi, è la principale causa della sua fragilità.
Hasan and Husain Essop, Four Fathers, 2009.
Hasan and Husain Essop, Four Fathers, 2009.
Considero l'edizione del 2004 come la meglio riuscita, quella che con il suo slancio, la complicità dei suoi organizzatori e il grande impegno che questi hanno dedicato all'evento è stata capace di far sì che per il 2006 fosse nominato il direttore artistico Yacouba Konaté. L'edizione del 2006 è stata ricca di artisti e di opere significative, ma ancora più appesantita da aspettative per il nuovo grande investimento che le era stato concesso. Nonostante l'impegno, Dak'Art 2006 non è riuscita a dare alla manifestazione una specificità e direzione di lavoro che ne garantissero un glorioso seguito. Lo slancio si è piano piano estinto fino a trascinarsi a Dak'Art 2008. L'ultima edizione della biennale ha proposto una mostra internazionale di artisti che non avevano mai esposto prima all'interno dell'evento (belli i video di Cameron Platter, le scenografiche fotografie di Hasan & Husain Essop e lo strano destino della scritta al neon di Claire & Rose) e una mostra retrospettiva di nuove opere dei vincitori delle precedenti edizioni che dava l'impressione di quanto Dak'Art sia il risultato di un'intensa negoziazione e di una continua ricerca di soddisfare le aspettative di governo, partner, finanziatori e stakeholder più che una mostra che sostiene la ricerca artistica e creativa.

Un altro discorso va fatto per il "programma off", come viene da sempre chiamato il programma indipendente e a latere della biennale che ha prodotto bellissime iniziative. Da sempre, la Biennale di Dakar ha inserito tutti questi eventi all'interno della sua comunicazione, li ha sostenuti e li ha considerati parte integrante del suo programma. Giusto per ricordarne alcuni: laboratori come l'"Atelier Tenq" organizzato durante Dak'Art 1996 che ha prodotto il primo numero della rivista "Metronome"; installazioni site specific, come l'opera "Alimentation d'Art" di Dak'Art 2000 che mescolava arte e merce in un negozietto di alimentari; progetti di artisti, come "Exit Tour" del 2006, un viaggio organizzato dall'Art Bakery di Goddy Leye da Douala a Dakar su mezzi pubblici per incontrare creativi e istituzioni culturali dell'Africa Occidentale; partenariati come quello, sempre nel 2006, del network Res Artis portato a Dakar da N'Goné Fall a dare premi e selezionare artisti per i programmi di residenze internazionali. E ancora convegni e, nelle ultime due edizioni, il Festival Afropixel organizzato da Kër Thiossane che nel 2010 ha prodotto la Valigia pedagogica (un kit open source per la produzione di arte digitale e design interattivo) e la performance di Trinity Session (una spettacolare proiezione di immagini su un edificio con musica e comparse).

Di fronte al traguardo dei vent'anni, ho pensato che forse un pensierino a Dak'Art lo potevo fare anch'io. Proprio perché la Biennale di Dakar è un acquisito incontestabile in Africa e nel mondo, ho contribuito alle sue voci e alla mia playlist su Wikipedia, nella speranza che la Biennale di Dakar continui a crescere. Anche su Wikipedia. Iolanda Pensa
Rosenclaire (Claire Gavronsky & Rose Shakinovsky), Investissez dans l'immatériel, 2010. 250x322cm, neon.
Rosenclaire (Claire Gavronsky & Rose Shakinovsky), Investissez dans l'immatériel, 2010. 250x322cm, neon.
Nata a Ginevra nel 1975, Iolanda Pensa è critica d'arte e ricercatrice. Socio fondatore e dirigente della iStrike Foundation (con sede a Rotterdam), è direttore scientifico del progetto WikiAfrica della Fondazione lettera27 di Milano. Collabora con la Nuova Accademia Belle Arti Milano (corso di Economia della Cultura insieme a Simona Bodo 2007-08 e 2008-09 e corso di moda durante la Summer School 2008).
Hasan and Husain Essop, Night Before Eid
2009.
Hasan and Husain Essop, Night Before Eid 2009.

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