La cosa ridicola è che tutto questo materiale lo si trova in internet, quello che non si trova è la qualità di questo allestimento e la bellezza dei tiraggi in mostra di due serie cult sull'adolescenza americana Tulsa e, appunto, Teenage Lust. Da qualsiasi parte la si consideri e persino nelle parole dei suoi detrattori, questa di ricerca del tempo perduto la riattualizzazione negli anni '80 di materiali e scene degli anni '60 e '70 è il cuore e la chiave per comprendere l'evoluzione creativa dell'inventore dello stile "heroin-chic" e, paradossalmente, il solo che non ne ha ricavato i benefici commerciali come nell'immondo uso (questo si pornografico) di questo stile che l'industria della moda ne ha fatto per tutti gli anni '90. E anche Liberation non ha avuto il coraggio, la sanzione penale sarebbe stata immediata di maneggiare questi clichés da sindrome bipolare che affiorano dai bagni nella realtà senza filtro di Larry Clark, emozionalmente intollerabile la bellezza che emanano le foto nate dall'empatica frequentazione di adolescenti e prostitute newyorkesi.
Nelle interviste Clark non cessa di parlare della sua adolescenza negatagli da una relazione controversa con il padre, del bisogno di riappropriarsi di un periodo della vita, che ora prolunga nella sua quasi casta produzione recente e la Jonathan Velasquez serie dimostra di questo voler essere soggettivamente compreso dai ragazzi. Ora pur continuando a procedere sul filo del rasoio tra accuse di compulsività nei riguardi della sua ossessione, lo spazio tra la grande macchina hollywoodiana e il cinema edulcorato dei teen-movies divengono il vero acerbo e drammatico nulla in cui l'adoloescenza non viene mai rappresentata nella sua essenza: quel nulla riempito di droga, violenza, sesso e morte che colma l'obiettivo e i frame di Larry Clark. Ciò che inebria è la distanza ottenuta per lo spettatore, la sua strettissima prossimità é un tête a tête con i soggetti è elegante e straordinaria, distante dallo "stalking" di Gus Van Sant (Elephant o Paranoid park) un pericoloso rendering ispirato che riattualizza i grandi miti americani. Poi questa quasi gioia ebete dell'assunzione di droga, gli strangolamenti, i giochi pericolosi con armi da fuoco e siringhe qualcosa che non è il Drugstore Cowboy e neppure il feroce dolore di Nan Goldin piuttosto la beatitudine dell'underground, qualcosa dei Settanta ancora da rivendicare, forse, recentemente, solo i personaggi di Dreamers di Bertolucci hanno avuto pose e formati così dolcemente estremi.
Clark è comunque un manipolatore di adoloscenze le dirige e le riorganizza come in Kids, Bully, Ken Parker o nel più recente Wassup Rockers, ma sogna quasi di sostituirsi a loro e di arrestare il tempo. Solo il disordine e la capacità disfunzionale dell'età più creativa della nostra specie riesce a spiazzarne il classicismo o meglio a rimodellarne il manierismo. Ecco perché a dispetto della censura la mostra di Parigi è una mostra essenzialmente per grandi, una bellissima mostra per il voyerismo degli adulti ed è sintomatico che una serie di foto provenienti dallo studio dei genitori (della madre piuttosto) il Lew Clark Photography specializzato in ritratti di neonati e animali domestici sia la vera introduzione alla mostra come lo è l'indifferenza degli skater parigini che continuano le loro evoluzioni sul parvis del Musée d'Art Moderne incuranti del divieto ai 18 anni e degli inutili artifici di questa incantevole mostra fotografica che rischierebbe di apporre un vetro antiriflesso all'innnocente inquietudine della loro esistenza. Ivo Bonacorsi
